Pablo Picasso, un mito della storia dell’arte. L’artista più popolare, l’artista più nominato, al centro di infiniti modi di leggere la sua storia di uomo e d’artista. Quando si pensa all’arte contemporanea immediatamente appare nella mente il suo celebre Guernica del 1937. A Palazzo Reale riusciamo a vederlo da un punto di vista inedito, attraverso temi artistici, politici e d’attualità.
Sorge spontanea la domanda: è giusto analizzare la storia di un artista affrontando anche la sua persona? Affrontare il carattere, le scelte, le idee politiche che hanno determinato il suo essere? In un mondo che tende a dimenticare il suo passato, è possibile riuscire ad affrontare da “storico” il tempo? Ciò comporta immedesimarsi e analizzare il contesto sociale e ambientale del tempo che si sta studiando, tentando di evitare giudizi inutili quando possibile. Questa mostra a Palazzo Reale, risponde a tutte queste domande con un semplice: Sì, è possibile. Una risposta affermativa che deriva da anni e anni di studio e ricerca. Le esperte che anno curato questa mostra sono Annie Cohen-Solal e Cécile Debray. Per rispondere alla prima domanda basta pensare che gli artisti in generale sono le opere che creano e in qualche caso il loro contrario. Resta comunque di fatto che il loro essere determina indissolubilmente il risultato della loro creazione. Le opere d’arte che realizzano sono quindi il riflesso di sé stessi tangibile e visibile allo sguardo.
La mostra Picasso lo straniero presenta più di 90 opere dell’artista (tra cui 40 per la prima volta in Italia), oltre a documenti, fotografie, lettere e video, selezionati dalle collezioni del Musée National Picasso, partner del progetto, del Palais de la Porte Dorée (Musée National de l’Histoire de l’Immigration) e della Collection Musée Magnelli – Musée de la céramique di Vallauris. Tra i pezzi più eloquenti figurano Le Sacré-Coeur (1909-10), la Lecture de la lettre del 1921 e Les Baigneurs: la femme aux bras écartés del 1956. Il giovane genio, fu “straniero” in Francia, non parlava una parola di francese e per lungo tempo, non venne accettato. Nel 1901 infatti, viene schedato per sbaglio come anarchico sottoposto a sorveglianza speciale, prima di stabilirsi definitivamente a Parigi nel 1904, dove si affermerà come leader dell’avanguardia cubista. Durante la guerra civile in Spagna, l’artista produce Guernica, l’immensa tela destinata a diventare il vessillo universale della resistenza antifascista. Nel 1940, temendo di essere in pericolo in Francia, dove l’invasione nazista è imminente, Picasso decide di inoltrare la domanda di naturalizzazione che viene rifiutata. Grazie a un approccio multidisciplinare e alla straordinaria ricerca negli archivi della polizia francese, e del Museo Picasso a Parigi, la scrittrice e storica Annie Cohen-Solal rivela questa storia affascinante a partire da numerosissimi documenti inediti, con la curatela speciale di Cécile Debray, presidente del MNPP.
Pablo Picasso era quindi un individuo sospetto, che “riceve lettere in lingua straniera”, “rincasa a tarda notte”, “non sa parlare francese”, “frequenta anarchici” e “dipinge donne mendicanti”. Queste sono espressioni tratte dal resoconto del commissario Rouquier, responsabile dell’ordine pubblico nel quartiere di Montmartre mostrano chiaramente come l’artista fosse un sorvegliato speciale. Egli trascorrerà in Francia gran parte della sua esistenza – circa 60 anni – senza mai acquisire la cittadinanza. Perché? Qual è stato l’impatto della condizione di “straniero” sulla sua opera? Quali le sue reazioni all’ostilità del paese in cui vive? Questa mostra cerca di rispondere a queste questioni.
Basata su nuove ricerche, l’esposizione evidenzia la condizione di eterno straniero, ma soprattutto indaga su come il geniale pittore andaluso abbia plasmato la propria identità da questa scomoda posizione. “Per un individuo come Picasso, che proveniva da un mondo culturale diverso, l’incontro con situazioni di instabilità fu senza dubbio uno stimolo a cercare nuove strade, nuove nicchie, nuovi interlocutori”, ha spiegato la curatrice Annie Cohen-Solal, che ha approfondito la questione nel libro Picasso. Una vita da straniero, edito in Italia da Marsilio.
Colgo l’occasione per ampliare brevemente questo concetto, la mostra è geniale perché tocca quella che in realtà è “l’eterna condizione dell’artista-straniero”. Stranieri in terra, emarginati storicamente e tutt’oggi dalla società. Colpevoli di avere voci troppo potenti, linguaggi troppo all’avanguardia e menti spesso pericolosamente lungimiranti. Responsabili inoltre, della loro interiore “anarchia” intesa come libertà di pensiero e di azione. Chi non ha famiglie potenti alle spalle, chi non ha possibilità economiche per autofinanziare il proprio lavoro, chi non ha conoscenze importanti, prova tutt’ora quella condizione di “artista-straniero” nella propria patria o nel mondo stesso. Tematica estremamente rara e probabilmente troppo problematica per essere affrontata a cose normali.
Pablo Picasso giunge per la prima volta a Parigi a 19 anni. La Francia celebra la propria potenza coloniale nell’Esposizione Universale del 1900, ma è sconvolta da tensioni interne e in preda a movimenti xenofobi, basti pensare all’Affaire Dreyfus. Stigmatizzato come straniero e supposto anarchico, ogni due anni l’artista è costretto a presentarsi alla Police des Etrangers fornendo le impronte digitali. Fin dall’inizio, la sua arte è lo specchio di questo senso di estraneità. C’è un quadro del 1900, Gruppo di catalani a Montmartre, in cui raffigura sé stesso e i suoi amici, stranieri come lui, come dei criminali. «Si rappresenta come viene visto dai francesi, dalla polizia», racconta la curatrice: “È un quadro che non parla di lui, ma della xenofobia”.
La diffidenza delle istituzioni artistiche è forse ancora peggiore come sottolinea l’esposizione. La potentissima e conservatrice Académie des Beaux-Arts emargina Pablo Picasso per decenni, dalla nascita del Cubismo fino alla soglia degli anni Cinquanta, bollandolo con il marchio maledetto di artista d’avanguardia. E se durante la Prima Guerra Mondiale il pittore è vittima indiretta della propaganda anti-tedesca-il suo gallerista, Daniel-Henry Kahnweiler, è nato in Germania nel 1929 il Louvre rifiuterà la donazione di una pietra miliare del Modernismo come Les demoiselles d’Avignon. Mentre in America il giovane e perspicace direttore del MoMa Alfred Barr dedica a Pablo Picasso mostre e studi, acquisendone i quadri, fino al 1949 solo due opere dell’artista sono accolte nelle collezioni statali francesi.
Nel 1940, sperando di ottenere protezione da nazisti e franchisti, l’artista richiede la cittadinanza francese, ottenendo un rifiuto. Molti anni dopo sarà lui stesso, ormai all’apice della notorietà, a rifiutare orgogliosamente l’offerta, restando straniero fino alla morte nel paese in cui ha trascorso gran parte dei suoi giorni. Nel ‘55 l’artista lascerà definitivamente Parigi per vivere in Costa Azzurra, “tra ceramisti, fotografi, scultori e litografi, di fronte al Mediterraneo, in un’area di culture multiple alla quale era sempre appartenuto”, racconta Cohen-Solal. Picasso “sceglie la regione rispetto alla capitale, gli artigiani rispetto agli accademici, la provincia rispetto all’establishment parigino, e gestisce felicemente la sua fama ormai mondiale”.
Lisa Parra
Picasso lo straniero
Palazzo Reale, Milano
20 settembre 2024 – 2 febbraio 2025
Da martedì a domenica ore 10 – 19:30
Giovedì 10 – 22:30