Giuseppe Modica, Sguardo a distanza (transito di navi), 2023, acrilico su tela, polittico cm 150x150

Il pensiero meridiano nella pittura di Giuseppe Modica

A distanza di tre anni dalla sua precedente mostra nella Casa Museo Hendrik Christian Andersen, Giuseppe Modica presenta, nella stessa sede, Rotte mediterranee e visione circolare, curata da Maria Giuseppina Di Monte e Gabriele Simongini. Un evento che scaturisce dalla vincita, nell’ambito del Piano per l’arte contemporanea curato dal Ministero della Cultura, del bando che ha consentito l’acquisizione di due importanti opere dell’autore. La mostra sarà visitabile fino al 15 settembre 2024.

Con Rotte mediterranee e visione circolareGiuseppe Modica compie una tappa importante nella sua lunga e fortunata carriera. Importante per il numero delle opere, venti, quasi tutte inedite, per la qualità di esse e per la circolarità dell’allestimento che avvolge lo spettatore e, per così dire, lo sequestra spiritualmente. Si tratta di un sequestro al quale volentieri ci si abbandona per il sollievo estetico che la fruizione delle opere garantisce e, ancor più, per l’insieme delle sollecitazioni concettuali che propone a chi sappia porsi in ascolto di esse, se pur a partire da un’esperienza retinica che non è esagerato definire ineffabile. 

Quello che intendo dire, sin da subito, è che, l’opera di questo artista, e in particolare questa grande mostra, si fanno amare non solo per la fattura raffinatissima ma anche per un insieme articolato di contenuti filosofico-antropologici che connotano in senso concettuale la sua ricerca. Lo fanno, tra l’altro, falsificando l’assunto che l’arte concettuale debba comunque sorgere sulle ceneri della pittura, andare, come si dice, “oltre il quadro” o, addirittura, mortificare la tradizione del “mestiere del pittore”. 

Questa tradizione Giuseppe Modica fa sua ed esalta, dando il suo significativo contributo al perpetrarsi di una storia millenaria. Lo fa proprio recuperando dalla tradizione migliore l’esigenza di fare della pittura un’esperienza totale, che non si limita a rappresentare la realtà anche se di essa ha comunque bisogno e ad essa deve connettersi. I quadri di Modica sono come le pagine di un libro che sempre, ma soprattutto in questo caso, ci parlano di un particolare tipo di pensiero: il pensiero Meridiano.

Si tratta di una convinzione che sono venuto maturando nel tempo, che meriterebbe una decodifica ben più articolata di quella resa possibile da una breve recensione. E tuttavia, un po’ spericolatamente, voglio provare se non altro a sollevare la questione, raccogliendo la silenziosa sfida lanciata da un pittore che è prima di tutto un intellettuale. 

Ebbene, il pensiero meridiano nasce con i filosofi presocratici, conosce una rinnovata fortuna, secoli dopo, con il naturalismo di Bernardino Telesio, Giordano Bruno e Tommaso Campanella; si tratta quindi di un pensiero di origine e tradizione mediterranea. La stessa di Albert Camus che ne fu il massimo esegeta e innovatore. 

Egli passò la sua infanzia nei quartieri poveri di Algeri: fu figlio del Mediterraneo, quindi, e nel suo L’uomo in rivolta dedicò l’ampio capitolo conclusivo proprio al Pensiero meridiano. Quest’ultimo è l’elogio della luce, della misura (il metron greco), della lentezza, della chiarezza, della domanda che vale più della risposta, dell’equilibrio, della proporzione. E’ l’elogio di un Sud che non si fa colonia dell’Europa settentrionale. 

Che ne mette in discussione il dominio e, soprattutto, contrappone la cultura del mare, dell’azzurro, del mezzogiorno, della luce a quella della mezzanotte, della cupezza e delle tenebre. Il pensiero meridiano diviene l’altra faccia – quella buona – di un mondo che conosce la crisi della modernità e il fatuo, obliquo opportunismo del postmoderno. Poche righe per dare il senso di una cultura della quale Giuseppe Modica si dimostra un felicissimo interprete. 

Lo fa da pittore che “pensa con le mani” e comunica il suo sapere educato alla confidenza con una sicilitudine (parola tanto amata da Leonardo Sciascia che di Modica fu grande estimatore) che è figlia delle sue origini, ma anche della sua educazione e della sua ricerca. Se si assume questa chiave di lettura, ecco che la luce, vera protagonista, dei dipinti di Modica, il mare, gli interni e le architetture che si affacciano su di esso, le geometrie neometafisiche, i silenzi, come l’assenza stessa di figure umane, narrano di un vero campione del pensiero meridiano. 

C’è un tratto, tuttavia, che fa di questa mostra un unicum, sinistramente marcato dalle immagini di minacciose navi militari che affiorano all’orizzonte o, a volte, di teschi e numeri che certificano la nuova disgraziata dimensione del Mediterraneo. Un mare divenuto, non più culla di una civiltà che nasce, ma tomba per i diseredati e i percossi del nostro tempo che fuggono dalla fame e dalle guerre, trovando proprio nel mare la propria ultima dimora. 

Ecco che allora il metron, la misura del pensiero meridiano, viene sconvolta dalla dismisura di una realtà oscena e tenebrosa che la pittura di Modica denuncia. Interprete magnifico di una cultura di cui lui stesso è parte, questo autore, giunto nel pieno della sua maturità, rimane lucido nel raccontarci il nostro tempo. Quei numeri, quelle navi e quei teschi alludono agli spettri di un’epoca funestata dalla guerra e dall’ingiustizia. 

Un tempo in cui gli ideali del pensiero meridiano si frantumano contro un sonno della ragione che genera mostri. Figure macabre che svolazzano sinistramente, rischiando di spegnere la luce meridiana così magistralmente resa da un grande pittore. Una luce che, però, sempre si riaccende.

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