L’obiettivo della mostra è stimolare il visitatore ad esplorare nuove possibilità di riflessione e di espressione, aprendosi alla sperimentazione di nuovi linguaggi. Il titolo del nuovo percorso espositivo è infatti Giorni felici? Quello che accade, quello che può accadere.
Cinema, performance, fotografia, pittura e installazioni si incontrano nello spazio espositivo curato da Agata Polizzi, la quale fa notare «la potenza sprigionata dai lavori in mostra e dai linguaggi messi in atto da Chen Zhen, Yuri Ancarani, Per Barclay, Joanna Piotrowska, Silvia Giambrone e Genuardi Ruta».
A fare da cornice al nuovo progetto espositivo sono le parole tratte da Happy Days, il dramma di Samuel Beckett, insieme a una promessa di primavera ormai arrivata a Palermo e qui rappresentata dall’installazione site-specific Vestita di color fiamma viva, a opera del duo Genuardi-Ruta.
La firma di Ancarani dà il benvenuto al visitatore accogliendolo con la proiezione di Séance, un documentario sulla vita dell’architetto e designer Carlo Mollino. Il lavoro fa parte della mostra Shit and Die, curata da Maurizio Cattelan, Marta Papini e Myriam Ben Salah e prodotta da Artissima. In questo modo emerge sin dall’inizio della visita l’obiettivo dell’interno percorso, ovvero incoraggiare il pubblico a intraprendere un cammino di esplorazione e sperimentazione di nuovi linguaggi espressivi.
Non a caso, infatti, Albania Tomassini, protagonista della proiezione, presta allo schermo i propri occhi chiusi: la protagonista sta tentando una séance, cioè una comunicazione con lo spirito del maestro Mollino che tramite la donna si trova a parlare. «Io sapevo di essere così – dice in un’immaginaria conversazione – sapevo di avere una luce nascosta che soltanto attraverso l’azione creativa avrebbe potuto effettivamente illuminare, illuminare i tempi oscuri ma anche colmi di vitalità nascente. Io sentivo tantissimo questo spirito di innovazione, di cambiamento in mezzo a una sorta di disfacimento del mondo».
La passeggiata prosegue con uno sguardo sulla produzione di Silvia Giambrone, qui presente con Sotto tiro. La performance valse all’artista agrigentina il premio VAF nel 2019 ed è un’opera di transizione, come dichiara la stessa autrice che vuole rappresentare il proprio tentativo di familiarizzare con la minaccia – che in questo caso trova forma nel puntatore laser con il quale Giambrone finisce quasi per giocare, dando luce alla performance stessa. L’artista ha dichiarato di considerare questa performance come «il primo tentativo di investigare qualcosa che sarebbe poi diventata fin qui la mia più cara ossessione, dando inizio ad un ciclo di opere sul domestico».
E sullo stesso tema riflette anche Per Barclay con Senza titolo, un’installazione che propone una nuova idea di casa, fonte di vita ma anche gabbia.
Di tutt’altro avviso sembra invece essere Joanna Piotrowska. Le fotografie esposte in questa mostra, infatti, presentano una concezione di casa come di rifugio in cui anche gli adulti hanno bisogno di tornare.
Ma a meditare sul significato della dimensione domestica è soprattutto Chen Zhen. Il suo Jardin Lavoir, infatti, occupa gran parte dello spazio a disposizione con gli undici letti che comprende. Si tratta all’apparenza di strutture di letti singoli, matrimoniali e di culle ma a ben vedere ognuna di queste strutture è una vasca che contiene oggetti d’uso comune sommersi dall’incessante lavorio di un debole flusso d’acqua che lentamente – ed inesorabilmente – ne consuma i materiali.
Il percorso espositivo offre anche un affondo di matrice palermitana con tre tele di Francesco de Grandi. Il pittore, qui presente con Come creatura (2018), Inizianti (2021) e Medea nel giardino di Colchide (2023), si presenta al visitatore con dei veri e propri esercizi di meditazione che si fondono allo studio della pittura. Anche in questo caso, dunque, tradizione e innovazione si intrecciano per generare l’ennesimo corto circuito di senso e di significato che genera in chi osserva una magnetica curiosità. Come dichiarato dall’artista stesso, queste tele vogliono andare oltre le «false narrazioni» per «raccontare qualcosa di vero».
Ogni cosa viene messa in discussione dal dialogo tra questi artisti, a partire dal concetto di casa e finendo con la ridefinizione del significato degli oggetti di uso comune. E gli artisti collaborano affinché i visitatori maturino un interesse per la sperimentazione. Ecco allora che Albania Tomassini parla al maschile mentre gli adulti costruiscono rifugi con le coperte e i cuscini e gli oggetti di uso comune sono del tutto decontestualizzati e sottoposti all’azione costante dell’acqua che lava e salva, come vuole il pensiero cinese tradizionale.
Tutto il percorso a questo punto sembra essere studiato per preparare il visitatore alla visione di quest’ultima grandiosa opera. Gli artisti sembrano quindi essere in costante dialogo tra loro e con il pubblico per riflettere insieme sull’interrogativo che dà il titolo alla mostra ma che, come ormai appare chiaro, non è destinato a trovare una risposta.
È possibile visitare la mostra da Martedì a Domenica, dalle ore 10:00 alle ore 18:00 all’interno del padiglione ZAC presso i Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo