Paolo Consorti Acqua alle corde

Uscito a fine 2022 Acqua alle corde è l’ultima produzione cinematografica dell’artista e regista Paolo Consorti.

Ho guardato il film tutto di un fiato.  Anche un po’ con circospezione, lo sguardo attento, curioso e predisposto con la mente, più che con il cuore (così come si addice al migliore intellettuale) a indagare le motivazioni, soprattutto quelle taciute, nascoste, quelle che si addensano frenetiche e che – mi interrogo  – sollecitano un artista visivo come Paolo Consorti a esprimersi diversamente.

Noia? Sfida con se stesso per una riflessione in successione? Una interruzione? Un dietro front colto? A volte, per dire qualcosa di nuovo bisogna comprare una giacca nuova, suggerisce Paolo Conte. Come nella canzone, è la stessa giacca di sempre che, indossata più volte , fissando un codice, ci  restituisce una precisa immagine, quella che ci rende meno invisibili. 

In una sorta di feedback questo è quello a cui tende Paolo Consorti, spinto anche da quella  curiosità salutare per ogni crescita individuale.  Consapevole che la struttura mentale dell’artista possiede innate potenzialità rivolte a qualsiasi campo dell’arte che alcune occasioni possono favorire. Come questa di dare forma e vita a immagini e storie in movimento, con il risultato di interagire come una lente di ingrandimento.

Il corpo centrale del suo lavoro è rappresentato dalla forza espressiva, oltre che argomentativa di tutta l’intreccio narrativo, di tutto l’impianto scenico che prende spunto da un personaggio storico: Sisto V°.  Ho visto soprattutto un gioco di specchi e di continui rimandi tra diversi livelli di realtà, una sorta di gioco condotto bypassando anche distanze temporali di secoli. Perché scegliere il contesto marchigiano così identificabile della provincia delle provincie italiane? Immagino sia una commemorazione di un tratto leopardiano, di un deja vu che non si vuole estinguere. In questa prospettiva, adottando un titolo curioso ed emblematico  come quello del film “Acqua alle corde”, interpretare Sisto V° di cui è al centro con i personaggi e le vicende che danno loro vita, diventa per gli attori un’occasione e un pretesto per esprimere se stessi  in un contesto assolutamente diverso. E per l’autore/regista un riferimento  autobiografico che scorre veloce come la sua corsa iniziale sui pattini in un circuito di ricordi. Coinvolgendo perciò lo spettatore alla ricerca di un file rouge tra il sottile gioco di uno spettacolo  che vuole diventare ambizioso e i personaggi interpretati sul palcoscenico tra provocazioni e doppi sensi. 

Paolo Consorti sa bene che l’arte non fornisce risposte certe, rassicuranti, ma diversamente sollecita, in questo caso solletica, tirando fortemente le sue corde, fino alla sua combustione, domande, domande di ogni tipo, soprattutto quelle imprevedibili, per essere all’altezza della sua indole di artista, prima, e di regista poi. 

Mi piace definire Paolo Consorti un visionario romantico, per tradizione e inclinazione  così come si declinano le Marche tutte, terra a più voci che ha dato, convocati, nomi altisonanti dalle lettere alle arti, alla musica, ma che comunque vivono di un’apatia geografica che non intercede per loro, se non per anniversari, qualche festival riciclabile, Quintane massificate ma non un evento esaltante con il giusto accento salvifico che faccia del glamour la cifra riconoscibile. Non una risonanza suggestiva, dal respiro, come si legge spesso, internazionale.  

L’esito a cui sottende tutto il film mette in luce, in filigrana, il desiderio  coniugato sotto forma di metafora di un completo transfert con l’altro “sé” nella sua totalità. Insieme all’anelito  di liberarsi da quell’ intreccio che nel tempo ha annodato stile e pensieri del soggetto artista e regista  a misurarsi con i dubbi, le contraddizioni, le rinunce che sono spesso, come non mai l’impronta  con cui si scrive e si firma  la propria storia, la propria poetica.

(“Signore e signori, tra poco avrà inizio lo spettacolo. O forse no. Perché in realtà non so neppure io cosa si cela dietro a questo sipario…..”)

Il tutto ben interpretato nel film da attori ,forse  fin troppo identificabili con il ruolo stesso che li etichetta proprio come comici tout court: forse un limite, forse un punto di forza.

Non è un’ostentazione precisare che non sono un addetta ai lavori, non mi occupo di critica cinematografica, sarei fischiata fin da subito. Ho tentato, evitando l’abbaglio, l’approssimazione , di costruire una liaison tra Paolo artista figurativo e Paolo regista: è mia intenzione qui ricordare che una prerogativa dell’arte sta anche nel saperla nascondere. Il pubblico non deve percepire alcun segnale di fatica, così come non si evince dal monumentale lavoro di Michelangelo, come di Picasso con la sua super produzione.  Non si deve percepire il peso greve di un’idea, ma al contrario è fondamentale afferrarne la leggerezza così  come è il soffio della vita. E in questo particolare, in cui a volte le parole sono d’intralcio credo che si possa collocare questa storia, la storia di questo film singolare, tutta italiana.

Ogni conclusione è provvisoria: immagino infatti Paolo fare a braccio di ferro con tutto il sistema dell’arte a cui lo spettatore è invitato ad avvicinarsi  e a confrontarsi.

Non lontano dalla terra prodiga di Sibille e Amalassunte.