Arco Madrid 2025
Gaia De Megni, Leitmotiv, 2024. Veduta dell'installazione. Foto Roberto Sala

Gaia De Megni – Falling in Art

“Leitmotiv” è la prima personale di Gaia De Megni alla Fondazione La Rocca di Pescara. La mostra, a cura di Francesca Guerisoli, è stata prorogata fino al 14 febbraio 2025

Ieri ho scoperto che Gaia De Megni potrebbe essere premiata come giovane artista emergente ad Arte Fiera Bologna. Non provo meraviglia, al contrario, penso che sia la cosa più naturale del mondo, perché la sorpresa, l’ho avuta quando l’ho sentita parlare. Determinata, sicura, capace di trasmettere un’incredibile energia. 

Intendiamoci, la sua mostra non è facile, è complessa. Ci sono dovuta ritornare più volte alla Fondazione per guardare da vicino le cose, per scoprire i dettagli che sfuggono al primo sguardo. Ho dovuto “scorticare” uno per uno l’artista e le sue opere, quasi come Tiziano nel Supplizio di Marsia.

Grazie al Public Program, organizzato sapientemente dalla curatrice, Francesca Guerisoli, si è creato una relazione con l’artista, l’opera e lo spazio. Umberto Eco sosteneva che bastava una sola opera in un museo per poter accedere ad un racconto corale di un tempo, di un luogo. Un racconto che includesse non solo la ricerca dell’artista, ma lo Zeitgeist del momento. Perché, se è vero che l’arte offre una visione, quella visione non può che partire dalla società di cui fa parte, una società che permea le persone, ma che al contempo, vengono permeate dalla società stessa. L’arte dovrebbe prendere in prestito l’espressione “Falling in Love”, trasformandola in “Falling in Art” – cadere nell’arte, nella speranza che l’opera e l’artista raccolgano chi si lascia andare. Questo processo di immersione, di “caduta nell’arte”, richiede tempo e apertura, ma permette di scoprire nuovi livelli di comprensione e connessione. Si tratta di reciprocità, in cui il “one shot” viene bandito, non sufficiente per comprendere i significati e creare, si spera, simboli nuovi da condividere.

Gaia De Megni, Leitmotiv, 2024. Veduta dell’installazione. Foto Roberto Sala

Le varie tappe del Pubblic Program hanno dato modo di comprendere il lavoro della De Megni e generato comprensioni diverse (si veda ad esempio l’articolo scritto da Simone Marsibilio). 

Gaia non si limita a rielaborare il materiale cinematografico che prende dall’archivio del cinema. Anzi, lo fa proprio a partire da un processo di decostruzione: le immagini del cinema, selezionate con cura e precisione, diventano gli strumenti per una narrazione che, pur prendendo vita da storie altrui, si fa specchio della propria. 

Gaia De Megni. Foto Daniela D’Andreamatteo

Hillman diceva che le storie curano, e capita che, nel momento in cui ci raccontiamo, decidiamo della nostra vita, com’era, com’è e come dovrebbe essere, tralasciando ciò che duole o che non comprendiamo. Penso all’infinità di immagini che interferiscono nella nostra vita, creando un immaginario a cui spesso pensiamo di appartenere, e che condividiamo con gli altri, ma che, intimamente, ci ferisce. E proprio in questo risiede la forza della sua mostra, a partire dalle opere realizzate in carta in cui la storia collettiva si ricompone, si reinventa, o si rifiuta.

Guardando, invece, le foto dello Zio pescatore insieme ai gabbiani, sembra che Gaia ci sta dicendo: Ricomponi la tua storia. Non è mai troppo tardi. Non è mai troppo confuso. Non è mai troppo distrutto. Anche nei frammenti c’è bellezza, anche nel caos c’è una possibilità di salvezza. L’artista non impone una verità assoluta, ma offre degli strumenti, delle possibilità, delle chiavi per aprire porte che magari avevamo dimenticato di avere. In un mondo che spesso si presenta come troppo rapido, troppo ingombrante, lei ci invita a rallentare, a prendere tempo per osservare, riflettere e, soprattutto, per capire. Perché le storie che ci raccontiamo possono restituirci qualcosa di noi che avevamo perduto, o che non avevamo mai veramente inteso. È un po’ come le sue rune, così piccole da essere spazzate via con la prima folata di vento, ma che lei ricopre d’oro, e le porta sempre con sé fin da piccola, come tracce lasciate lungo il sentiero dove esperiva l’infanzia. Nella foto, c’è Gaia De Megni, in primo piano, vestita di nero. Dietro c’è Francesca Guerisoli, la curatrice, Filippo, l’ amico dentista il cui sorriso non è solo fra i denti, ed io, con la mia gonna scintillante, con cui cerco di riaccendere un legame con gli dei. Il mio cappello, invece, a falde ampie che sembrano ali di gabbiani, sfiorano il corpo dello zio di Gaia, e lì, in quel l’immagine che diventiamo un tutt’uno con il mare. È un gioco di legami e simboli che ci restituiscono una sensazione di continuità, di resistenza, e di possibilità di riscrivere il nostro cammino, proprio come Gaia fa con le sue immagini.

Gaia De Megni, Leitmotiv, 2024. Veduta dell’installazione. Foto Roberto Sala

La mostra di Gaia De Megni, che ha riscosso un notevole successo di pubblico, rimarrà aperta ai visitatori fino al 14 febbraio. Questa esposizione, che ha attirato l’attenzione di numerosi appassionati d’arte, offre ancora l’opportunità di ammirare le opere dell’artista per chi non ha avuto la possibilità di farlo finora.

Giovanna Romano

Sociologa con un master in arte economia e management

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