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Jitka Hanzlová, Architectures of Life

Nata nel 1958 a Náchod, nella Repubblica Ceca, Jitka Hanzlová è una fotografa che per oltre trent’anni ha ritratto l’umano, l’urbano e la natura nelle sue serie fotografiche. Profondamente segnata dalla sua esperienza di esilio agli inizi degli anni Ottanta e dal ritorno nel suo Paese natale dopo la Rivoluzione di velluto del 1989, Hanzlová ha sviluppato nel tempo un proprio linguaggio espressivo. Un vocabolario visuale che indaga, attraverso i soggetti ritratti, i temi dell’identità e dell’appartenenza, li solidifica e li cristallizza, in uno spazio che esprime la vicinanza tra due interlocutori – il fotografo e il fotografato – per tentare una relazione.

La quarta personale dal titolo Architectures of Life che Galleria Raffaella Cortese di Milano le dedica, segue l’ampia mostra antologica alla National Gallery di Praga dello scorso anno curata da Adam Budak. E segna in qualche modo un cambio di passo nel percorso dell’artista che decide, in questa occasione, di attuare un mescolamento delle immagini estrapolandole dalle diverse serie e ricollocandole nello spazio espositivo secondo un criterio differente, nuovo, che trascende quello strettamente vincolato all’appartenenza progettuale. 

Si tratta piuttosto di andare alla ricerca di un filo conduttore, invisibile e impercettibile, e di farlo affiorare dalle pieghe dell’esistenza. Di scovare il filo rosso che si annida negli anfratti lasciati vuoti dalle architetture della vita. Ecco perché, per la prima volta, città, natura e animali convivono organizzati in sequenze apparentemente disorganizzate, ma in realtà precise, accurate, che mai fanno concessioni alla casualità. In cui perfino gli spazi vuoti – interruzioni e pause marcate dal silenzio – fanno parte di un ben orchestrato disegno relazionale, appartengono a una geografia emozionale in cui la fotografia aspira a un rapporto di vicinanza, di prossimità. 

Le anime perse e senza meta di Brixton (2002) “tutte quelle anime smarrite di donne che vivono in luoghi alieni, presi in prestito, che sperano disperatamente siano solo temporanei” convivono con i cavalli Horse (2007 — 2014) a cui l’artista riserva la stessa curiosità che riserva all’uomo e con la natura, sia essa in forma di foresta Forest (2000 — 2005) o di acqua come nella recente serie Water (2013 — 2019) che espande ancora di più lo sguardo trasversale di Hanzlová. E poi di nuovo uomini e donne e volti e sguardi come in Bewhoner (1990 — 1994), Tonga (1993), Hier (1998, 2005 — 2010), Cotton Rose (2004 — 2006), si susseguono in un flusso continuo di immagini, nel continuum della vita. 

Al cospetto di questa vita, al capezzale di queste architetture esistenziali, bisogna recarcisi. Niente arriva con immediatezza, nulla si arroga il diritto dell’evidenza. L’allestimento, il formato scelto per le fotografie, il colore delle pareti, tutto insomma dice il tutto che c’è da dire con un certo garbo, con quella sofisticata semplicità che caratterizza la poetica dell’artista. Con la pacatezza che sempre esige l’avventurarsi nello spazio dell’intimità altrui. Quella che serve a frugare nella fisionomia interna del reale. 

Jitka Hanzlová, Architectures of Life
Galleria Raffaella Cortese, Milano Via A. Stradella 1–4
4 febbraio – 24 aprile 2021
A questo link una intensa e bellissima conversazione tra Ursh Stahel e Jitka Hanzlová

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