Incontri di Scultura al Frantoio di Castrì

Com’è noto uno dei principali meriti dell’arte contemporanea è quello di permeare luoghi eterogenei, generalmente distanti dalla pratica artistica; ambienti deputati ad altro che l’arte riesce a fare propri esaltando le loro specificità, non di rado intervenendo sui meccanismi di percezione al punto da far apparire quel luogo idoneo alla finalità artistica tanto quanto un museo o una galleria.

Il fascino della scoperta si ripete da tre anni nel frantoio ipogeo di Castrì di Lecce, piccolo centro alle porte del capoluogo salentino, dove l’amministrazione comunale organizza, con lodevole impegno, la rassegna “Incontri di scultura”, invitando curatori professionisti a presentare i lavori di alcuni dei migliori protagonisti della scultura pugliese. Cuore appassionato e pulsante della rassegna è Daniela Rollo che, insieme a Franco Murrone, ha ideato il progetto e fin dalla nascita ne segue il tragitto, superando i molteplici ostacoli tecnico-burocratici e definendone i traguardi. Protagonisti del nuovo “incontro”, curato da Lucio Galante e visibile fino all’8 novembre, sono Aldo Calò, Nino Rollo e Giovanni Valletta, scultori accomunati da alcune circostanze biografiche ma soprattutto da un comune sentire, dal concepire la scultura come un fatto eminentemente formale, un incontro (e talvolta una disputa) tra energia della materia e contenimento della forma.

Aldo Calò in tal senso è un Maestro. Le sue riflessioni su alcune delle migliori proposte astratte della prima metà del Novecento (Brancusi, Arp, Moore) lo hanno portato a generare forme plastiche levigate ma non chiuse, anzi aperte all’interazione con lo spazio circostante. Un dialogo barocco tra i materiali, di cui l’artista non manca di valorizzare gli aspetti intrinseci come asperità e colore. Tre le sue sculture in mostra, tutte provenienti dal Museo d’Arte Contemporanea di San Cesario di Lecce: Scultura del 1957, Biforma del 1959 e Sole del 1977. Anche in quest’ultima, possibile “ritorno alla natura” dell’artista, resta “evidente la funzione qualificante della materia”, come ha puntualmente annotato Galante nel suo testo critico.

Non dissimile il ragionamento portato avanti da Nino Rollo, scultore leccese prematuramente scomparso, che durante il suo primo anno di corso del Magistero d’Arte a Napoli, ha conosciuto Calò, all’epoca neodirettore dell’Istituto d’Arte della stessa città. Due le sculture portate in mostra, una del 1977, in prestito dal Comune di Lequile, l’altra del 1981, dal Museo Sigismondo Castromediano di Lecce. Una rappresentanza troppo ridotta per ripercorrere il travagliato processo artistico di Rollo, sfuggente a griglie critiche troppo strette, per il quale, precisa Galante, “manca tuttora una solida ricostruzione storica fondata sull’esame e lettura, oltre che sulla catalogazione sistematica delle opere”. Esempi rari, appena sufficienti a dare un’idea della ricerca dell’artista, eppure emblematiche del suo operare plastico, attento, come Calò, ai valori della forma e della materia, il marmo su tutte. Come la critica ha da tempo sottolineato, Brancusi resta il punto di riferimento più calzante, con il quale Rollo condivide persino l’ossessione della finitura e della lucidatura. Non stupisce dunque di riconoscere nell’opera del 1977 una sorta di variante scura di Măiastra, capolavoro di perfezione realizzato dallo scultore rumeno in 29 varianti, tra il 1910 e il 1944.

Se la ricerca di Rollo volge alla forma pura, all’astrazione totale, Giovanni Valletta sembra inseguire l’idea di un possibile compromesso. Allievo dell’Istituto d’Arte di Lecce negli anni in cui Aldo Calò era insegnante di Plastica, Valletta ha seguito gli insegnamenti del maestro sondando forma e materia, riuscendo tuttavia a trovare presto una strada propria. Nella sua esperienza più matura l’artista sembra volersi riappropriare del mondo fenomenico per coglierne gli aspetti di maggiore perfezione formale. Nel suo percorso, dunque, L’uovo di Piero e Papillon appaiono i pretesti iconici di una sublimazione del reale, la stessa attuata da Piero della Francesca, nelle cui opere nulla è lasciato al caso, tutto assume un significato preciso ed è funzionale alla composizione. A Valletta appartiene anche l’unica installazione site specific. Una moltitudine di moduli in ottone lucido simulano lo scorrere dell’olio, l’oro liquido, testimoniando l’antica funzionalità del luogo. Un intervento che si direbbe creato appositamente tanto è felice la sua installazione, se non fosse che l’opera è già nota, perché esposta nel 2015 nell’ex Chiesa di san Sebastiano di Lecce, sede della Fondazione Palmieri. Una mancata novità che nulla toglie al valore dell’opera della quale invece si evidenzia una volta di più la virtù mimetica, la capacità adattativa. In quella come in questa occasione, infatti, il valore fondante dell’installazione risiede nella sua genetica capacità di dialogare con lo spazio, assecondandone ora gli aspetti più regolari (la navata di una chiesa) ora quelli più aspri (le molteplici cavità di un frantoio), assumendo prima connotazioni mistiche (la luce divina) poi sembianze reali (l’olio). 

Due generazioni di artisti a confronto, accomunate dalla ricerca della e sulla forma pura, esaltata proprio dall’accidentata stereometria del frantoio, dalla quale le opere si ergono come simulacri, idoli pagani stretti nel ventre della terra.

FRANTOIO IPOGEO ‘INCONTRI DI SCULTURA’ 2019

FRANTOIO IPOGEO – PIAZZA DEI CADUTI – CASTRI DI LECCE (LE)

11/10/2019 – 08/11/2019 ore 18:00 – 21:00