Come titolo, della retrospettiva di Nanda Vigo, è stato scelto Alfabeto Cosmogonico, per indicare un linguaggio artistico pertinente all’interpretazione dell’origine e formazione dell’universo. In effetti, come spiega Mara Folini, direttrice del museo: “Se Piero Manzoni può essere interpretato come corpo, Nanda Vigo è sicuramente lo spirito”.
Alla Vigo infatti, interessava la luce diffusa, impalpabile, sospesa che riesce a rendersi pura materia nello spazio. Quasi un’ossessione, una “rivelazione” che ebbe da bambina, davanti alla Casa del Fascio di Terragni a Como, quando rimase folgorata dalla luce che fuoriusciva dalle porzioni in vetrocemento della struttura, ultramoderna per l’epoca. Durante quella giornata di sole, la giovanissima Vigo, scoprì la bellezza e la luce, due elementi che si depositarono nel suo inconscio ed ebbero libera uscita nella sua produzione artistica.
Tanti sono gli appellativi con cui viene indicata: “artista”, “scultrice”, “designer”, certo è che Nanda Vigo amava definirsi “artista-progettista” oppure ancor di più “architetto”. Ciò richiama ulteriormente la reciproca influenza che si stabilisce tra l’arte e l’architettura: all’arte dona l’aspetto costruttivo e all’architettura l’artisticità di cui era mancante, come sottolinea puntualmente l’allestimento della mostra svizzera.
A introdurla nel mondo dell’arte è stato Lucio Fontana, suo grande amico, grazie al quale è entrata in contatto e poi all’interno del Gruppo Zero, fondato a Düsseldorf nel ’61 dallo scultore Otto Piene, da Heinz Mark, protagonista del Neo Concretismo e della pittura monocroma e da Gunter Uecker, caratterizzato dal sofferto Simbolismo. Nelle opere della Vigo, echi fontaniani si percepiscono in particolar modo nella sensibilità con cui plasma i suoi neon quasi come a scolpire forme astratte nello spazio che diventano oggetti architettonici geometrizzanti.

Il percorso nel Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona è suddiviso in aree tematiche. Si apre con una sezione dedicata all’architettura e per la prima volta vengono ricostruiti, grazie alla collaborazione con l’Accademia di Architettura di Mendrisio, due progetti concepiti rispettivamente nel 1959 ossia le Torri Cimiteriali e nel 1965, il Monumento per i morti del Vajont. Una delle prime realizzazioni della Vigo architetto è la Zero House di Milano datata 1959-1962. Gli spazi interni prevedono pareti composte da pannelli di vetro con telaio di acciaio per permettere la propagazione della luce tra le varie stanze. Le lampade sono assenti, è la luce naturale a essere protagonista assoluta. La Vigo voleva inserire nelle pareti due opere, una di Lucio Fontana che sarà destinata al soggiorno e l’altra, l’avrebbe fatta realizzare dal suo compagno, Piero Manzoni. Quest’ultimo però non vedeva di buon occhio l’attività artistica della Vigo; per lui la donna doveva essere solo moglie e madre. Grande rivoluzionario nell’arte in questo contesto mostrò una grande contraddizione. La Vigo per mesi, infatti, chiese a Manzoni di inserire le sue recentissime “michette” nella grande parete della sala da pranzo. Doveva essere una parete di “panini” ma dopo i suoi continui rimandi, la Vigo chiamò Enrico Castellani. Poi vediamo altri suoi grandi lavori come lo Scarabeo sotto la foglia realizzata a Malo (Vicenza) nel 1965-1968 con la collaborazione di Giò Ponti. Il materiale predominante è la ceramica bianca che ricopre tetto, pavimento, muri e costruzioni in muratura che sostituiscono gli arredi. A cui si aggiunge la coraggiosa scelta di inserire il contrasto con la pelliccia a pelo lungo grigio, che avvolge tutti gli elementi morbidi e diventerà una costante della Vigo. La luce artificiale è perimetrale e a vista. Il nome della casa deriva dalla forma del tetto in cemento armato, una grande foglia che protegge la struttura tondeggiante al di sotto.

Successivamente si può ammirare una tra le sue più celebri opere d’arte L’Ambiente Cronotopico del 1968. La Vigo cominciò a realizzare questa serie a partire dal 1962, in sintonia con lo spirito di Zero. Alla base della sua ricerca sta’ l’ambiente umano che deve essere costituito da luce, trasparenza e immaterialità, di cui i “cronotipi” sono il massimo risultato. Vetri industriali racchiusi in cornici metalliche sono talvolta illuminati da neon da cui si genera una vera e propria “danza” della luce, che penetra e si diffonde come metafora dello spirito, dell’immaterialità e della leggerezza. In collaborazione con Lucio Fontana, presto queste forme diverranno veri e propri ambienti e specchi tagliati da cui la luce intraprenderà un continuo viaggio. Nanda Vigo stessa scrisse: “La luce va e non ha dimensione e si può viaggiare lontano”.
Proseguendo nel percorso si trovano i Deep Space e i Light Tree per poi arrivare al secondo piano, dove lo spettatore è accolto dalla Parete Cronotopica di oltre quattro metri, realizzata per l’occasione e da ora permanente nel museo. Poi si possono ammirare due Genesis Light del 2006 e del 2007, per poi arrivare alla Nanda Vigo designer.
Il design presenta la parte della sua produzione che maggiormente le ha permesso di vivere. Subito si nota la sua passione per la fantascienza, per le realtà parallele e i mondi nuovi e verosimili. Questo incanto vive nei suoi specchi, nelle sue sedie due più, tavoli e strutture varie che sembrano appena usciti da una navicella spaziale.
Uscendo dallo spazio dedicato al design, lo spettatore si trova di fronte ai due grandi obelischi chiamati Goral, parola che nella filosofia buddista rappresenta la luce della creazione e nella religione ebraica il destino scelto da noi.
In un percorso circolare, a concludere la mostra compare l’opera che ne dà il titolo Alfabeto Cosmogonico degli anni ’80, formata da una serie di strutture trapezoidali di differenti dimensioni ricoperte da specchi. Le opere riflettono quindi l’ambiente circostante che diventa parte integrante dell’opera.

Donna pioniera e grande modello artistico per le generazioni successive, Nanda aveva un carattere riservato, a tratti chiuso. Come disse lei stessa: “La libertà è sempre stata la priorità fin dall’inizio. Nella vita ho corso qualche rischio ma senza libertà non può uscirne niente”. Questi rischi la portarono a raggiungere il Premio alla Carriera, datole dal Museo del Novecento nel 2018, insieme ad Arturo Schwarz e Daniele Crippa. Quest’ultimo, collezionista, critico e fondare del Parco Sculture all’aperto di Portofino (MUPA), è stato suo grande estimatore e amico. Nei primi anni ’80, Daniele Crippa ricorda, che Nanda Vigo gli confessò che il suo grande amore per la luce si nutriva del bianco, che caratterizzava la produzione del suo amato Piero Manzoni.
Nanda Vigo Alfabeto Cosmogonico
Ascona (Svizzera), Museo Comunale d’Arte Moderna (via Borgo 34)
2 aprile – 25 giugno 2023
a cura di Alberto Fiz in collaborazione con Archivio Nanda Vigo