Frame dal film "Carrie - la furia", 1999

La fotografia fake (quarta parte) – Ovvero la fondazione definitiva della fluff-art o della (phos)-fluff-art

La fenomenologia della fluff-art, totalmente spoglia di vissuti, è la celebrazione di un atto del sotterrare e dell’ accecare della scrittura e che, in quanto tale, non può vedere nulla. Castrashia ritrovando il vissuto malefico, occulto, oppressivo, ibernante dell’atto intenzionale, emulato, che si rivela a se stessa anteriormente e indipendentemente da ogni relazione e da ogni opposizione (atto malefico e sua componente repressiva), può portare la fenomenologia del trash al suo approdo naturale e necessario, quello dell’autoesaltazione e dell’identità violenza-narcisismo.

6. Il lavoro di Ibernazione contro il libro: Nell’immensa e oscura cripta sotterranea della Montagnola di Sopra, chiusi sotto spesse lastre di cristallo, giacciono i più illustri libri della storia della scrittura, anzi delle scritture, i migliori scienziati sociali, i migliori critici dell’economia politica, i migliori antropologi, i migliori poeti, i migliori psicologi, i migliori filosofi e soprattutto i migliori romanzieri e drammaturghi. Neppure gli occultatori più arditi avevano saputo concepire una sepoltura più magnifica di questa. Dal sarcofago di ognuna delle pile di libri, si irradia una bizzarra aureola di tubi di vetro dentro cui palpitano misteriose luci. Il visitatore ammesso in questo Pantheon contempla le tavole di scrittura severa dei grandi miniaturisti e dei grandi monaci per incunaboli, rotoli pregiatissimi, documenti importantissimi che da secoli hanno onorato la storia dell’umanità ed intanto un sottile brivido corre per il corpo del guardiano. Sotto le lastre di cristallo tutti quei libri che paiono morti perché possono esibire solo la loro copertina, e quindi un’immagine ridotta, in realtà sono congelati, profondamente ibernati, insensibili al trascorrere dei secoli, attendendo il momento di essere risvegliati, anima e corpo, come in un fantastico giorno del giudizio.

Oggi tutto questo è pura realtà, grazie alla funzionalità iconografica di Istagram, ma gli scienziati della fotografia moderna stanno lavorando per farlo diventare realtà determinata e deterministica. Entro una trentina d’anni, i fotografi nazisti come Castrashia saranno riusciti a far cadere il libro in uno stato di così profonda ibernazione (istagram) da permettergli di passare lunghi periodi di occultamento del logos senza far subire all’immagine il minimo danno. Restando fuori dall’ibernazione un mese ogni secolo, un libro nato al tempo di Cristo potrebbe vivere sino all’anno del signore ’90 mila. Tutto ciò potrebbe sembrare pazzesco se già, in parte, non avvenisse nella natura di istagram. Certi libri microscopici, che vivono nelle biblioteche più impensate, e il cui ciclo vitale non dura più di qualche stagione, possono venire disseccati e ridotti, conservati in una boccetta. Quando poi vengono messi a contatto con un ambiente umido, anche se sono passati venti o trent’anni dal momento in cui furono seccati, si rimettono immediatamente in moto nella loro foliazione, come se niente fosse stato. Durante il periodo in cui restano chiusi nella boccetta, sono contemporaneamente morti e vivi. Morti perché in essi non si svolge, né si dà vita a nessun fenomeno di lettura, vivi perché in realtà continuano a conservare la possibilità di crescere (poeticamente: poiein) nonostante si ritrovino in uno studiolo adattato per stendere un trattato teologico-politico.

«Guardiamo adesso con un microscopio a contrasto di fase (che permette di osservare i microrganismi che si sviluppano tramite logos, frasi, proposizioni abruption, accenti, accusativi alla greca, adéspota, adynaton, aferesi, aforismi, agnizioni, alcaiche, alessandrinismi, allitterazioni, allotri, etc …) una goccia di gelatina dentro cui alcuni dizionari retorici si muovono lentamente. Raffreddiamo il tutto fino al momento in cui l’acqua dentro ai contenitori, che distanziava un volume dall’altro, si congela. Proviamo adesso a riscaldare la gelatina con la speranza che i micrologos ghiacciati si rimettano a vivere, ovvero si riespongano alla lettura».

Purtroppo, al momento del congelamento, il ghiaccio che si è formato all’interno dei microrganismi ha leso la complessa struttura cellulare del logos, determinandone la morte. Ogni cellula di logos, insomma, manipolata dai fotografi addetti ai lavori, ed in particolare dal gruppo diretto da Castrashia, che si occupa della fotofuffica, è scoppiata, come d’inverno scoppiano le tubature dell’acqua corrente. «Proviamo adesso a raffreddare la nostra goccia di logos, in maniera rapidissima e profonda, per esempio spruzzandola con aria liquida: questa volta accade qualche cosa di diverso. L’improvviso abbassamento della temperatura ha impedito al ghiaccio di ledere la fine struttura intercellulare di ibernazione. Pur mummificati dal freddo dell’Immagine Padrona, i micrologos non sono scoppiati: sembrano piccoli otri di vetro. Mettiamo via in frigorifero la goccia di gelatina grafica e dopo qualche mese riponiamola sotto il microscopio, riscaldandola con cautela». Quando la temperatura avrà raggiunto una certa atmosfera e un certo livello, vedremo i micrologos rimettersi a muovere, come se per loro non ci fosse mai stato un periodo di interruzione vitale. Per finire ricordiamo che molte parole, molte frasi, molti  tomi enciclopedici sono chiamati ibernanti, perché trascorrono l’inverno, forzatamente, in un profondo letargo durante il quale i loro bisogni vitali sono ridotti al minimo: poco ossigeno a quelle voci di dizionario e poca musicalità, bastano a tenere l’Aforisma in vita.

Già oggi, dunque, sappiamo che è possibile porre la materia della scrittura e della voce in uno stato di rallentata attività in modo da farla scartare un tempo molto più lungo di quello per cui fu creata dalla natura. Gli sforzi dei fotograficidi tendono oggi a dare al poeta l’impossibilità di comportarsi come i microbi vivi o attivi, inframmezzando così la vita con lunghi periodi di letargo artificiale: isolamento e ibernazione da fototrashicidio. In tal modo, anche se la durata totale della vita poetica da svegli resterebbe uguale, tra il momento della nascita e quello della morte potrebbero intercorrere anche migliaia e migliaia di anni. Se una simile scoperta fosse stata fatta già al tempo dei romani, Castrashia avrebbe potuto riunire al suo banchetto di morte Leopardi e Paul Celan, Virginia Woolf e Pierre Bordieu, Michel Foucault e Rainer Maria Rilke, Brian Eno e Emilio Villa, Giulio Carlo Argan e Franz Kafka,Bruno Munari e Francesco Borromini, David Cross e Ingeborg Bachmann, Marcel Duchamp, John Cage, Guido Ceronetti, Dino Campana, Antonio Gramsci, Vincenzo Agnetti, Rosa Balistrieri, Jean Luc Godard, Robert Wyatt, Roland Barthes, Terry Gillian, Jacques Derrida, Emmanuel Lévinas, Luigi Ghirri, Gianni Celati, Carla Lonzi, Ken Loach, Zsofia Boros, Albert Camus, Egberto Gismondi, Andrej Tarkovskij, Cesare Pavese, Carmelo Bene, Marina Abramovic, Zygmunt Bauman, Miroslav Vitous, Vladimir Jankélévitch, Frank Zappa, Susan Sontag, Luciano Erba, Vladimir Majakovski, Pier Paolo Pasolini, etc … Non c’è dubbio che lo sfoggio su FB delle grandi intelligenze strumentalizzate sul profilo meschino di Giovanna G.L. Castrashia potrebbero dar luogo a una concentrazione di falsificazione e di maleficio tali da sconvolgere l’attuale fluire della Fuffa (meschinicidio). Non è difficile immaginare (o forse lo è troppo) ciò che accadrebbe se, con la sua immensa mafiosità, si alzasse oggi a parlare Castrashia per imporre ai suoi stessi amici, l’ideale supremo di quelle citazioni avvelenate dalla sua stessa poltiglia mentale. Quali potevano essere le vie per giungere, secondo la logica di Castrashia, quella che non sa neanche trascrivere le citazioni, per la realizzazione di questa repressione totale? Quale terremoto accadrebbe, nella testa di Ale Ci Fa, se i motivi del contendere sono la pura soppressione.

I fotograficidi di tutto il mondo lavorano su molte strade. Già oggi è possibile applicare alla parola degli uomini l’ibernazione artificiale da FB. Mediante l’intenzione di un complesso di veleni fotografici, si provoca nel corpo della scrittura e del suo significato un profondo abbassamento della pressione sanguigna. In tal modo è possibile raffreddare il corpo della poesia senza alcun suo danno e portare la temperatura dei corpi ad uno stato di inattività e di catalessi. A questi limiti, le cellule della scrittura, della poesia e del romanzo, specialmente quelle nervose che ne sono solitamente avidissime, possono continuare a vivere condizionate dal controllo fotografico con uno scarsissimo apporto di ossigeno. Durante la repressione artificiale delle voci tramite FB, insomma, il corpo vive al rallentatore: il cuore della parola batte lentamente, la pressione quasi si annulla, ossigeno e zucchero vengono consumati in quantità minime. Per il momento l’ibernazione artificiale della letteratura applicata a tutta la parola non potrebbe servire per gli scopi di cui parliamo. Infatti il rallentamento così indotto non sarebbe sufficiente (a parte altre difficoltà digitali) che a raddoppiare la lunghezza di espressione dell’immagine muta. Ciò significa che un romanzo ibernato nel web, per due anni, in realtà invecchierebbe soltanto di un anno. Esperimenti condotti su piccoli volumetti hanno mostrato che non dovrebbe essere impossibile raggiungere un rapporto di uno a cento volumi, vale a dire ottenere una ibernazione così profonda che, nel corso di un secolo di morte annunciata. Naturalmente l’ibernazione delle scritture della conoscenza sarebbe quella per cui, durante la minaccia continua della fotografia, il soggetto del romanzo non invecchia minimamente. E’ chiaro che se ci si vuole avvicinare a questa ibernazione ideale bisogna scendere il più possibile oltre lo 0° della scrittura nei media e nell’estetica del brutto.

A suo modo totalitaria la nostra società funziona come una trappola per chi diventa o voglia diventare un uomo o una donna di potere. Poco importa se Castrashia rifiutasse il termine. Castrashia aveva bisogno di inserirsi in una società e quindi faceva di tutto per smentire e catapultare le parole di Maria Luisa Boccia al Convegno “Il lungo ’68” (Roma 17 nov. 2018, Uguaglianza Differenza La Rottura politica del femminismo, Relazione sviluppata al Centro per la Riforma dello Stato): “Non c’è una teoria e una politica femminista, nel senso che non c’è un progetto e un programma a cui rifarsi. La sfida è quella di tenere vivo il nesso tra presa di coscienza della singola e significazione comune. […] Per me la preoccupazione oggi più forte è che gli uomini non tengano il passo di questa trasformazione […] Poiché il femminismo è una rivoluzione in atto, mai compiuta definitivamente, senza questo spostamento maschile sarà più difficile procedere”. Castrashia aveva bisogno di trasformare la nozione di “spostamento maschile” in quella di ibernazione civile. Castrashia aveva bisogno di eseguire gli ordini della zia Italia e soprattutto per nascondere il sopruso che aveva arrecato ad Angelo, portandogli via fotografie, registrazioni, materiale originale di scrittura e sceneggiature, rubandogli soldi di vendite di libri. Tutto dopo aver giustificato ed occultato le botte e le umiliazioni subite dallo stesso Angelo, dopo avergli tolto il diritto alla verità ed alla trasparenza, strumentalizzando la possibilità di intraprendere qualsiasi percorso di elaborazione del trauma e qualsiasi occasione di dialogo e relazione umana. Castrashia perseverava nelle sue smanie di aspirazione ad uno status borghese, fintamente alternativo, e voleva convincere Angelo a reprimersi, a zittirsi, con la forza della coercizione strumentale. Il fine era quello di indurlo con edulcorate fandonie, a lasciar perdere di denunciare Marco per la violenza subita e scrivere una sorta di  «pseudologia semiologica» per giustificare i fotofuffemi, che le avrebbe dato fama e potere, sulle alte vette della Buia Montagnola.

Borghese, con un piccolo ed elevato potere d’acquisto, una borghese più o meno avversa alla borghesia. Illusione? La storia di Castrashia, non sembra aver lasciato tracce di una casta o classe dominante che sia riuscita, quanto l’attuale sua stessa fenomenologia, a rendere politicamente corretta e organicamente trionfante la mediocrità fuffologica dell’Immagine, contro la politica dei libri e della scrittura. Fuffagine eretta a sistema oggettivamente coercitivo, contro Angelo e i suoi simili: dandogli del Padre tradizionale (per non fare i conti con suo padre e sua madre). Il sistema dell’occultismo di Castrashia si fonda sulla considerazione, grossolanamente restrittiva, dei bisogni della donna, poi sullo sfruttamento di questi bisogni in chiave totalmente strumentale e manipolativa. Partendo dalla scusa essenziale dei bisogni primari legati all’accoppiamento (e al matrimonio coatto) che giustificherebbero la sussistenza umana, il sistema occulto e coercitivo di Castrashia sviluppa e costruisce un’infinità di altri bisogni, poiché gioca su di essi, su quelli della specie contro i suoi istinti e le sue aspirazioni. Ma dato che istinti e aspirazioni non possono essere totalmente repressi nelle persone, si degradano e si riducono a contingenze ordinarie, scatenando la caccia all’uomo benestante, possibilmente in buona forma fisica e con Rolex al polso. L’essenza del bisogno consiste nel non tendere a nulla, se non al proprio soddisfacimento attraverso il consumo del sessismo femminista. L’aspirazione alla libertà può degradarsi, ad esempio, fino a diventare una tendenza di genere alla moda. Il borghese deve essere un individuo alienato, perché deve conoscere solo i propri bisogni visivi e i bisogni residui dei suoi istinti, dei suoi desideri e dei suoi ideali, restare interamente sottomesso, senza nemmeno sospettarlo, alle leggi di gravità e di degradazione della società dell’immagine.

Il delirio politicamente corretto e castrashista deve  raggiungere livelli acuti ed esacerbati (per  dirla tutta li ha già raggiunti da tempo…). Questa volta in un centro Studi Internazionale (ma guarda un po’…) Castrashia  ha deciso che “Meta-Riverberi” è un poema maschilista scritto da un maschilista e quindi non deve essere più  diffuso nelle scuole e, meglio ancora, deve essere bandito, anzi deve essere bandito in quanto libro, perché, insieme a tutti gli altri libri deve essere spianato in una forma radicale di ibernazione. Sarebbe però sbagliato considerare tutto ciò come un semplice delirio di Castrashia. O meglio, lo è nella misura in cui alcune ideologie, portate all’estremo, diventano oggettivamente anche parossistiche, ma Castrashia non è da sola, Castrashia, con la sua  pistola fotograficida inneggia alla minaccia di ben altro.

Possiamo però pensare il nazismo (il trashiazismo) come il mero delirio di uno pazzo giunto non si sa come al potere? Sarebbe una soluzione troppo semplicistica e anche estremamente riduttiva. In realtà il nazismo fu una particolare forma di dittatura di classe e di imperialismo supportata da una ideologia esplicitamente razzista spinta, questo sì, all’estremo. Da qui (anche) il delirio di Castrashia e della sua compagine diretta dalla psicofuffa di Ale Ci Fa.

Qualcuno sarebbe capace pensare che il termine di paragone sia esaltato ma io penso che da un punto di vista  empirico non sia così. I nazisti bruciavano i libri in piazza, queste/i altre/i li vorrebbero abolire/rimuovere per decreto, ma l’intenzione è la stessa: cancellare la storia per riscriverne un’altra, sulla base delle rispettive ideologie. Naturalmente, se tanto ci dà tanto, se si dovesse cancellare  «Meta-Riverberi» dalla storia, si dovrebbero coerentemente cancellare anche i successivi duemilacinquecento anni di storia della letteratura e del pensiero filosofico. Ovviamente questo è impossibile ma ciò che conta è l’intento e lo “spirito” di queste esaltate. Ricordo che questo bombardamento ideologico-mediatico va avanti da almeno un paio di decenni, ma negli ultimi quattro o cinque è stato un vero e proprio crescendo. Non bisogna assolutamente sottovalutare il fenomeno perché – proprio come sosteneva Marco Polidori, sosia de ‘il ministro della propaganda nazitrash’ – una menzogna, ripetuta migliaia e migliaia di volte, diventa una verità. È in questo modo che si crea un immaginario condiviso che può produrre dei mostri, come la storia ha ampiamente dimostrato.

A parere del Comitato dirigente di Castrashia, fondatrice di Fuffileaks, Angelo S.T. non sarà sbloccato, fortunatamente, non sarà estradato fuori dai confini di assedio ibernativo.

Siccome non credo all’autonomia dei tribunali e delle magistrature in casi come questo (cioè quando c’è di mezzo il furto aggravato da parte di Castrashia ai danni di Angelo), tendo a pensare che la nuova amministrazione castrashica abbia ritenuto politicamente più utile lasciarlo dove è attualmente, cioè in ibernazione.

È probabile – ma è soltanto una ipotesi – che una delle strategie che adotteranno potrebbe essere quella di spegnere nel tempo l’attenzione dei media su tutta la questione dei furti e delle violenze e di far riemergere le teorie fotofuffemiche. In tutto ciò, è stato vergognoso il silenzio complice delle “sinistrate opening people”, sia quelle liberali che “radicali” che non hanno mosso un dito per affermare la giustizia.

7. Nota finale alla Fluff-photography. Per giustificazione della Fuffa si intende un complesso più o meno elaborato di processi psicofuffici, sociofuffici e antropofuffici che concorrono a fabbricare uno schema interpretativo e operativo della violenza, in base al quale un atto che sarebbe altrimenti considerato un crimine dallo stesso individuo che lo compie, e dalla gran maggioranza di chi ne venisse a conoscenza, viene rappresentato come se non lo fosse. Oppure, come nel caso più sfavorevole, come se fosse necessario – per esempio, per evitare un crimine più grande – se non anzi indotto dalla natura o dalla reazione della vittima. 

Sarebbe interessante incontrare chi ha orchestrato la fandonia della psicofuffa, e che non si mostra personalmente, per rassicurarlo (o rassicurarla): guardi che da sempre la Magia ha utilizzato la formula “Il simile attrae il simile”, che, a quanto pare, oggi è nota come Legge della Psicofuffa. Il problema, per chi voglia utilizzarla, è comprenderne fino in fondo il meccanismo, che non risiede solo nel pensiero positivo. Magari fosse così facile!

È straordinario come la cultura, che da un lato ci riempie di paure, anzi: ci vende paure, ci venda anche le tecniche per superarle. È come se il marketing ci vendesse contemporaneamente due prodotti opposti: il veleno e l’antidoto. C’è il brand della paura per la fine del pianeta, per l’esaurimento delle materie prime, per il  riscaldamento globale, per la fine del mondo, per lo sbarco di mostri alieni cattivissimi, per l’aereo che precipiterà, che si traducono in film come 2012, The Day After Tomorrow, La guerra dei mondi, eccetera e c’è il brand del superamento della paura, con un vasto insieme di tecniche che ti insegnano (a pagamento) a superare le paure. C’è il brand dell’inquinamento e quello dell’autonomia (come farsi l’orticello e vivere felici senza OGM). C’è il brand della malattia, con terrorizzanti influenze in arrivo e quello dei vaccini. E via di questo passo. In una cultura che fa il marketing dell’instillare la paura, sembra che il brand del superarla sia molto redditizio.In una cultura che non fa che instillare il senso del peccato e generare il suo effetto più diretto,ovvero il senso di indegnità personale, sembra che il brand del superare il senso del peccato sia molto redditizio. Il Leviatano di Giovanna Castrashia indicava come ci siano due elementi attraverso cui una fotografia attrae il nostro sguardo. Uno è il fotofuffema, ovvero l’aspetto  fuffico, banale, cialtrone, falso, idiosincratico del sessimo fotofuffico, un interessamento per un’immagine che solleva domande relative alle informazioni che l’analisi del soggetto ritratto ci può fornire. E uno è il fotofuffismo ad alto eccipiente creativo, che invece mette in movimento qualcosa di irrazionale, emotivo, assassino, violento, pronto ad affossare la parola e qualsiasi forma di testo scritto: un dettaglio catalizza la nostra attenzione, incrina lo schermo tra noi, l’immagine e Castrashia, col suo click, esegue il colpo finale. Il  punto assassino di una fotografia è quella fatalità che, in essa, mi punge, ma anche mi ferisce, mi agguanta nella morsa della bruttificazione leviatanica.