Cosa succede quando il corpo animale, storicamente ridotto a merce o vittima muta, torna a occupare lo spazio dell’arte con la stessa potenza di un’icona sacra?
È la domanda – o meglio, la questione animale – che l’artista pone al centro della sua mostra Animal Question.
Ottavio Celestino si muove da tempo lungo le faglie dell’Antropocene, esplorando la complessa convivenza tra uomo, mondo vegetale e mondo animale.
In questo progetto, pensato come un site-specific per un luogo dove per decenni si è consumata la ritualità industriale della morte, la sua ricerca assume una forma quasi sacrale dove ritratti fotografici di vigorosi animali restituiscono dignità iconica a quelle vittime sacrificali trasportando il pubblico in un rituale catartico che suggerisce la via per la purificazione.
Monumentali equini e bovini ci accolgono all’inizio del percorso espositivo, sprofondando dal soffitto, ci introducono in un labirinto fotografico fatto di corpi animali fluttuanti nello spazio, come se la gravità li avesse dimenticati: ombre sacre riportano alla mente noti dipinti barocchi.
Percorrendo a ritroso lo spazio, l’artista ci ha dato dimostrazione del suo eclettismo nell’uso sperimentale del medium: dietro ogni ritratto è mostrando il negativo fotografico, dove il gioco bifronte, tra negativo e positivo, vita e morte, diventa un eco sbiadito che fuoriesce dalle fotografie, per risvegliare in noi la consapevolezza di quel luogo di violenza e sopraffazione.
Il percorso prosegue nelle sale laterali, dove l’artista ripercorre la millenaria relazione tra uomo e animale evocando suggestioni dell’antichità classica. Con la serie Mnemosyne – dichiarato omaggio all’Atlante della memoria e alle Pathosformel di Aby Warburg – il visitatore è immerso in una sequenza di ritratti scultorei che affiorano con forza dal fondo, sospesi in un tempo astorico e decontestualizzati. A queste immagini si intrecciano fotografie storiche di fine Ottocento realizzate dal Conte Primoli all’interno del Mattatoio, rielaborate e arricchite da iscrizioni documentali provenienti dal patrimonio dell’Archivio Storico Capitolino, legate all’area di Testaccio. Simboli di un’esistenza universale, queste opere risuonano con tutta la loro potenza archetipica, restituendo allo spettatore una memoria condivisa, sedimentata nel corpo e nella storia.
Celestino costruisce così una sorta di archeologia del dolore e della redenzione, un altare profano che richiama fregi classici e memorie storiche in un cortocircuito tra memoria collettiva e violenza strutturale.
In questo modo, la mostra riscrive anche il significato stesso del Mattatoio come spazio: da luogo di morte a luogo di resurrezione simbolica; la sua non è né un’operazione nostalgica né moralista, rifiuta pertanto la retorica animalista più didascalica, proponendo invece una riflessione più profonda sulla simmetria spezzata tra l’umano e l’animale, sulla nostra incapacità di riconoscere l’altro come soggetto, non oggetto.
In un tempo in cui il rapporto tra uomo e ambiente è al collasso, e in cui il confine tra natura e cultura si fa sempre più poroso, Animal Question è un invito potente a ripensare le nostre gerarchie, i nostri miti di superiorità, i nostri rituali di rimozione. Un’opera che interroga, non consola. Un atto di giustizia poetica che trasforma lo sguardo in responsabilità.
L’esposizione è stata organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con Archivio Celestino.