Vis à Vis
Opiemme, Meriggiare pallido e insorto, 2024. Ph. Limiti Inchiusi

Ivano Troisi e Opiemme a Vis à Vis Fuoriluogo

Riconsiderazioni di un’idea semplice di abitare il mondo attraverso le poesie itineranti di Opiemme e l’installazione di Ivano Troisi a Vis à Vis Fuoriluogo

Ancora una volta il forte carattere identitario dei paesi scelti per la ventisettesima residenza artistica Vis à Vis Fuoriluogo, ha influito sulla ricerca degli artisti che si sono ritrovati a vivere immersi tra piccole vie in pietra e verde tutt’intorno.

Quest’anno il progetto molisano di residenza artistica a cura di Tommaso Evangelista, ha visto due interventi artistici: quello di Ivano Troisi e quello di Opiemme; un gruppo di Torino formato da Margherita Berardinelli e Davide Bonatti.

Ivano Troisi ci racconta, con un certo romanticismo, di una celebrazione legata al mondo contadino ed agricolo.
Opiemme invece usando un linguaggio più veloce e incisivo, vuole dare risalto a questioni legate a contesti semplici che con fare quasi provocatorio, vogliono mirare ad un mutamento che sta nel prendere coscienza che a volte cambiare significa fare un passo indietro. 
Così scrive e rammenta a tutti la frase, in forma quasi monumentale, ricorda che siamo natura la cui struttura diventa cornice di un angolo incontaminato del paesaggio circostante.
Opiemme vuole ricordarci che non viviamo nella natura, siamo natura. 
Potrebbe questa semplice frase, farci riflettere sull’odierno approccio che ha l’uomo moderno verso l’ambiente che abita? 
Al punto da riconsiderare questa fascinazione nei confronti della natura che ci porta a considerarla come mondo a sé stante e non come unico grande insieme in cui viviamo e di cui facciamo parte.
L’intervento itinerante di Opiemme che va ad abitare le strade di Carpinone, dischiude nessi e riappropriazioni verso un’idea di origine antica ma sicuramente di cui bisogna prendere atto.

Ciò che resta è ciò che cambia è invece un paradosso che sottolinea come il cambiamento sia l’unica costante e ciò che rimane nel tempo è proprio ciò che si evolve.
Il percorso proposto da Opiemme, vuole avere un linguaggio universale ed immediato capace di attivarsi fuori dal contesto locale grazie all’utilizzo dell’hasthag che diventa lo strumento catalizzatore tra mondo fisico e virtuale.
L’utilizzo della tecnologia utilizzata a suo favore compie un gesto contrastante: porta ad una riflessione su un cambiamento che partendo dal basso, torna a riconsiderare un’idea di origine, autenticità e appartenenza. 
In Meriggiare pallido e insorto – chiaro omaggio a Montale – si intreccia un’immagine poetica di quiete e ribellione, quasi un ossimoro che richiama alla mente le pause meditate e i momenti di lotta, come le bandiere che rappresentano ideali e battaglie.
L’attenzione nei confronti di una realtà autentica diventa spunto di riflessione anche nel lavoro di Ivano Troisi che va ad indagare il concetto di memoria legato al contesto del piccolo paese di Lucito.

Troisi con l’installazione Segni di Maggio, va a creare un dialogo tra antico e moderno, tra cambiamento e conservazione. Una conservazione che lo porta a focalizzarsi sull’immagine del “pagliaio di maggio”, legata ad una festività popolare che celebra il ritorno della primavera e della fertilità.
Nonostante l’opera sia la rievocazione di una tradizione antica e popolare, si fa strada nella contemporaneità e diventa portatrice di un messaggio attuale e necessario, che vuole far riflettere sull’importanza delle tradizioni e sull’impatto delle nostre azioni sul territorio. 
L’installazione, posta esattamente in prossimità della prima tappa della celebrazione popolare, diventa simbolo e riferimento di una comunità il cui forte senso di appartenenza per la propria terra, li avvicina all’opera, al punto da identificarsi in essa. 
L’intervento installativo di Troisi viene sganciato dalla classica visione monumentale che può acquisire un’installazione, e diventa parte fondamentale del rituale che prevederà, il prossimo anno, il ritorno dell’artista, che adornandola con fiori e piante, la renderà viva ed attuale. 
L’artista concentra in questa struttura conica e vitale, una serie di elementi riconducibili alla memoria storica locale dei segni di Maggio: la scupina, strumento musicale che risuona durante la festa; il fiore di ginestra, che rappresenta la fioritura primaverile; l’uovo, simbolo di fertilità e rinascita; la finestrella, che suggerisce un’apertura verso nuove prospettive; la foglia, che richiama la rigenerazione; il baccello di fava, legato alla terra e al nutrimento; il mazzo di asparagi, altro emblema della primavera.

Una cosa certa è che entrambi gli artisti vogliono portare ad una riflessione, la stessa: avvicinando l’uomo alla natura e al suo rapporto con essa, diventa necessario prendere coscienza del fatto che il vero cambiamento risiede nella consapevolezza che correre verso l’innovazione non serve a nulla, se non sappiamo prenderci cura delle cose semplici, del luogo in cui viviamo e delle memorie passate che sono state la base su cui abbiamo costruito questa vita. 

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