Ennio Tamburi, n. 41 nero mica, 2008. Tempera su carta Nepal rossa

Ennio Tamburi
Mappe di luoghi impossibili

Strutture di segni, complici della parola, scandiscono lo spazio della carta, paesaggio sconfinato cui affidare appunti accuratamente composti a riflettere la complessità del pensiero per frammenti e momenti specifici. Pagine e brani sciolti e al tempo stesso partecipi di una narrazione unitaria e inesauribile si succedono suggerendo modi e luoghi d’essere in Mappe di luoghi impossibili, antologica di Ennio Tamburi (Jesi, 1936 – Roma, 2018), a cura di Roberto Lacarbonara e inaugurata a Jesi, città natale dell’artista, presso gli spazi museali di Palazzo Bisaccioni – sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi. La mostra, visitabile fino al 31 gennaio 2023, muove a dieci anni di distanza dalla personale Semplice. Complesso, tenutasi nella Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma (2012), per rileggere l’opera di Ennio Tamburi e attraversare nuovamente il tracciato delineato dall’artista.

Come preludio e compendio della grammatica segnica di Tamburi, il polittico Archivio della memoria introduce al percorso espositivo anticipando le peculiarità più rappresentative della selezione di opere in mostra, realizzate tra il 1993 e il 2011. Nello spazio arcano della carta, ampio e ambiguo, la fitta concatenazione di segni plasma il paesaggio, costruisce e determina il luogo, edifica ambienti fittizi depositari del pensiero e immagine di una mente visionaria; geometrie imprecise, come monumenti indeterminati ma solidi ed eterni, memoria di un passato perduto, ritmano il tempo e la materia definendo la carta topografica di un resoconto intimo ed esclusivo. 

La ricerca del segno e della sua costruzione è declinata nelle opere a seguire, specifiche indagini e studi di un racconto ben più ampio, del continuum privo di limiti e cesure del lavoro di Tamburi, consapevole dell’inesauribilità della narrazione; pur nella sua autonomia, ogni lavoro intesse uno stretto legame con la totalità della produzione, unica grande opera in continuità i cui singoli elementi raccontano ed evidenziano motivi e ossessioni specifici. Si susseguono, dunque, architetture imponenti di segni solo apparentemente casuali, obelischi e reperti atavici, visioni zenitali di schieramenti militari, scritture illeggibili accuratamente redatte con perizia da scrivano che testimoniano, nel loro insieme, la ricerca pittorica dell’artista jesino e gli snodi della sua produzione, la stratificazione di sensi pur nell’immediatezza del gesto e del segno che ne deriva.

Il supporto cartaceo è l’ambiente di lavoro, humus, paesaggio vergine in cui operare e costruire. Quelle accuratamente scelte da Ennio Tamburi sono preziose carte artigianali tibetane, giapponesi, indiane e nepalesi le cui caratteristiche esclusive concorrono all’unicità dello spazio generato e organizzato dall’artista. Non solo gli interventi più minuziosi, ma anche le campiture più ampie instaurano una solida relazione con la carta modulandosi sulla sua superficie e lasciandone trasparire la natura. L’organicità della materia, la sua irregolarità e consistenza, ora rigida e ostinata, ora impalpabile e arrendevole, ne fa terreno edificabile ideale e protagonista capace di regolare il segno stesso; l’ordine della geometria è condizionato dall’imprevedibilità della materia. La carta, il cui paesaggio è antropizzato dall’intervento pittorico, diventa indomabile; nessuna cornice ne limita le increspature o ne appiattisce la superficie che, al contrario, mostra ogni sua variazione e ondulazione nell’ombra che proietta e nelle piccole incongruenze tra segni e campiture; i margini spesso discontinui dei singoli fogli si rivelano privi di costrizioni nella loro incertezza. La risoluzione dello stesso Ennio Tamburi di mostrare fogli sciolti, privi di vincoli, è insieme necessità di preservare un discorso vivo, sempre in divenire, e  celebrare la materia, rispettarne il temperamento. 

Il percorso espositivo chiude – inevitabilmente con finale aperto – nei paesaggi oscuri di blu e nero in cui la traccia pittorica diventa più impalpabile e sfuggente. Visioni notturne di dense distese oceaniche o di cieli sconfinati escludono qualunque tipo di coordinata, il segno acquisisce una nuova libertà attraverso un’indefinitezza più esplicita che lascia spazio all’intuizione, alla suggestione di luoghi impossibili, intangibili eppure vibranti di tenera commozione.

Ennio Tamburi. Mappe di luoghi impossibili
a cura di Roberto Lacarbonara
con il patrocinio della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi
Palazzo Bisaccioni, Piazza Angelo Colocci 4, Jesi (AN)
Apertura: 14 ottobre 2022 – 31 gennaio 2023. Ingresso gratuito
Orari: tutti i giorni, festivi inclusi, 9.30-13.00, 15.30-19.30
Chiusura: 25 dicembre 2022, 1 gennaio 2023
Informazioni: 0731 207523 – info@musadoc.it