Iconologia del Sacro e del Profano-Semantica del Segno
Ideate in sequenza, tali esposizionimuovono da spazi istituzionali genovesi di rilievo quali Il Museo Diocesano, diretto da Paola Martini, il Palazzo Ducale-Spazio Aperto, il Museo d’Arte contemporanea di Villa Croce e la GAM-Galleria d’Arte Moderna di Nervi, entrambi diretti da Francesca Serrati, per poi dislocarsi alla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di San Gimignano, in vista della riapertura della Sala Fieschi, proseguendo verso ulteriori sedi in via di conferma. All’articolata iniziativa del Comune collaborano Limbania Fieschi, Presidente Archivio Giannetto Fieschi, Ibleto Fieschi, Fabrizio Bombino, curatore della selezione opere, della grafica, della campagna fotografica, Mauro Marcenaro curatore della componente video, Anna Orlando, Advisor per Arte e Patrimonio culturale del Comune di Genova.
La semantica segnica e verbale assume, nelle opere pittoriche e grafiche di Fieschi, intonazioni mitiche, totemiche, messianiche. Il sacrificio, inteso nel senso del termine latino Sacrum-facere/Rendere sacro,viene rappresentato dall’artista come dolore del Dio fatto uomo, dolore dell’uomo, dolore dei suoi conflitti tra bene e male, santità e peccato, eros e morte. Perfino i nomi dei figli di Giannetto Fieschi riflettono questi contrasti: Limbania, nome di una santa cara alla gente di mare, la figlia, Ibleto, nella storia uomo di chiesa e d’azione, il maschio.
Gli strumenti visuali, di cui si serve l’artista, sono l’iconografia cristiana, su un versante, il collage profano sull’altro versante. Dalla prima scaturisce la rappresentazione e quindi la figuralità dell’opera, dal secondo scaturisce il contatto del simulacro con i lacerti del reale che, nella fattispecie, sono sabbia, frammenti di carta, materiali vetrosi, ciocche di capelli, un cucchiaio, la bambola. Da qui il suo studio dell’iconografia cattolica della Via Crucis del Cristo, con le sue cadute, metaforicamente accostate alla vita e alla morte dell’uomo. Dall’istanza rappresentativa deriva una forma di narrazione, dal collage deriva il gesto del contatto con la realtà. In Fieschi tanto il significato fattuale che il Modus espressivo, intriso di Pathos (da cui deriva la lettura empatica dell’osservatore) entrano in sinergia. Tra gli interpreti della condizione narrativa in Fieschi rientra quel Gérard Gassiot-Talabot che lo invita, nel 1965, alla Galerie Creuze di Parigi per la mostra La Figuration Narrative dans l’art contemporain/La Figurazione Narrativa nell’arte contemporanea.
Fieschi ricorre all’iconografia come modalità formale delle immagini bibliche, mitiche, allegoriche, e all’iconologia, come interpretazione delle stesse. Suoi ineludibili referenti teorici sono Aby Warburg, Fritz Saxl, Erwin Panofski. Nel corpus della sua opera, la forma tende a dissolversi sia nella percezione del dramma che in quella dell’ineffabile, recuperando, di volta in volta, lo stilema pittorico dell’Arte Informale. Si percepisce nella sua Weltanschauung/Visione del mondo, in modalità ora intense ora lievi, la condizione di un cupio dissolvi al limite del decadente, di un mistico desiderio di annientamento.
Le tele grandi, tendenti alla dismisura per l’arte europea, familiarizzano con le pale d’altare da chiesa e al tempo stesso funzionano come altari della pittura, come pittura sull’altare, atto di devozione, talvolta di provocazione (Cats are hungry, 1953-1955). Questo artista mette in scena la ritualità e drammaticità del sacro sfiorando una Pietas sconfinante, talvolta, nell’Obscenitas. Ricorrente, nella sua opera, la figura fantasma dell’uomo, del dio, della croce stilizzata, umanizzata. Intensamente percepibile è la figura del Religamen che tiene insieme le tensioni sottese alla fede, nelle accezioni, diverse ma compatibili, di Cicerone, Lattanzio, Agostino.
Confrontandosi con la figura di Fieschi, precursore delle stagioni della Pop Art, in un certo qual modo della Transavanguardia, grande innovatore formale, si apre un interrogativo sulla disparità tra la leggenda, cresciuta intorno all’artista, e la sua relativa presenza nelle strutture e collezioni museali locali. A Genova – città portuale mediterranea di alta statura e storia culturale – un Maestro della Neoavanguardia come Fieschi si è formato, è vissuto con la famiglia, ha operato, ha insegnato, eppure più numerosi sono i suoi lettori e interpreti appartenenti ad altri contesti, come il curatore delle attuali mostre itineranti Andrea B. Del Guercio. Eccone un elenco, esemplarmente non esaustivamente, in ordine alfabetico: Arcangeli, Argan, Calvesi, Caramel, Carluccio, Crispolti, Del Guercio, De Micheli, Dorfles, Longhi, Morosini, Sgarbi, Solmi, Tassi. L’artista viene seguito con interesse da un protagonista della pittura e dell’incisione del Novecento come Giorgio Morandi; nel 1966 viene presentato criticamente in catalogo da Renato Guttuso. La ragione di un certo silenzio che lo circonda, di una resistenza al coinvolgimento locale, può però ascriversi ad un suo aristocratico prender distanza da occasioni espositive non considerate significative, rispetto alle sue attese.
Al suo rientro a Genova, nel 1955, da New York, tuttavia, inizia a insegnare al Liceo Artistico; nel 1959 viene eletto Accademico di merito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti; nel 1972 viene invitato alla mostra Immagine perla città, in Palazzo Reale a Genova, a cura di Gianfranco Bruno e Franco Sborgi, con i sei riquadri pittorici gigantografici del Leviatano, tratti da pagine del libro Cats Are Hungry; dal dicembre 1986 al febbraio 1987, viene proposta, ancora a Genova, una grande antologica del suo lavoro, in simultanea, nel Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce e nel Museo di Sant’Agostino. Opportuno è anche rilevare i termini della considerazione in cui la città lo ha tenuto e continua a tenerlo.
Criticamente avvicinata alle trasgressioni del New Dada, alle dimensioni oniriche del Surrealismo, la pittura di Fieschi pratica certe rarefazioni di presenze nello spazio che rinviano alle astrazioni di Paul Klee, da Fieschi incontrato in Stiria nel 1937. Il suo Pathos assume anche gli accenti provocatori e drammatici dell’Espressionismo tedesco, corrente di cui ha incontrato a New York, nel 1953, un esponente come George Grosz. Dopo gli anni della sua formazione e di insegnamento nelle capitali europee e statunitensi, Giannetto Fieschi elabora un suo linguaggio di collage e componenti espressive di complessa ascendenza, non esclusa quella di un incipiente movimento Pop che si sta delineando dopo la grande avventura estetica dell’Espressionismo astratto americano. La figurazione si fa portatrice di protesta sociale e culturale, in un mondo sempre più dominato dall’informazione e dalla propaganda massmediatica. L’incontro con un artista come Robert Rauschenberg, in cui rappresentazione e presentazione di forme e oggetti si coniugano tra loro, riconferma in Fieschi una scelta linguistica che anticipa le deflagrazioni della Pop Art statunitense. Al suo periodo americano si può ascrivere l’olio su masonite di sapore Pop, del 1954, Gelati – conservato alla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di San Gimignano – in cui, alla destra del giovane degustatore, vengono vistosamente elencati i relativi gusti di crema-torrone-arancio-limone-vaniglia. Quando ormai tornato dagli Stati Uniti, Fieschi viene invitato alla Biennale di Venezia del 1964, assisterà all’assegnazione, non senza diffuse polemiche, del Leone d’Oro a Robert Rauschenberg. Nel 1983 sarà Rossana Bossaglia a invitarlo alla mostra Il Pop Art e l’ltalia, al Castello Visconteo di Pavia.
Certi abissi della carne e dello spirito di Fieschi rinviano agli abissi del Tiepolo, al suo luminismo, come certi scorci anatomici rinviano al Mantegna. Ricorrente, nei soggetti, è la morte per annegamento, come anche il sommovimento fluido delle masse pittoriche d’ombra o di luce. Nella sua tavolozza i verdi lagunari si fanno velenosi, le sue ocre dorate bruciate, gli azzurri celestiali sporchi, i rossi scorrono dal vermiglio al cinabro. Artista che ha conseguito premi, che è stato più volte invitato alla Biennale di Venezia, Fieschi è protagonista, come lui stesso dichiara «di un cammino delle perplessità, delle relazioni spaziali e passionali degli oggetti, della riflessione sulle deformazioni della senescenza». Di alta intonazione mistica è l’olio e smalti su tela della Cena in Emmaus del 1973, in cui il filtrato luminismo della bianca, parca, tavola si riverbera in particolari delle tre figure.
Tra ansie di dannazione e salvazione, il tormento interiore trova nella contrazione delle dita e delle mani un andamento di scrittura gotica, come accade nella sua particolare firma, indissociabile dall’autore. Le sue tele si popolano di trasposizioni, estensioni, iscrizioni scritturali, come afferma Fieschi stesso. In alcune sue tempere figurative degli anni Cinquanta, le forme si sovrappongono, di velatura in velatura, a delineare composizioni
complesse, segnate dalla trasparenza sui fondi di ocra dorata. Particolarmente sensibile e vibrante è il tratto del segno, in Fieschi, sia in pittura che nel disegno e nell’incisione. Il suoductus,sottile, senza pentimenti, riconduce a certi stilemi del Secessionismo Viennese. Il corpo pittorico è disseminato di iscrizioni, di apparizioni spettrali. Si percepisce nella sua opera la presenza dei segni dolenti della guerra, la denuncia brutale e sarcastica del feticismo della società consumistica di massa.