Marina Bastianello Gallery dal 2018 ha la sua sede nel distretto dell’M9 – Museo del ‘900 di Venezia Mestre, nel centro architettonico e d’azione dell’area riqualificata, godendo di una visibilità speciale nel cuore della vita cittadina e offrendo una visibilità speciale alle opere ospitate nello spazio.
Iginio De Luca (Formia, 1966), alla sua prima personale con la galleria, ha interpretato la permeabilità delle vetrine della Bastianello in perfetta coerenza con il proprio lavoro pluridecennale, che si basa sul confine tra ambito urbano pubblico e spazio di riflessione privato, personale. Nel raggiungere la mostra Tanti auguri e saluti curata da Pietro Gaglianò, catturano a primo sguardo le opere-manifesti di 3×2 metri, che appaiono come affissioni esterne ma sono invece installate nella galleria. Il percorso di De Luca infatti verte sul camminamento verso e intorno a dei “dispositivi democratici”, così detti, e sulla possibilità di tornare a frequentare la mostra ogni giorno, fino a domenica 12 marzo, contemplando un mutamento d’immagine quotidiano. Il ritmo, sociale, della città entra dunque nella sfera dell’arte, come si diceva, in buona parte delle azioni performative messe in campo da De Luca.
Uno dei dispositivi consiste in una struttura di tubi innocenti che regge due pannelli su cui quotidianamente vengono affissi nuovi manifesti, con eloquenti fotografie dal 2010 ad oggi, testimonianze dalla serie dei Blitz organizzati dall’artista nel contesto romano, in luoghi simbolo quanto nelle periferie, o da altre serie, altre opere. Dai titoli amaramente giocosi, ogni immagine porta con sé concept intelligenti, in un rincorrersi di significati legati all’attualità italiana, alla sfera dei rapporti tra il cittadino e i sistemi di potere e controllo. Tra gli altri, Bianco, rosso e verde del 2019 in cui campeggia la nostra bandiera italiana con i colori in una successione inconsueta, a formare un tricolore inesistente che racconta “una patria che non riconosciamo”, come specifica l’artista; o Tricolore, appunto, del 2020, immagine scattata di fronte al Colosseo dove De Luca ha issato una bandiera italiana in bianco e nero su un tronco d’albero come piedistallo spontaneo di milioni di turisti che si avvicendano a Roma per la foto di rito. “Al posto dei sorrisi e delle pose studiate, con quella installazione compaiono il vuoto, il vento e i gabbiani, e “in quello che doveva essere il centro del mondo, ora c’è un simbolo del dubbio e dell’incertezza”, aggiunge.
De Luca, scrive Gaglianò, “contrappone sempre l’azione positiva (la dichiarazione di un sé individuale o collettivo, la produzione di pensiero critico), alla passività, alla condizione in cui si subisce il controllo occulto, la propaganda, la compressione delle libertà”.
‘Tanti auguri e saluti’, sembrerebbe una frase da cartolina dalla nostra Italia complicata, un frase ben educata e in un certo modo sarcastica, visto che l’artista nelle sue azioni tocca temi puntualmente caldi – i disservizi della capitale, l’assurda comicità della comunicazione politica elettorale, le ambiguità governative, l’impotenza istituzionale e fatti di cronaca. Per poi scoprire che ‘Tanti auguri e saluti’ è la frase scelta in lingua italiana per salutare gli eventuali extraterrestri che si pensava le due sonde Voyager, lanciate dalla NASA nel 1977, potessero incontrare nello spazio cosmico. Una traccia incisa sul disco d’oro Voyager Golden Record, insieme ai saluti in altre lingue del mondo e a una selezione di immagini e suoni terrestri, musica e opere d’arte della storia dell’uomo, che da quell’anno del lancio viaggia ancorato alle sonde.
Inscatolamento di senso, storico, politico, sociale, in modo beffardo anche ironico, che porta agli ulteriori dispositivi in mostra. Un megafono, strumento per eccellenza della protesta, reso muto da uno specchio che ne sigilla il cono e riflette il pubblico, e che automatizzato da un motorino e appeso a parete, diventa strumento autoritario simulando il movimento di una telecamera di sorveglianza che tutto controlla e registra. Ma il suono nello spazio c’è, c’è comunque, previsto da De Luca diffuso da due casse installate in un’altra struttura di tubi innocenti, dove ogni particolare elettronico dell’impianto è a vista, asciugando ogni pretesa estetica. Un’installazione sonora in loop, della durata di oltre un’ora, che contiene 17 tracce registrate dall’artista, tra cui Convention del 2010 con 9 inni nazionali che si sovrappongono gradualmente a quello italiano; o Tutti per uno del 2018 con 27, questa volta, inni degli stati dell’unione europea sovrapposti in un caos sonoro a dimostrazione di un’identità politica e sociale ancora tutta da costruire; associati ad altri suoni prelevati dalla quotidianità dell’artista, che risvegliano ricordi personali e memoria collettiva, brani sonori che, così simbolicamente, richiamano i saluti internazionali e campioni di suoni contenuti nel Voyager Golden Record.
L’attenzione al sonoro di De Luca sottolinea la sua anima da musicista, oltre che di produttore di immagini fotografiche, video, pittoriche. Una varietà di linguaggi che prevede fruitori informati o che attraverso i suoi progetti performativi vanno poi informandosi. In ogni caso, con la sua ricerca si va ad allenare la “percezione politica dello spazio pubblico e della comunità”.
“Dappertutto corre un rumore di sottofondo: è la risata sommessa dell’artista che osserva il mondo con un disincanto e una franca, amara, rassegnazione a cui si può opporre solo l’ironia”, prosegue Gaglianò. “L’esperienza dell’arte suggerisce il senso del possibile e, quindi, l’alternativa al grigiore di questi costrutti oppressivi e l’ispirazione per resistere”.
La mostra parte dal buio dello spazio cosmico, evocato col titolo, e conclude nel buio della notte di Roma: l’ambiente ufficio ricavato a spigolo nello perimetro espositivo ospita un lightbox, da cui lampeggia un messaggio in codice morse. A ben guardare è una fotografia retroilluminata di un chiosco di fiori, di quelli che restano inspiegabilmente aperti e illuminati 24 ore su 24. Un mistero, tutto romano, quello delle bancarelle di fiori accese come stelle nell’oscurità notturna. E così si torna al concetto labile di sorveglianza. L’alfabeto morse di cui De Luca si serve, anche in altri progetti, restituisce a chi sa intenderlo la frase titolo benaugurante. Per tutti gli altri risulterà un input, un interrogativo che si accende sulla realtà di tutti i giorni di cui Iginio è un grande interprete.