La casa di Wendy di Gabriella Siciliano, Fondazione Made in Cloister, Napoli, Ph by Maddalena Tartaro

La Casa di Wendy: Gabriella Siciliano alla Fondazione Made in Cloister

Nello spazio del LAB.oratorio della Fondazione Made in Cloister di Napoli, Gabriella Siciliano ha creato un’istallazione site specif e immersiva in cui, tramite la vita di Wendy, lo spettatore visiona le sue passioni più remote e sfida i presagi di una civiltà ormai alla deriva.

Dal 2016 la Fondazione Made in Cloister ha riconvertito in centro espositivo di arte contemporanea una parte del cinquecentesco Complesso Monumentale di Santa Caterina a Formiello. Tra gli ambienti riqualificati vi è LAB.oratorio, il corridoio di collegamento tra la parte conventuale del Complesso e la chiesa di Santa Caterina. In questo spazio liminale, dove sono ancora visibili le stratificazioni storiche e il passaggio tra il sacro della chiesa e il quotidiano del convento, è collocata l’opera di Siciliano, o meglio, qui è disposta la casa di Wendy. 

Avvolta da un’atmosfera calda, lontana, ma indomabilmente vicina, è un’enorme creatura. Forse la nostra presenza l’ha interrotta dall’intimità del riposo, oppure sta per accoglierci, invitando lo spettatore a entrare. Wendy è blu, ed è in un letto, dormiente o morente. Wendy è lunga circa 7 metri ed è un mostro, apparentemente. 

La sua casa è spoglia, tuttavia sembra che l’essenziale non manchi: vi è uno specchio in cui è attaccata una fotografia di quando era a Parigi, una lampada, un tappeto su cui c’è un puzzle incompleto, ma munito di tutti i pezzi, e un letto gigante, davvero comodo. La foto la ritrae con un cappellino bianco da baseball davanti alla Tour Eiffel. Il puzzle raffigura un mare mosso. Entrambi sono oggetti che indicano una vita vissuta dentro e fuori le mura di questa casa. Eppure, escluso il letto, gli oggetti sono a dimensione umana, destando il sospetto che piuttosto che essere lì per lei, stanno invece aspettando il nostro arrivo. 

Avvicinandosi all’opera si coglie meglio il carattere misterioso della creatura. Wendy ha la forma di un serpente privo di squame con la testa di un’iguana. Il suo tegumento è blu, perlato, lucido e gommato, in alcuni tratti sembra essere vivo, soprattutto quando le colature del silicone simulano dei filamenti bavosi. Ciò nonostante, l’animale non produce un sentimento di orrore. Le sensazioni comuni che si provano dinanzi ad esso sono un misto tra tenerezza e profonda inquietudine, come ci dimostrano alcuni messaggi contenuti nel quaderno per registrare le presenze fuori dall’istallazione. Siciliano conferma questo tipo di esperienza emotiva affermando, nel catalogo della mostra, che le «affascina il rapporto che intercorre fra la depressione e l’intrattenimento. L’allegria e il dramma sono la combinazione che mi guida nel realizzare un’installazione».

Quali sentimenti migliori per esprimere la confusione della generazione nata dopo la caduta del muro di Berlino, in quell’età definita da molti “della fine della storia”, i cui postumi gravano ancora su milioni di persone soprattuto per quanto riguarda vite materiali strette tra le crisi economiche prodotte in seguito? La generazione che ha visto sostituire la lira all’euro, che ha assistito al tramonto delle grandi ideologie, inserita totalmente in una passivizzazione dell’umano in un contesto di maggior individualismo e competizione, è il soggetto a cui l’artista indirizza l’opera.

L’idea della precarietà è meglio definita nel catalogo dalle pagine del Diario di Wendy scritte da Alberta Romano. Parole commoventi perché umane, così simili alle nostre vite. 

Wendy è una giovane che emigra in cerca di futuro perché il presente nel suo paese non le permette una vita dignitosa. Wendy sposta la sua vita a Londra, ma il lavoro tanto agognato ben presto la farà sentire sola. La capitale britannica non è la sua città, non ha legami consolidati come quelli degli amici di sempre e della famiglia. Wendy passa le giornate a casa quando non è occupata dalle scadenze e dai doveri. Nel settembre 2024 scrive al suo diario: «Nella mia vecchia cameretta rappresento un corpo alieno. Gli oggetti che mi circondano non fanno che rievocare in me sensazioni vaghe e idealizzate dal tempo che intercorre tra me e loro. Non sento più miei i libri, i poster, le lampade che puntellano questa stanza, ma allo stesso tempo vorrei che nulla lasciasse, nemmeno per un istante, la propria posizione. Sono nove anni che vivo e lavoro all’estero. Vivo e Lavoro, come scrivo sempre sui curricula. Sembra che alcuni posti siano fatti solo per lavorare, e altri solo per vivere. Ai secondi non segue quasi mai la formula “vivo e lavoro”, chissà perché. A volte, il peso di ciò che ho provato a dimostrare, a me e agli altri, è soffocante. Oggi, anche quel peso, si “è steso qui” sul letto insieme a me, a guardare passivamente i puntelli di una spensieratezza che non sapeva di essere tale».

Per questo Wendy è un indecifrabile mostro. Wendy non è soggetto, è condizione. Alieno è chi va via dalla propria casa per cercarne un’altra che, tuttavia, non riesce a sostituire il calore di sempre, limitandosi ad essere dimora. Gabriella Siciliano, attraverso la messa in scena della casa di Wendy, ci espone alla nostra alienazione, mette in mostra i limiti di un mondo in corsa verso la catastrofe dove è sempre più difficile fermarsi a pensare. 

La mostra è occasione di meditazione, di esposizione del dolore. Con velata nitidezza, la messa in scena, però, non è una finzione da teatro: è la cruda realtà, soprattuto quella di Napoli, nel sud Italia, che storicamente ha visto i suoi giovani coinvolti in un esodo senza fine verso zone più ricche. 

Cosa ci resta? Cosa siamo ancora in grado di produrre nella nostra difficile condizione e come ne possiamo scampare?

L’evasione, e quindi il viaggio a Parigi. Il gioco, da qui la presenza del puzzle. 

Ma più di tutto l’arte: la capacità di svelare il reale con un linguaggio diverso, allegro ma non per questo rassegnato.

La casa di Wendy di Gabriella Siciliano, Fondazione Made in Cloister, Napoli, Ph by Maddalena Tartaro
×