Nunzio, Bruno Ceccobelli, Piero Pizzi Cannella, Giuseppe Gallo, Marco Tirelli, Gianni Dessí, Oliviero Rainaldi e Pino Casagrande, gran signore, amico e gallerista. La porta è socchiusa… la bella voce che conosco, il timbro profondo: “Tiziana sei tu? Entra entra.”
È alto Oliviero, elegante, garbato, il sorriso accennato e coinvolgente, le parole misurate, lo sguardo consapevole della vita… ma gli occhi ridono e non riescono a schermare più di tanto l’energia possente e la volontà d’acciaio.
Abruzzese, figlio della terra che ha dato scultori meravigliosi al nostro Paese, come Andrea, Pietro e Tommaso Cascella (e poco più in là, nelle Marche, Arnaldo e Giò Pomodoro) è cresciuto a Roma, humus ideale per chi come lui diventerà testimone del grande passato artistico che ha fatto dell’Italia un Paese unico al mondo.
Lo studio è grande… tante cose, tra luce e ombra le tele, i colori, opere iniziate… su una base di legno la maquette di Papa Wojtyla si staglia luminosa mentre intorno turbinano i grandi angeli / diavoli che ci risucchiano nel loro verde e nel loro nero.
Studente svogliato da giovane, attratto, direi di più, catturato dall’arte, il suo dono avrebbe potuto perdersi. Il padre lo capi e decise di assecondarne le inclinazioni pur cosi diverse da quelle familiari. Frequenterà così l’Accademia di Venezia, avendo la fortuna di avere come docente un Maestro come Emilio Vedova. Gli studi accademici proseguiranno poi all’Accademia de L’Aquila dove conseguirà il diploma con un altro grande, Fabio Mauri. Il suo cursus si rivela vincente e gli inviti alle mostre e gli incarichi non si fanno attendere. Lungi dal godere dei successi conseguiti, anzi forse proprio per questo, inizia un periodo tormentato alla ricerca di sé stesso. Si placherà solo con la decisione di approfondire il suo personale interesse per il rapporto tra Arte e Liturgia che già si era evidenziato nei primi incarichi e occasioni. Si iscrive quindi al biennio di studi presso l’Istituto Teologico Sant’Anselmo e al triennio di Teologia per laici a Roma. I suoi passi professionali seguono sempre più il solco tracciato dai Grandi Maestri del passato, eclettici e sperimentatori, comunque pronti a studiare un progetto per un committente, per un luogo per una storia, cosi l’altare della Chiesa di Terni, la scultura di Papa Wojtyla o il Nettuno della Maserati.
È sotto gli occhi di tutti che l’amplificarsi del sapere ha portato ad una specializzazione esasperata, ad una parcellizzazione, per cui in ogni campo oggi è sempre più rara una figura con una visione a 360º.
Non fa eccezione il mondo dell’arte. Anche qui si pretende la specializzazione dimenticandosi che la figura dell’artista della storia dell’arte ha compreso più discipline. Michelangelo? Scultore, disegnatore, poeta e musicista. Il sommo Leonardo fu inviato da Lorenzo il Magnifico a Milano dallo Sforza perché musico non come artista, lui che comunque si professava ingegnere e architetto e creatore di stupore per le magnifiche scenografie che inventava per le feste dei potenti.
Erano dei dilettanti? Cosi un eclettico come Giorgio Faletti, o Fausto Melotti o Daniele Lombardi e per parlare di giovani oggi Maria Pierantoni Giua o Nicola Evangelisti. Se sono dilettanti sono in buona compagnia… Le riforme universitarie seguirono lo spalancarsi dei saperi e continuano a creare corsi diversi sempre più mirati facendo però l’errore di disattendere una formazione di massima “a tutto tondo”, un coordinamento complementare ai diversi rami. Cosi Oliviero Rainaldi.
La visione d’insieme è lasciata solo agli eredi del Rinascimento, sia come artisti che come Committenti, una volta Papi, Principi, imperatori, che nei secoli permisero la creazione di capolavori sublimi dal colonnato del Bernini, alla cupola del Brunelleschi ai mosaici di Ravenna, a via “Nuova” a Genova, agli affreschi di Giotto ad Assisi. Oggi imprenditori, istituzioni, recentemente l’Ambasciata d’Italia a Berna, e appassionati ci stupiscono ma comunque il mercato impera… e il mercato vuole riprendersi questi spiriti liberi, ma… ne subisce le regole. La Committenza in verità è connaturata agli Italiani che Erasmo da Rotterdam stigmatizzò come insopportabili per la convinzione di essere i soli depositari della bellezza. Ecco vorrei che una briciola di quella boria esistesse ancora, forse sarebbe lo stimolo giusto per migliorare la qualità della vita di ciascuno e collaborare attivamente alla conservazione dei nostri tesori, quei tesori che abbiamo avuto la fortuna di ereditare, che sono sopravvissuti a cataclismi e conflitti terribili e che é nostro precipuo dovere tramandare.
Ecco Oliviero Rainaldi ha fatto dell’essenzialità il suo dictat, come Manzú e Brancusi, è una summa di saperi e ha una inestinguibile sete di sapere, ed é questa sete di sapere e di sperimentare che lo accomuna ai grandi artisti che hanno fatto la storia dell’arte. Emulo dei grandi Maestri del passato riceve richieste da committenti che in nulla differiscono dai loro predecessori. Ancora papi oggi, ma anche imprenditori e istituzioni, sono coloro che raccogliendo il testimone del passato consentono, rara avis, che l’Italia continui il suo bimillenario “cursus honorum” arricchendo lo scrigno di tesori che è, dall’arte all’architettura, dall’oreficeria, ai tessuti, dalla musica alla poesia. Mi ritrovo a San Lorenzo e e vedo il cursus di questo grande Amico di Artouro fin dagli esordi, che qui è impossibile riportare anche solo a grandi linee. Cito però emblematicamente il recente incarico della Società di Croce Rossa e Mezzaluna (IFRC) la scultura “Presidium” che entra a fare parte della collezione d’arte della Croce Rossa nella sede centrale di Ginevra. Per i magnifici curiosi che sono i nostri lettori rimando al suo sito www.olivierorainaldi.com




