Arte Fiera 2025
De Filippi, "L'isola della memoria", 1969, tecnica mista su tela, 100 X 100.

L’immagine della natura in mostra – De Filippi, Fossati, Gadaleta

Se affermassi che quello in cui ci troviamo è un periodo storico un po’ “strambo”, forse in pochi avranno da ridire. Non dico che il mondo è oggi capovolto. No. Il mondo è mondo. Rimane e rimarrà quello che è, ed è stato, per chissà quanti altri milioni di anni, almeno finché il Sole lo vorrà – con le ferite, con i marchi, con le distruzioni inflittegli: «Non si sa quanto verde | sia sepolto sotto questo verde | né quanta pioggia sotto questa pioggia | molti sono gli infiniti | che qui convergono | che di qui s’allontanano | dimentichi, intontiti», recita una commovente poesia del grande Zanzotto, il quale, con un secco “non si sa”, esprime perfettamente la forza rigenerativa della natura.

Sul termine “intontito”, però, ci costruirei qualche ragionamento sopra. È intontito, cioè tònitus scrivono i latini, chi è sfiorato da un tuono e, perduto nella paura, nello stupore, necessita qualche schiaffo e qualche minuto di pace prima di ritornare cosciente. Ecco, il mondo a me pare assorto in questa particolare confusione, una confusione nella quale le contraddizioni incancreniscono il pensiero. Mi spiego meglio; e con meglio intendo che mi spiegherò con la mia cara banalità.

Prendiamo un tema a caso: l’ambiente. Ha senso – la butto lì, sul senso (se è ancora interessante questo quesito umano) – ha senso, dicevo, assistere alla morte dell’ambiente e affidare la sua salute a chi per palese impreparazione è inadatto a curarla? Siano essi coloro che siedono sugli scranni o coloro i quali possono soltanto additare con rabbia i colpevoli, poiché gli è imposta burocraticamente sterilità? Il primo e il secondo caso, rispettivamente la politica e le piazze, non dimostrano a tuo avviso una carenza di funzionalità della democrazia quando questa assume tonalità ecologiste? Con un discorso parallelo, ancor più banale, che completi tale ipotesi, probabilmente giungeremo a una chiarezza concettuale finora dribblata.

La politica e le piazze hanno il vizio, spesso, di proporre progettualità inesistenti: un po’ perché è proprio del loro carattere risolvere il complesso con il semplice, non risolvendo infine un bel niente, un po’ perché tra i tanti argomenti che sono tenute ad affrontare perdono di vista la concretezza. Ma, dico, qual è il senso – ce l’ho ancora con il senso – nell’accartocciare insieme contenuti che cozzano, contenuti quali quelli che scriverò qui sotto, ormai divenuti slogan astratti, privi di contatto con la realtà:

a) “crescita economica”

e, sullo stesso piano, e senza nemmeno una pausa,

b) “riscaldamento globale”.

Tutte le masse se ne stanno inginocchiate dinanzi a e b con l’acquolina in bocca; sono pronti a difenderle; e questo “sposalizio” non suscita nessun sospetto. Ma cosa, di preciso, impedisce di comprendere che a e b sono legati, e che a è causa di b? Cosa invita a fingere che a e b non abbiano consequenzialità? Eh, cosa? Be’, probabilmente sia il non sapere quanta natura sia sepolta sotto la natura, per dirla alla Zanzotto, sia una spudorata disconoscenza di essa. Ed ecco il punto che desideravo “toccare”. Come riconoscere la natura? Per immagine? E che immagine ha? Non mi permetterei mai di fornire una risposta all’interno di una recensione: sarebbe di poco gusto, sarebbe arrogante. Tuttavia rinvierei il lettore interessato a un bel libro, Il velo d’Iside, di Pierre Hadot, il quale, da una sentenza dell’incompreso Eraclito costruisce un itinerario interessante sul concetto altrettanto incompreso di natura.

Mi concedo una nota intratestuale adesso, che, placando i miei ragionamenti causati dall’assenza della facoltà di dubitare tipica del contemporaneo, ci accompagni con poco sforzo al tema centrale di questo articolo. Credo che l’abbandono dello studio della natura da parte della filosofia o dell’arte sia stato, mi permetto di sostenerlo, estremamente dannoso. In filosofia per fortuna assistiamo a una notevole rinascita editoriale su paesaggio, giardini, piante (viene ristudiato Rosario Assunto, pubblicano bene Raffaele Milani, Massimo Venturi Ferriolo, ecc.), una rinascita che rimane comunque poco accolta. In arte, però, le italiane a tema ambientale sono ancora molto poche, e tante invece quelle classiche, legate a un concetto di esposizione che oscilla tra un Ottocento rinnovato e un nostalgico minimal.

In questi giorni, alla galleria “Ventoblu” di Polignano a Mare, tre artisti di cui seguo (e spio) il loro itinerario, rifletteranno fino all’8 febbraio 2020 sulla natura e sulle sue “declinazioni”. Scrive in una lunga analisi Lorenzo Madaro, autore del testo critico: «In un momento storico in cui il dibattito serrato sulle emergenze ecologiche è di costante urgenza, tre artisti contemporanei ci propongono specifiche vie di meditazione sulla natura, riletta con declinazioni multiple». Attraverso le “architetture naturali” Fernando De Filippi (Lecce, 1940; vive e lavora a Milano), le “opere a chilometro zero” di Francesco Fossati (Carate Brianza, 1985; vive e lavora a Lissone) e i “paesaggi agrari di Pasquale Gadaleta (Ruvo di Puglia, 1985), infatti, l’immagine della natura, o meglio l’insieme di immagini, o più semplicemente la somma dei suoi frammenti, dialoga per offrire al senso della vista un senso perduto.

Dario Orphée La Mendola

Dario Orphée La Mendola, si laurea in Filosofia, con una tesi sul sentimento, presso l'Università degli studi di Palermo. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione all'Accademia di Belle Arti di Agrigento, e Progettazione delle professionalità all'Accademia di Belle Arti di Catania. Curatore indipendente, si occupa di ecologia e filosofia dell'agricoltura. Per Segnonline scrive soprattutto contributi di opinione e riflessione su diversi argomenti che riguardano l’arte con particolare attenzione alle problematiche estetiche ed etiche.

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