Se l’iconoclastia è il mezzo principe attraverso cui l’avanguardia storica del XX secolo si propone di distruggere l’arte in quanto organismo istituzionale, la natura borghese e capitalista di quest’ultima, allora aveva ragione il surrealista francese George Perec a definire gli eventi della ‘settimana tragica’ catalana la più importante forma d’arte del secolo breve. Un’opposizione anticlericale e antimonarchica, quella divampata in Spagna nel 1909, le cui conseguenze sul patrimonio artistico nazionale e mondiale (“statue decapitate, dipinti sfregiati, architetture sfondate, spazi sacri espropriati, riutilizzo di edifici religiosi, fusione di oggetti di culto per usi industriali e civili, ecc.” per un totale di 139 tra chiese e conventi assaltati – riportano puntualmente José Lauherta e Massimo Mazzone) eguaglia, se non supera, l’opera demolitrice inaugurata dall’avanguardia stessa nei confronti del paradigma estetico anteriore. L’analogia con le torri gemelli di New York – la cui distruzione fu anch’essa definita dal compositore tedesco Karlheinz Stockhausen come la più sublime tra le opere d’arte – è d’obbligo.
In entrambi i casi, le immagini prolificano: nel primo, attraverso cartoline spedite nel mondo per testimoniare l‘evento urbi et orbi; nel secondo, attraverso il consumo mass-mediatico e compulsivo (televisione, fotografia, cinema, ecc.) di cui la tecnologia oggi dispone. L’iconoclastia realizzata nella settimana tragica catalana è de-realizzata dalla riproduzione virtuale e inarrestabile dell’evento stesso nell’attentato alle torri gemelle quasi un secolo più tardi.
Un po’ come fece Alessandro Manzoni, che nei Promessi Sposi illustrò il Risorgimento attraverso la narrazione di una circostanza pregressa (la dominazione spagnola in Italia), Chiese in Fiamme compie un’operazione attuale e spiazzante nella sua dirompente semplicità.
In un’epoca come la nostra in cui l’iconoclastia si svuota giocoforza di senso a causa della moltiplicazione indiscriminata di immagini (più ne distruggiamo, più ne produciamo e viceversa), ci riconduce a un tempo, la Spagna dell’inizio del secolo scorso, in cui il portato simbolico del visibile rendeva l’agire politico – e con quest’ultimo quello (anti-)estetico – ancora possibile. Il valore e il significato stesso della politicizzazione dell’estetica o, all’inverso, dell’estetizzazione globale della politica; in altre parole, l’accezione, ancora attualissima, di quel terrore tutto bizantino del simulacro, sono portati (e con spirito provvidenzialmente iconoclasta!) alla ribalta. Un libro interessante dagli imprevedibili risvolti.
Francesco Proto,
Professore di Cultura Visiva, Teoria Critica, Storia e Progettazione Architettonica a Oxford Brookes University (UK) e autore di Baudrillard for Architects (Routledge).
Escuela Moderna/Ateneo Libertario (2019), Chiese in Fiamme.
Milieu edizioni Milano
Collana Ombre rosse XL
ISBN 9788831977265
Pagine 185, Brossura
testi di Laura Cazzaniga, Matteo Binci, Nicoletta Braga, Elisa Franzoi, Juan José Lahuerta, Joan Maragall, Paolo Martore, Massimo Mazzone, Pedro G Romero, con la serie completa della collezione di cartoline A.T.V..