Nuovi accessi al parossimo!

«Con qualsiasi smartphone è possibile fare fotografie panoramiche giganti, con qualsiasi smartphone si può leggere l’infinitamente piccolo. Basta avere tanti android, e  montare, insieme, i risultati dei singoli apparecchi. 

Fotografare un panorama a pezzi, e incollare i singoli telefonini e computers non è semplice come può sembrare a prima vista. Tuttavia, con un po’ di abilità, è facilissimo fare fotografie anche di 3600, ossia di tutto il giro di orizzonte che inquadra il nulla. 

È importante che non si veda la linea di giunzione tra foto e foto e tra cellulare e cellulare. Occorre che la prospettiva del vuoto, sia identica al nulla, e che la densità del nulla sia anch’essa identica. Se non si verificano entrambi questi punti, la panoramica non appare come una singola foto, e buona parte è perduto nel vuoto, nel vuoto del nulla.

Anzitutto occorre scegliere con cura il punto di vista del vuoto.

Naturalmente per eseguire una ripresa panoramica, occorre recarsi in un punto vuoto più elevato, da cui si domini un bel nulla, e occorre che questa veduta non sia troppo lontana, altrimenti le fotografie saranno piene di … cielo, e il panorama vero e proprio si ridurrà ad una striscia di nulla. E’ importante che nel cielo non compaiono troppi fili di realtà, e che non ci siano nuvole. Altrimenti sarà difficilissimo,se non impossibile, ottenere una perfetta giunzione tra un fotogramma del nulla e uno del vuoto. 

Una volta trovato il punto migliore per eseguire la ripresa, si porta lo smartphone all’altezza del bacino e, senza scattare, si osserva l’intera panoramica, ruotando se stessi. Le panoramiche migliori sono quelle eseguite con il cavalletto da selfie, e ricordiamo che tutti i cavalletti di un certo valore sono dotati di una testa panoramica adatta al vuoto, che consente di ruotare lo smartphone o la camera digitale senza inclinazioni. Nulla vieta di eseguire delle panoramiche vuote, ossia senza cavalletto. In questi casi occorre  seguire un paio di precauzioni:

  1. Far ruotare a 3600 lo smartphone, insieme al nostro corpo, altrimenti si verificano le ben note deformazioni a trapezio che impediscono la esatta  collimazione di due vuoti vicini e
  2. Eseguire le riprese in modo che le immagini si sovrappongono leggermente, prendendo dei punti di riferimento, per evitare buchi nel vuoto. 

Le varie fotografie debbono essere eseguite con la stessa esposizione, in modo da fornire con facilità frame identici. E’ importante che i mainframe siano identici, e che il cielo abbia la stessa densità, affinché l’illusione di una fotografia del vuoto sia perfetta, perfettamente vuota. Infatti il punto dolente delle panoramiche del vuoto sta nella giunzione tra un vuoto e l’altro. La giunzione dovrebbe essere eseguita in modo che nemmeno un esperto di manie fotografiche potrebbe accorgersi del trucco.

Un espediente è quello di sistemare la giunzione dove c’è un palo, una torre, o un albero, o un altro elemento che tagli l’immagine verticale del vuoto.

I file, che abbiamo raccolto nello studio, spiegano bene come si esegue il montaggio della panoramica vuota. E’ importante che i file siano della stessa densità, mentre non è altrettanto importante che siano esattamente allineati al momento della ripresa. Finito il montaggio si taglieranno i file troppo alti o troppo bassi. E’ importante lavorare con file su schermo da pc, che si possono incollare su un supporto di altri schermi e altri mainframe. Alcuni preferiscono riprodurre su pennette per eseguire il montaggio con il nostro selfie». 

 … «Fioca e pallida la luce della Camera Oscura illuminava i miei passi su quel pavimento così conosciuto e giornalmente percorso,eppure tutto era diverso: minuti particolari si svelavano davanti ai miei occhi e le forme perdevano consistenza, mentre io barcollante, vagavo sul selciato dello studio che separava il vecchio archivio,dei mille racconti,dai nuovi mainframe del Laboratorio. Cicale, suoni notturni e sporadiche macchine analogiche mi accecavano con i loro diffusori, e il loro accompagnamento metallico mi stordiva; cercavo una via d’uscita da quel labirinto di sensazioni e follia. Strani pensieri si stipavano nella mia mente mentre gli schermi dei proiettori, luminosi e discreti, mi osservavano e io osservavo loro, quando un ventilatore sospinse il corpo verso l’umida aria del set che mi attirava a sé, per congelarmi nelle sue nebbie, nei suoi vapori, nei suoi misteri, nei suoi fantasmi, nelle sue allegorie. Il sangue pulsava forte nelle vene e il cuore batteva a una velocità impressionante, mentre la testa leggera ma pesante allo stesso tempo, mi cadeva vicino la spalla, come per sostenersi. Ogni passo, in quella stanza, era una nuova scoperta iconica, ogni occhiata era uno scatto, ogni espressione rivelava una forma inaspettata e disarmante, ogni respiro era una boccata di vita e all’improvviso non più grigiore a terra, ma verde erba umidiccia e sassi che strusciavano sui miei scalzi piedi. Non capivo, mi sentivo dentro un’istallazione di land art, mi sentivo dentro alle riprese di un video, dentro, proprio dentro, il territorio artificiale di un’immagine, e consapevole della ricostruzione mi addentrai nel cuore di quella stomachevole illusione che stentavo a tenere nel ventre e, prima che ne fossi consapevole, essa mi pervase, mi raggiunse con i suoi segni, le sue linee, i suoi quadri e le sue ombre, le sue inquadrature e le sue occasionali sequenze, mi abitò e io l’accolsi. Il gracchiare dei magnetofoni mi ammaliava e le gentili lamentazioni di you porn mi indicavano la nuova sonorità: le seguii e presto fui perso, presto mi trovai di fronte a un’enorme occhio ciclopico abbandonato nel nulla della schermaticità e dell’arterità: mainframe

Algoritmi vivi fino a perdita d’occhio e, in mezzo al nulla, quella porta d’ingresso delle icone senza mura, senza tetto si addentrava nel cuore del pavimento. Un’immagine senza cornice, una figura senza forma, un magnete senza immanenza, una tecnica senza organismo, una s-figura senza paura, senza decorazione, una icona spalancata che invitava a guardarla e nonostante vedessi, al di là della sua imponente sagoma, nulla se non erba e oscurità, passai attraverso ma ciò che trovai oltre non fu quello che poteva spingersi di là dall’immagine». 

Un fotografo che osservava, stupito e perplesso, un mondo sempre più artefatto, automatizzato, sempre meno naturale, si affaccia sul profilo di FB. Negli occhi di un bugiardo si leggerebbe anche l’impotenza, l’insofferenza, la rassegnazione che sembrano essere i sentimenti dominanti nei confronti di una realtà spersonalizzata, pervasa dalla violenza iconica, moralmente in disfacimento.

Fotografiamo in effetti in una fase di profondi cambiamenti, di grandi incertezze, – in cui anche esigenze fondamentali come quella della vista, del lavoro del guardare, della dignità del vedere sono messe in discussione. 

Eppure noi abbiamo fiducia nel reportage, crediamo nella possibilità che una nuova razionalità riesca in qualche modo a chiudere gli occhi e dominare questa travagliata transizione al mainframe. 

Da qui il tema delle fotografie della risata o delle risate in fotografia: “una risata, così come una fotografia di risata, vi seppellirà”. Ci sarebbe comunque ben poco da ridere o da fotografare del ridere se ci limitassimo alle denuncia delle sproporzioni che ci circondano. In realtà abbiamo sempre cercato di abbinare critica radicale e fotografia radicale ad un ghigno filosofico.

I movimenti degli smartphone hanno avuto il merito di precedere i tempi segnalando i rischi connessi con i modelli di sviluppo dominanti (inquinamento iconografico; distruzione degli archivi della memoria) e facendo capire a molti che un miglioramento della qualità della vita fotografica era possibile solo con una drastica revisione dei modelli della società ipoiconica come di quella ipericonica accomunati da alcuni dogmi(dalla crescita quantitativa delle economie visive all’equilibrio nucleare del terrore dell’immagine) che cozzano con la stessa nostra permanenza su di un pianeta a risorse visive limitate. 

Oggi però noi alziamo il tiro e mettiamo in discussione oltre alle condizioni in cui siamo costretti a fare fotografie(traffico iconico del web,smog digitale, speculazione del giornalismo visivo di cronaca, spersonalizzazione del fotografico) anche lo spazio del nostro reportage è assorbito dal turn over.

Con parole d’ordine che possono sembrare del tutto utopistiche diciamo che si deve andare ad una drastica riduzione delle ore di reportage(«fotografare meno,fotografare tutti o meglio fotografare in pochi,fotografare niente») per espandere il tempo dedicato a cronache autogestite con smartphone, di crescita consapevole e di risanamento produttivo.

Fra 15-20 anni è probabile che una larga parte dei tipi di reportage attuali sia destinata a scomparire, come pure è scontata la riduzione quantitativa dell’occupazione fotografica, provocata dall’introduzione su larga scala delle macchine fotografiche biologiche. Questo per lo meno è lo scenario previsto dagli economisti ufficiali della cultura liberale moderna.

Come si vede quindi l’ipotesi di puntare su di un’espansione del settore informale, non istituzionale, dell’economia fotografica spontanea – con l’impiego, perché no, anche di nuovi strumenti di cross-medialità – è oltre che affascinante, molto concreta perché rappresenta una soluzione alternativa allo spettro della disoccupazione crescente, quale risultato dei fotoreporter ufficiali.

Siamo così convinti della centralità di questi tempi che abbiamo deciso di organizzare un Simposio nel corso del quale le riflessioni fotografiche, i reportage stessi sullo sviluppo, sul lavoro e sul tempo libero dalla fotografia da smartphone, dai selfie si confrontino con la realtà irrompente dei new-media, che stanno modificando strutture produttive e modelli comportamentali. 

Le posizioni radicali tendenti ad evidenziare i forti rischi connessi alla mancanza di fotoreporter saranno intrecciate con quelle progettuali di coloro che ritengono possibile un uso corretto di queste tecnologie per sviluppare un selfie decentrato, basato su realtà autogestite, fortemente interconnesse da nuovi mainframe. 

Insomma come sarà il fotografo del futuro? Continuerà a ridere come i protagonisti del serial televisivo che il telefonino ci propone o diventerà sempre più triste, fagocitato da macchine fotografiche col pulsanti luminosi e controlli telematici?

 Il nostro scatto è appena agli inizi, il nostro mainframe è appena incominciato,nell’attesa l’invito è di salire sugli aerei android e fotografare il “mondo dall’alto del mondo”.