Dan Halter, Money loves money

Continua nel percorso di approfondimento del panorama artistico africano Osart Gallery di Milano che, dopo le collettive African Textures e African Characters, con Money loves money inaugura un ciclo di personali dedicate alle figure più significative della scena contemporanea dell’Africa meridionale. A dare il via a questa nuova stagione è Dan Halter (Zimbabwe, 1977), artista la cui ricerca esplora i confini geografici, il fenomeno migratorio e altri temi politici e sociali come il razzismo e le persistenti conseguenze del colonialismo, attraverso una rielaborazione in chiave concettuale dei materiali appartenenti alla tradizione popolare e ponendo forte accento sul loro valore simbolico.

Halter, che in Zimbabwe ha assistito al susseguirsi di valute diverse nel corso di pochi anni, nel tentativo del proprio Paese di resistere alla svalutazione e al tracollo economico, espone in questa personale una serie di ingrandimenti di banconote che, oltre ad avere precisi riferimenti all’attualità, sono intrecciati ad alcuni testi letterari che si sono rivelati di fondamentale importanza nel suo percorso di formazione: Heart of Darkness di Joseph Conrad, Il testo del Manifesto del Partito Comunista, Il Principe di Niccolò Machiavelli o ancora Animal Farm di George Orwell. 

Tessitura e storia, indissolubilmente connesse tra loro, sono i due macro temi che sottendono e strutturano il lavoro di Halter, restituendo la cifra così caratteristica della sua poetica. Tradizionalmente, nel continente, la tessitura si praticava tagliando sottili strisce di tessuto di diverso colore che venivano poi intrecciate per realizzare variopinti disegni geometrici. Mutuando l’ispirazione da questa antica usanza popolare, egli ha messo a punto un procedimento esclusivo che gli permette di traslare in chiave artistica e contemporanea quest’arte, esaltando al contempo i mestieri e la ricchezza dell’artigianato locale e generando virtuose collaborazioni con le persone del luogo. Un intreccio che applica a materiali come la carta fatta a brandelli, elenchi telefonici, buste di plastica e banconote o loro ingrandimenti. A questi elementi l’artista abbina e unisce l’utilizzo di parole tratte da libri classici, come si diceva poc’anzi, ma scomposte e ricomposte così da dare vita a nuove forme di rappresentazione. 

La storia ritorna, sotto forma di legame tra la politica odierna del Sudafrica e quella del passato, anche in altre opere come quella dal titolo The past is never dead. It’s not even past, citazione tratta da William Faulkner e ricamata tra le bandiere sudafricane. O in Monopoli, lavoro che è invece legato a un preciso fatto dell’odierna storia sudafricana: il cosiddetto “White Monopoly Capital”, monopolio economico dei bianchi nella società post apartheid, a cui ha fatto riferimento l’ex presidente sudafricano Jacob Zuma, a seguito dell’accusa di corruzione a carico suo e dei fratelli Gupta.

Halter non si sottrae alla responsabilità che il suo ruolo di artista gli impone. Non si tratta di arte fine a sé stessa, non si tratta di mero intrattenimento, quanto piuttosto di dare voce, mutuando un termine caro proprio a Orwell, agli “unpeople” dei nostri tempi: persone cancellate, dimenticate dallo stato, dal mondo, dimenticate dalla storia. Le sue borse in plastica dall’inconfondibile texture tartan indagano il fenomeno migratorio da molteplici punti di vista, rappresentando la valigia di chi è costretto a spostarsi dal proprio Paese con un bagaglio leggero. Nell’opera Rifugiato – Mappa del mondo, i brandelli di queste borse sono cuciti insieme a formare un planisfero in cui le aree interessate dall’emigrazione sono consunte, mentre quelle caratterizzate dall’immigrazione sono praticamente nuove. L’artista scrive che per questa mappa ha preso ispirazione dal lavoro di Alighiero Boetti. La stessa texture tartan caratterizza molti altri lavori dell’artista, unendo ironicamente la fantasia scozzese al materiale povero della borsa e incarnando una conflittualità irrisolta tra chi vorrebbe “prendersi tutto” e chi in passato lo ha fatto: ce lo ricorda Bamba Zonke, che in Zulu significa “prendersi tutto”, ed è una borsa in plastica su cui l’artista è intervenuto cucendo con una stoffa tartan il titolo dell’opera.

«Lo scriveva bene George Orwell nel suo libro del 1984» conclude Halter. «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato. Sembra che certe ingiustizie storiche non siano mai state affrontate adeguatamente; soprattutto la discriminazione nei confronti degli africani, perpetuata prima attraverso la schiavitù e poi con il colonialismo.»

Dan Halter | Money loves money
Osart Gallery, Milano Corso Plebisciti 12
25 maggio – 31 luglio 2021 | martedì – sabato ore 10-13/14.30-19