FINZIONE E FUNZIONE, VITA E RITO: Retrospettiva di Andrea Cusumano a cura di Agata Polizzi

La mostra di Andrea Cusumano è stata inaugurata a Palermo presso Villa Zito il 29 aprile e rimarrà aperta fino al 26 giugno.

Esattamente nello stesso mese in cui veniva inaugurato alla 59º Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia: Storia della notte e destino delle comete, allestito al Padiglione Italia, Andrea Cusumano (Palermo, 1971) presentava nei palermitani spazi di Villa Zito, una stratificata esposizione dal titolo Retablo, a cura di Agato Polizzi.

Proprio in quelle settimane si accendeva un dibattito, per nulla nuovo ma altresì importante, sul rapporto fra arte e scenografia. Nel caso di Gian Maria Tosatti e Eugenio Viola, il Padiglione ha visto il coordinamento invisibile di Margherita Palli, scenografa di fama internazionale che fra cinema e teatro ha lavorato con Luca Ronconi, Mario Martone e Aleksandr Sokurov. Mentre fra design e arte vi è una continua dinamica di scambi, di linguaggi e rapporti, lo stesso non si può dire della scenografia, una disciplina a torto considerata di seconda categoria, sia per il suo rapporto con la finzione che per il suo carattere surrettizio. Eppure, se il design trova la sua storia nella funzione, la scenografia nel rapporto immediato con il teatro, il cinema, ha un rapporto ancora più profondo con l’arte tout-court, e il nesso è subito rivelato da una domanda che si prolunga filosoficamente nel mondo della rappresentazione: è finzione? può essere non vero? Queste domande  trovano risposte assai articolate nella mostra di Cusumano, cross-border tra molteplici discipline: pittore, scultore, performer, regista, drammaturgo, direttore d’orchestra e scenografo, che spazia tra sperimentazioni formali con diversi media, installazioni ambientali, Live Art e complessi spettacoli teatrali il più delle volte site-specific. La retrospettiva Retablo raccoglie attraverso disegni, foto, opere, documenti, partiture, la ricerca ventennale dell’artista, definito da Stefano Destefano “neorinascimentale”, una produzione eterogenea la sua, che comprende vari periodi e percorsi. A partire da Le ali della Farfalla che documenta la performance realizzata nel 2007 all’interno della rassegna Corpus Arte in azione al Museo Madre di Napoli, a cura di Eugenio Viola e Adriana Rispoli; il progetto prende spunto da un caso di cronaca della metà del Novecento: Carl Tanzler, il medico necrofilo che cercò disperatamente di riportare in vita l’amata Elena Hoyos morta di tubercolosi. Ossessionato da lei, ne aveva recuperato segretamente il corpo per tenerlo vicino a sé. Una macabra storia, famosa anche per i metodi creativi che il dottore andò via via adottando per mantenere integra la salma: sostituzione degli occhi con bulbi di vetro, della pelle con dei panni e della vagina con un impianto tubulare. Non possimo non ricordare qui, che la relazione corpo-protesi è stata (ed è tutt’oggi, addirittura con estensioni tecnologiche e digitali che forse nemmeno Donna Haraway poteva immaginare sul suo manifesto femminista cyborg) una delle pratiche di molti performers, come le body extension in balsa e tessuto di Rebecca Horn, passando per le augmentation robotiche di Sterlac fino alle procedure biologiche e chirurgiche di Orlan “mutante contemporanea”, secondo cui il vero e il falso convivono sempre nel mistero.

L’esposizione siciliana comprende numerosi retablo: il Retablo L’amaro credo del mago Cotrone; Retablo Wigliemo Suite e il Retablo Clover’s lost petal. Tutte opere fotografiche modificate – alla maniera di  Arnulf Rainer,pioniere tra l’altro della body art -, tramite il medium della pittura. In una convergenza di corpi, poiché la fotografia dà corpo a istanti che non lo possiedono più, mentre la pittura elabora corpi al presente, che afferiscono al loro meglio ad una rappresentazione impossibile e liminale. Una sorta di  interregno che ha trovato in  Gerhard Richter uno dei più acuti interpreti.

In una stanza della Villa,  partiture drammaturgiche, bozzetti dei costumi, topografie e oggetti di scena, fotografie afferenti a Il Principe, uno spettacolo del calendario del Teatro Garibaldi/Unione dei Teatri d’Europa, ispirato alle Baccanti di Euripide e alle performance Theyyam del Nord del Kerala. Se nel caso di Tanzler  la necrofilia serviva per riportare in vita l’amata, lo schema  non può che richiamare nella tragedia di Euripide, sia la discesa simbolica di Orfeo negli Inferi, che la sua fine: smembrato dalle Menadi e ridotto a sola testa cosciente della propria disgrazia. Una dimensione  -appunto- trascendentale, che si evidenzia nei costumi e nel trucco dei Theyyam, dove le strutture posticce e i colori diventano delle vere e proprie scenografie in movimento. Eccessi di colore, forme, proprietà dei corpi (prima delle riflessioni bio-politiche di Foucault, di Agamben e della stessa Haraway), eclissi di senso, rapporto fra corpo e ciclo nascita-morte, non possono che trovare in Andrea Cusumano due maestri  straordinari: Tadeusz Kantor ed Hermann Nitsch. Del primo assorbe la metaforica, perturbante immagine con cui lo scenografo polacco paragona l’attore e il suo simulacro morto: il manichino. Del secondo,  venuto  a mancare proprio nello stesso periodo della mostra,  è stato amico, oltre che allievo, coltivando un rapporto straordinario, sia nell’esecuzione di alcune opere dell’azionista viennese che nella partecipazione a eventi corali presso il suo castello. E la  influenza di Nitsch si avverte a Palazzo Zito: nella visione di colori e corpi, nella sintesi totale dell’azione, una teatralità manifesta, immediata di spazio e tempo, che trascina nell’arte totale di comporre in maniera sincronica pittura, scultura, composizione/installazione.    Inoltre, per l’uso di simbologie e orientamenti mitopoietici, in cui la rappresentazione dell’artista agisce sui binari della “Gesamtkunstwerk”, in un ottica postumanista si potrebbe  ravvisare  l’arte  bulimica di Matthew Barney.

Il percorso espositivo procede con Ostrakon e Neri tratti da Terre…forme…terre presentata nel 2013 all’interno di Incontri/Fes Festival – Fondazione Ducci, Fondacion Esprit de Fes e si chiude cronologicamente con l’Installazione sullo spettacolo TRAGÖDIA – La Regina, realizzato nel 2021 a Villa Nitti. Come nei progetti precedenti troviamo il piano di incontro fra Oriente e Occidente, in un dichiarato sincretismo culturale, con la riscrittura della Medea di Euripide, ispirata al teatro delle ombre Tholpavakoothu. Anche qui voglio partire dalle suggestioni presenti nella mostra per rintracciare in Medea l’azione transitiva a vendicativa di “agire contro i corpi degli stessi figli”  con una riflessione, quindi, sul concetto di “proprietà”, che passa dalla dimensione concreta del parto, quella procreativa, e quella del potere, (in questo caso il potere scalfito di Giasone).

Ancora, dopo questo excursus sulla corporeità, serve ripetere la domanda iniziale: cosa è vero? Cosa non lo è? È finzione? Il teatro e il feticcio, l’azione transitiva e trascendentale, il rito (vedi Victor Turner e il concetto di performance), il limite e la sinergia delle arti, trovano in Retablo soluzioni e narrazioni specifiche. E mentre a Venezia le comete precipitavano in acqua in una dimensione posticcia di vita proletaria, ma con un’intenzione politicamente didascalica e mortifera, a Palermo le comete percorrevano orbite estese, alzandosi da  una terra formata da crocevia, dove la dimensione popolare e antropologica cerca di porre coscienza e spirito fuori dalla ciclicità (nichilista e nietzschiana) per raccontare attraverso la morte, la vita.