Parlami di un tuo maestro, o di una persona che è stata importante per la tua crescita.
Non è una domanda semplice, molti sono stati negli anni i nomi che mi hanno accompagnato nella crescita e portato ad essere chi sono oggi, sia a livello di ricerca artistica che personale…e se ne aggiungono quasi ogni giorno. Dovendone sceglierne uno però, ti dico Bill Viola. Ricordo la prima volta che mio padre mi ha fatto vedere i suoi video, avevo circa 13 anni.
E’ stato come se nella mia mente si fosse aperto qualcosa, una consapevolezza nuova che ha riverberando poi in tutto il corpo.
Lavori come “Anthem” e “I Do Not What It Is I Am Like”, mi hanno fatto vedere come è possibile dar forma al mondo e al pensiero in modo viscerale, narrativo, poetico…morte e vita che si intrecciano senza censura, paura o imbarazzo. L’utilizzo del suono e dell’immagine al confine tra cinema, video arte, realtà e onirico…l’urlo di “Anthem”, i suoni e le immagini di Viola hanno parlato direttamente a quel ribollire interno che
all’epoca non era ancora delineato in me…è stata la spinta all’io dormiente che aspettava la scossa…irrequietezza che negli anni si è trasformata in esigenza, necessità di creare, sperimentare e in qualche modo urlare fuori di me. Lavori successivi di Viola, ricordano e fanno riflettere sulla necessità di tenere sempre a mente il passato e la storia dell’arte, la pittura, il teatro che sono fondamenta e cardine della nostra cultura e di cui nel nostro contemporaneo troviamo rimandi, alcune volte anche inconsci, in immaginari e sensibilità. Per quanto non sia una pittrice, e abbia alcune volte un problema a digerire la pittura come mezzo nel presente, mi ricordo sempre che è parte integrante e estremamente importante per portare
avanti qualunque tipo di ricerca, perché anche senza volerlo è intessuta dentro di noi e non le ci si può mai del tutto voltare le spalle.
Quali sono secondo te il tuo lavoro/mostra migliore ed il tuo lavoro/mostra peggiore? E perché?
Comincerei parlandoti della mostra peggiore, una collettiva fatta qualche anno fa, prima di trasferirmi a Milano. Il problema maggiore è stato il modo in cui il lavoro, un video loop, è stato installato. Motivi legati al come il video veniva esperito, sono stati, in realtà un punto di svolta che mi hanno
fatto rivedere i limiti di lavorare con il solo medium dell’immagine in movimento. L’ambiente non era totalmente oscurato, così che molta luce da fuori entrava invadendo la proiezione, e il proiettore era talmente pessimo da far diventare macchie di colore alcune scene. Il video è una forma che dipende essenzialmente dai supporti tecnologici, così come l’audio.
Una situazione negativa mi ha portato a uno sviluppo per la mia ricerca; illuminata da una nuova luce, mi sono decisa ad ampliare il mio campo visivo e d’azione. Non ho abbandonato il video nella mia pratica, ma ho cominciato a sperimentare con la scultura, mettendo in dialogo più elementi in installazioni più complesse. Il lavoro peggiore…credo sia una performance che, pur avendo avuto dei buoni feedback, non è riuscita come avevo inizialmente immaginato e di cui ho infatti solo qualche ripresa di documentazione. Ci son stati problemi di organizzazione nello spazio e con i performer, poco tempo e incomunicabilità.
La mostra migliore, o almeno quella di cui sono più contenta, è la mia personale “Falsità in buona coscienza”, fatta ormai quasi un anno fa.
E’ stata per me una svolta, ho presentato i primi lavori con il bronzo, inizio della mia collaborazione con la Fonderia Artistica Battaglia, e ho potuto avere la libertà di mettere in dialogo vari lavori sviluppati in più di due anni e mezzo, che visti singolarmente sembravano a sé stanti…ma che mi
hanno fatto rendere conto che da sempre sto creando delle narrazioni, seguendo un filo e unendo molti punti…ho potuto vedere il mio mondo raccolto in un unico spazio, è stata definita una wunderkammer.
Come lavoro migliore parlerei dell’ultimo progetto “Vita come saliente avidità”, che sto portando avanti con quello che sarà un Open Studio, quando si potrà di nuovo uscire, nella storica Fonderia Artistica Battaglia, frutto infatti di un mese di residenza nei loro spazi. Il progetto si sviluppa su più livelli e strati, è una performance in più atti. Da Battaglia ne sarà presentata una parte. Ritengo questo progetto il consolidamento di molti snodi fondamentali della mia ricerca, la cura, il frammento, il conflitto e il trauma. E al tempo stesso è stato, fin dall’inizio, una prova con nuovi modi di operare e pensare.
Se ti ritrovassi su un’isola deserta, proseguiresti la tua ricerca artistica? Se sì, in che modo?
Uhm…dipende un po’ da che isola, è vulcanica, con spiaggia o ghiaccio?
Penso sarebbe molto complicato in ogni caso, ma forse le domande che mi farei sarebbero necessariamente di senso…dovrei sviscerare quello che teoricamente spinge ogni artista a pensare l’arte…nella sua essenza…il fare senza che ci sia per forza un feedback esterno che convalida e “eleva”…senza che per esistere debba esserci certificazione e visibilità. Credo che per un bel po’ di tempo mi limiterei a esplorare, a comprendere la forma dell’isola, a entrarne in contatto con ogni parte, in superficie, così come con il sottosuolo, cercherei pertugi e luoghi sotterranei.
Poi cercherei gli animali, mi apposterei a osservarli, raccogliendo più informazioni possibili per imparare a sopravvivere al meglio nell’isola e nel mio nuovo ambiente. E con il passare dei giorni, dei mesi e chissà forse degli anni…penso che si, la necessità di portare fuori quello che ho dentro spingerebbe come oggi e molto probabilmente in maniere che ora non
posso nemmeno immaginare… prenderebbe forma qualcosa, forse direttamente sul mio corpo o con oggetti utili alla mia sopravvivenza… a cui aggiungerei anche un valore estetico? O chissà, forse mi limiterei a raccogliere pezzi di isola e a tenerli vicini come amuleti e piccole divinità
In che modo sta influendo l’isolamento di questo periodo su di te?
Devo dire che la prima cosa che ho pensato quando ci hanno detto di restare a casa è stato “Dunque posso fare quello che mi accadeva spesso di fare prima…ma ora non mi devo sentire in colpa, più lenta, non “sul pezzo” perché ho bisogno di fermarmi mentre il mondo attorno continua
la sua corsa?…” Tutto il mondo sta prendendo fiato…non è una situazione ovviamente che tutti possono avere il privilegio di vedere positiva…ma è un modo globale per riflettere su un sistema che aveva bisogno da tempo di una scossa e un’ inversione di marcia. Dunque nei limiti di una solitudine forzata e di un rendersi conto, spesso, che ogni cosa costruita probabilmente è crollata e che dovremo scavare tra le rovine…sto prendendo questo momento come una riscoperta di ritmi più lenti, di controllo del respiro…sto ascoltando molto di più il mio corpo.
A livello produttivo dopo un’iniziale smania, figlia ancora dei giorni “normali”, precedenti, quasi per abitudine e inerzia, avevo voglia di produrre…poi lentamente la cosa è andata scemando e mi ritrovo più che altro a scrivere, disegnare e riguardare vecchi hard disk.
Ho trovato una meravigliosa cartella piena di registrazioni che credevo perse e altre che avevo dimenticando…le sto ascoltando, alcune volte mi fan sorridere, altre mi danno una gran morsa al cuore…ma credo di avere parecchio materiale che con calma taglierò e userò…non so ancora se
sarà sentito da altre orecchie. Tanto si potrebbe continuare a dire, tanto è stato già detto e tantissimo si continuerà a dire su questa situazione da film di fantascienza di serie C, dove non ci sono i soldi per gli effetti speciali
eclatanti, gli zombie e gli alieni…
Ma mi sento di citare una parte di un testo che da un po’ ho tra le mani:
“…si nutriva di sé procurando la propria distruzione, mentre tutto ciò che esso pativa o operava in sé e da sé avveniva per arte…l’autosufficienza del mondo implica la sua perenne autodistruzione”.