La Madonna della Vittoria una Committenza piuttosto sui generis

La Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale a Genova è gremita. Sullo schermo campeggia la “Madonna della Vittoria” dipinto commissionato al Mantegna per  ricordare e rendere omaggio al vincitore della battaglia di Fornovo, Francesco II Gonzaga comandante in capo della Lega Santa, che vedeva alleati  Papa Alessandro VI, l’imperatore Massimiliano I, il Re spagnolo Ferdinando II d’AragonaLudovico il Moro e i Veneziani. È Il 6 luglio 1495. L’incarico dell’opera al Mantegna, artista che addirittura visse alla corte dei Gonzaga induce a pensare che i Committenti siano i Signori di Mantova. Le cose però non andarono esattamente cosi. 

Elegante, asciutto, colto,  pacato, chiarissimo nell’esposizione e dotato di un sottile sense of humor, Salvatore Settis apre il grande libro della storia, soffermandosi su questa triste pagina che la dice lunga sull’antsemitismo e  che, ad una lettura più attenta, presenta ulteriori aspetti inquietanti.

La sua, una lectio magistralis sulla Committenza, e in particolare su una Committente per eccellenza come Isabella d’Este, è l’occasione per testimoniare la genesi di un incarico affidato al Mantegna si, dal Duca si, ma il finanziatore va cercato altrove.  Quella che ascoltiamo è in realtà una lezione di filosofia e  di vita. La natura umana è infatti la vera protagonista di una vicenda che apre uno spiraglio inedito sulla tragedia vissuta da  Daniele da Norsia che fu costretto a calarsi  nel ruolo di Committente. Fu il banchiere infatti  a finanziare non solo la  spettacolare del Mantegna, ma anche la Cappella della Vittoria,  per celebrare la vittoria sui Francesi, che peraltro si stavano già  ritirando da Fornovo, di Francesco II raffigurato in atteggiamemto devozionale ai piedi della Vergine, 

La cosa paradossale fu che il dipinto una volta eseguito fu destinato  all’erigenda Chiesa di SM. della Vittoria nata  dalle macerie di casa del da Norsia, casa  da questi regolarmente acquistata nel 1493. Incredibile ma vero, com’è potuto accadere una cosa simile? 

Andiamo con ordine.  

La Marchesa di Mantova colta, potente ma leggiadra e  abile diplomatico, amava circondarsi di artisti che aldilà di appagare il suo piacere intellettuale, svolgevano un ruolo fondamentale ai fini del buon governo; la loro arte grazie ad Isabella, diventava un  passepartout strategico e privilegiato per favorire contatti e accordi. 

Sotto la sua sapiente guida infatti Mantova riusci a mantenere una  posizione indipendente nel precario  equilibrio tra Papato e Impero. Una scommessa quotidiana, giocata sullo scacchiere dell’arte e della cultura. 

Ad Andrea Mantegna, pittore di corte, si affiancavano  altri artisti per arricchire la quadreria, o realizzare lo studiolo più famoso al mondo. Per un periodo operò tra i tanti anche il Perugino che qui citiamo per   il carteggiò tra loro intercorso, illuminante di tali tipologie di rapporti. La Marchesa era una committente puntigliosa, e in qualche  modo lo sfidò  ricordandogli che si sarebbe trovato  a competere con il Mantegna.

Quella che diventerà poi la Madonna della Vittoria, ora visibile al Louvre,   nasce  in un primo tempo nell’ottica di  arricchire la collezione privata della Marchesa. Successivamente Francesco,  penserà  a dedicare una Madonna  come voto per la vittoria di Fornovo. Purtroppo precisa Settis non abbiamo documenti che lo comprovino anche  perché  il pittore viveva a Corte e i  contatti  con Francesco e Isabella erano quotidiani. 

Frnacesco II inizia a concepire l’idea quindi  di rendere omaggio alla Madonna e si affida al pittore di corte, seguendo la strada tracciata da Isabella. Un  incipit sereno che si trasformerà in una vicenda vergognosa che fece vittime e carnefici, una  vicenda che getta un’ombra sul Marchesato e ci  lascia allibiti. Ascoltando Settis, si tocca l’essenza della natura  umana,  che sa essere grandiosa , coraggiosa, intrepida   e generosa,  ma a Mantova  diede in quest’occasione  il peggio  di sé.  Daniele da Norsia, messosi sotto la protezione di Francesco II, nobiluomo ebreo, banchiere, pagò per tutti ma non ė mai stato nemmeno messo in evidenza il suo ruolo. Possedeva un edificio in Borgo San Simone, la sua dimora, che presentava all’esterno un’immagine sacra.  Temendo vandalismi che potevano ricadere silla sua persona, espletò la buocrazia necessaria, anche allora,  e pagato un cospicuo tributo al governo, sostituí   la rappresentazione sacra della Vergine con il suo stemma personale. “Sacrilegio”…

Il  popolino iniziò  a rumoreggiare, coadiuvato da  tale Frate  Girolamo Redini, violento antisemita ,  e   in un attimo  la situazione si ribaltò.  Sigismondo,   allora al governo in assenza del fratello Francesco,  intimò al nobiluomo di ripristinare l’effigigie precedente, cosa  che il pover’uomo fece immediatamente , ma non placandosi il rumore del popolino, al da Norsia fu imposto, pena l’inpiccagione di  distruggere la casa di sua proprietà  e di costruire al suo posto una chiesa per compensare il supposto sacrilegio attuato con l’asportazione dell’affresco. 

Purtroppo la lontananza di Francesco non agevolò  da Norsia che si trovò costretto ad osservare gli  ordini di Sigismondo. Demolita la sua casa,  sulle sue macerie fu eretta la  Chiesa , e al suo interno fu addirittura riservata un’ala per il persecutore del Da Norsia, il Gerolamo Redini. Col ritorno di Francesco la pena venne commutata in un’ingiunzione a finanziare la costruzione di una cappella unitamente all’esecuzione  di un dipinto che  ribadisse la devozione del marchese alla Vergine a ringraziamento per la protezione sul campo di battaglia di Fornovo. Mantegna, pittore di corte, dipinse la pala, che venne solennemente collocata nel 1496, in occasione dell’anniversario della vittoria, grazie. Daniele da Norsia appunto.  Francesco ebbe alla fine un ripensamento ed emise un editto per concedere un salvacondotto a tutti gli ebrei di Mantova.

Lascio al lettore le considerazioni in merito augurandoci tutti di non dover piu assistere a tali ignominie e di dare al da Norsia almeno il giusto rivonoscimento.

Due le curiosita, un cacatua  a sinistra del dipinto, ma la  scoperta dell’America non era ancora avvenuta, e il giallo colore che contraddistingue l’appartenenza alla religione ebraica da allora. La Chiesa subi varie vicissitudini, tra cui le spoliazioni napoleoniche e infine lasciata in stato di abbando. Tra il 2005 e il 2006 l’associazione Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani ha intrapreso un’opera di bonifica e restauro della chiesa, ma vi è ancora da fare per recuperare questa piccola ma importante perla di quella graziosa città gioiello quale è Mantova.

Tiziana Leopizzi

Architetto, giornalista iscritta all’albo da circa 25 anni, è stata nominata accademico ad honorem per la sua scelta di diffondere i valori dell’arte e della cultura in modo semplice e trasversale. È membro quindi dell’AADFI l’Accademia delle Arti del Disegno, la più antica d’Europa, voluta da Cosimo I e Giorgio Vasari nel 1563, che vanta come primo Accademico Michelangelo. Recentemente nel 2018 è stata nominata Ambasciatore della Città di Genova nel Mondo. Il suo mentore è Leonardo da Vinci il cui CV che non manca occasione di pubblicare, è fonte di saperi inestimabili per tutti noi. Usa l’arte come strumento di comunicazione realizzando progetti in Italia e all'estero.

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