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D3cam3er0n3 2023, interno Casa Francesconi, Courtesy Francesca Cornacchini

D3CAM3RON3. La “ricreazione” dell’individuo nell’otium del parallelismo spazio-temporale.

Fino all’11 ottobre 2023, è in corso la II edizione della residenza artistica D3CAM3RON3, ideata e curata da Francesca Cornacchini, presso Casa Francesconi, a Trevi.
L’11 ottobre, alle ore 16:30, le porte della residenza si aprono, in occasione dell’ultima giornata. La residenza è in collaborazione con Palazzo Lucarini Contemporary (curatori: Mara Predicatori e Maurizio Coccia). Nel programma di apertura, alle 17:30, è previsto il talk con l’intervento di Saverio Verini.

I primi giorni, come nell’edizione precedente, sono stati caratterizzati da un senso di spaesamento dovuto all’ambiguità del tempo, che trascorre apparentemente più lento in un contesto bucolico. Una sensazione che sembra acuita dall’isolamento rispetto al centro urbano, per noi uno spazio di produzione, e dall’incertezza sociale che deriva dal lavoro che svolgiamo, spesso non percepito come tale. Col passare del tempo il gruppo ha aderito allo spirito quasi eremitico della residenza, appoggiando il concetto di Otium. La condivisione culturale si svincola dalla speculazione intellettuale a fini promozionali, abbracciando l’animo rivoluzionario della condivisione culturale libera, mossa unicamente dalla gioia che si prova nel confrontarsi.

Francesca Cornacchini, Trevi, sabato 7 ottobre 2023

Quanto affermato sembra estrapolato dal volume La vita grande dello scrittore e poeta francese Christian Bobin. Scrive l’autore: Il mondo ha ucciso la lentezza. Non sa più dove l’ha sepolta. Il libro nobilita i valori della vita, al di là del nero e del buio che la distrugge, contemplando “l’infinitamente piccolo” che vince una morte fisica e una sua alta significazione simbolica.

In un frammento, Eraclito notava che il tempo della vita è un gioco privo di scopo, come quello dei bambini che svolgono un’attività spontanea e, unitamente, ricca di razionalità: «Αἰὼν παῖς ἐστι παίζων, πεσσεύων παιδὸς ἡ βασιληίη». («Il tempo [della vita] è un bimbo che gioca, con le tessere di una scacchiera: di un bimbo è il regno»). Anche Friedrich Nietzsche assimila il gioco a una realtà con le sue regole, priva di finalità pratica, se non quella di allontanarsi dalla vita reale, creandosi un mondo parallelo e riconducibile a un fenomeno estetico, in quanto l’arte è in grado di dare senso alle non risposte dell’esistenza.

La ri-creazione della residenza, ideata dall’artista che lavora presso l’artist-run space romano Spazio In Situ, Francesca Cornacchini, si appropria di questo spirito, secondo l’istanza del ristorare e del rianimare animo e mente (animum o mentem recreare). È il momento, pari all’intervallo, per ri-creare le energie consumate di un corpo indebolito dal capitale che lo mette al lavoro per produrre forzatamente qualcosa. Fuori dall’orologio ciclico del meccanismo produttivo, si muove l’adito di ricriarsi, di essere sazi nel “libero gioco dell’energie vitali, fisiche e mentali”, con gli altri e in maniera orizzontale. Konrad Fieldler, collegandosi a un’ascendenza kantiana, isolando l’attività del vedere e legandola all’esistenza oggettiva delle cose nel mondo, spinge l’artista a essere colui che accede a un archivio di “rappresentazioni” che si distaccano dalla complessità del reale, concependo la natura attraverso l’arte. Quest’ultima, dunque, non è imitazione ma ricreazione del mondo che nasce nel momento in cui l’uomo percepisce la necessità di creare, per i propri bisogni spirituali, una manifestazione tangibile del pensiero, allontanandosi dal pericolo di una piatta mimesis.

La residenza è l’iper-luogo sine tempore e che volge alla sola contemplazione della natura del luogo. È esperienza totale dello spazio contemporaneo, in cui ai punti saldi si aggiungono il movimento, la comunicazione e l’interazione con gli altri esseri umani, con le forme e con i paesaggi. Nell’iper-luogo, nozione di Michel Lussault relativa alla nuova geografia della globalizzazione, infatti, la geografia diviene quella delle persone che interagiscono, secondo una coralità del loro modus operandi e della loro gestione attuativa. Nel bisogno di aggregazione si rafforza la comprensione e l’azione. Il luogo muta dall’essere contenitore all’essere piattaforma: vita sociale e pratiche trasmutano consequenzialmente, non rendendo possibile la separazione tra il luogo e ciò che accade nello stesso. Osservando un iper-luogo è possibile comprendere la globalizzazione e quell’imprevisto che ci costringe a riflettere su ciò che siamo disposti a condividere gli uni con gli altri. È, dunque, uno spazio decisivo e di riflessione politica sul senso del legame sociale.

Nell’attraversamento secolare, la dimora della residenza rivisita la tempra ottocentesca che ne ha determinato la notorietà e che ha reso il casale luogo di incontro e di diffusione della cultura, grazie alla circolazione di informazioni, agli incontri amicali e agli accordi che avvenivano al suo interno. Tre sono gli aspetti che coniugano il Casale con gli spazi virtuali: informativo, formativo e legittimante.

D3CAM3R0N3 è, in tale chiave, una realtà parallela che prende in esame chirurgicamente l’esistenza, le dinamiche fisiche, sensoriali, cognitive, economiche, sociali e culturali, considerando l’io come presenza atemporale che abita la campagna. Casa Francesconi è sita in un piccolo borgo della campagna umbra, tra i comuni di Trevi e Foligno, ed è prossima al fiume Clitunno, ricordato nella poesia Alle Fonti del Clitunno della raccolta Odi barbare di Carducci. Al suono dell’acqua si ravvisa immediatamente il distacco dalla vita moderna. Fu cenacolo culturale centrale nel fermento del periodo e abitazione del filosofo, matematico, statistico e studioso Francesco Francesconi, anche patriota con un ruolo di prima linea che portò all’Unità d’Italia, e dal quale la Casa prende il nome. Dotato studente del collegio Lucarini, fu poi plurilaureato, e in stretto contatto con pensatori e politici del suo secolo, oltre a essere docente di Filosofia della Storia, presso l’Università di Perugia. La sua vita, come la residenza, mette in connessione la Casa Francesconi a Palazzo Lucarini, in cui vengono esposte le opere ideate site-specific.

La Villa di campagna è stata, in passato, luogo riservato agli otia dei nobili e dei Papi al fine di trovare riposo dai negotia. Ricordiamo la testimonianza di Giulio de’ Medici (1514) che consigliò al nipote Lorenzo come, nel rapporto con i suoi concittadini, fosse importante … di intrattenere con buon electione il prossimo e conservare e «ad mangiare seco non solo ne la città, ma in villa». Suggeriva, quindi, di intrattenere gli ospiti nel contesto più intimo e piacevole di una residenza suburbana. Lo stesso cardinale Giulio de’ Medici scrisse al Maffei di «una sensazione raffinata di serenità e diletto psicologico; tale da far dimenticare le preoccupazioni e i problemi della vita quotidiana». È molto importante ricordare i criteri di varietas ciceroniana e di leggibilità che Giulio de’ Medici ricercava nelle opere commissionate per le abitazioni destinate agli otia. Oltre a introdurre un tema caro ai nostri giorni – quello del beneficio psicologico attraverso l’arte – tale impostazione ci riconnette direttamente alla multiforme varietà che Boccaccio, nel suo Decameron, adotta a livello strutturale, linguistico e tematico.  

Nell’abitazione sono presenti nove artisti e un curatore, impegnati in una narrazione continua, scaturita dall’esperienza in loco di dieci giorni che coniuga, in un brainstorming, le tracce dei percorsi artistici individuali. Dal nome della residenza e dalle sue caratteristiche è chiaro il riferimento al Decameron di Boccaccio. Il valore espositivo finale della residenza assume quel proposito di svolta chiarificatrice della moltitudine meditativa e riflessiva, derivata dal tempo condiviso.

Come il Decameron (déka, dieci e hēméra, giorno, e quindi opera di dieci giorni, il cui titolo è di rimando all’Exameron di Sant’Ambrogio), l’intento è di sfuggire a un mondo in distruzione per preservare ideali lontani da aberrazioni. Nata dopo il periodo pandemico, la residenza riserva delle differenze ben tracciabili rispetto all’opera letteraria. Non ci sono preghiere e turni prestabiliti ma un continuo scambio di idee tra il curatore e gli artisti partecipanti. Non c’è un tema stabilito da rispettare, né qualcuno che lo imponga. Simile, invece, è la comunione di intenti rispetto all’evasione da un circostante, in cui il sublime e il triviale si sposano, senza soluzione di continuità.

Il Decameron ci insegna come l’esperienza, nella sua fase finale, possa sfatare dei pregiudizi di una realtà quotidiana soggetta a delle verità assolute che si riconoscono, così, mortificanti per un sano avanzamento della collettività, in favore di una progressione a occhi chiusi che vede costantemente il giusto in ciò che banalmente “è sempre stato così”.

Francesca Cornacchini ha scelto, infatti, di ispirarsi, per il suo progetto, all’opera più nota di una delle “Tre Corone” della letteratura italiana dell’età moderna, Giovanni Boccaccio, il cui operato ha travalicato i confini dell’Italia, estendendosi al resto d’Europa.

Pier Paolo Pasolini, nel 1971, traspose sul grande schermo il Decameron, entrando nelle viscere del veritiero mondo raccontato dal poeta e scrittore fiorentino, e trasponendolo nell’ambiente di una napoletanità che pervade tutti i dialoghi, affermando la validità della scelta di un puro parlare napoletano ai fini di rimuovere la babele linguistica. Contro la struttura della peste nera neocapitalistica, è inserito nel film anche l’”enunciato” pronunciato dal pittore-allievo di Giotto, interpretato da Pasolini stesso: «Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?». A questo punto sorge spontaneo un quesito: nel nostro contemporaneo, è possibile proseguire in una produzione sterminata che si pone al di là di quel pensiero di proba urgenza? Ci riallacciamo allo svincolo di creazione della permanenza nella Villa. La fase realizzativa dell’opera deve, infatti, poter aggiungere quel quid che spinge l’artista a pensare come strutturale, per la sua stessa poetica, l’idea formatasi in nuce, tramite il suo essere in loco. Tra le storie del Decameron, ne citerei tre.

La Seconda novella (Elissa) che vede protagonista, in un convento lombardo, la bella e giovane suora Isabetta. Un giorno, la suora incontra un giovane del quale si innamora, e che vede segretamente ogni sera, nella sua camera. Le altre suore la scoprono in compagnia e decidono di chiamare la Badessa, solita anche lei, come in quell’istante, ospitare un prete. Vestitasi in fretta, indossa le brache da prete al posto del velo. Alla soglia della camera di Isabetta, la giovane fa notare alla Badessa del suo accorgimento riguardo al copricapo. Così, non solo non viene punita ma, da quel giorno, vengono rese possibili le visite notturne. Ciò dimostra come sia avvezzo, per la nostra civiltà, pensare che l’autorità, sia essa politica o religiosa, non giunge mai ad alcun errore. Piuttosto si è inclini a puntare il dito contro qualcuno che si trova in una posizione simile alla nostra. Dimentichiamo il dialogo e la complicità che, spesso, possono portare un nostro simile verso decisioni più consone riguardo al suo percorso, invitandolo a una riflessione sulle sue scelte. Soggiogati dall’invidia e dal dover cercare a tutti i costi giustizia, finiamo per rendere ciò che possa essere migliorativo come un conseguente peggioramento della situazione in nostra analisi. D’altra parte, possiamo applicare un’altra lettura alla vicenda che trasforma un’ingiustizia o un’azione che, tradizionalmente percepiamo come negativa o distruttiva, in un momento di trasgressione e di sviluppo positivo, rispetto a una tradizione non più in linea con i diversi cambiamenti sociali del nostro tempo. La residenza è momento proficuo di scambio rispetto ai valori che stanno mutando e che continuano a mutare giorno dopo giorno, ponendoci sempre dinanzi a nuovi interrogativi.

Un’altra novella significativa, per i temi affrontati durante la permanenza nella Villa, è la Quinta novella (Fiammetta). Niccolò Cornacchini è uomo ricco che ha un figlio giovane scapolo, Filippo, con l’abitudine di portare, nel suo possedimento, le donne per gaudio. Un giorno, una delle donne, Niccolosa, mentre prendeva l’acqua dal pozzo, incontra Calandrino, il quale se ne innamora. Tornato a casa racconta quanto accaduto al suo amico Bruno che, a sua volta e di nascosto, lo riferisce a due suoi amici, Nello e Buffalmacco. I tre uomini, invece di sostenere Calandrino nel far chiarezza con i suoi sentimenti, si prendono gioco di lui, stringendo accordi con la stessa Niccolosa, con Filippo e con Tessa, moglie di Calandrino. Mentre Calandrino, in falsa assenza di Filippo, si reca da Niccolosa ed è in procinto di baciarla, arriva la moglie Tessa che lo insulta e lo malmena infuriata, mentre gli altri ridono alle sue spalle, consigliandogli di andarsene e non tornare più. Ciò fa riflettere sul sentimento dell’amicizia, su quello amoroso e sui rapporti sociali. Quanto possiamo fidarci? Fino a che margini? Quanto mettiamo a rischio noi stessi e le nostre decisioni quando decidiamo di aprirci a colui/colei che reputiamo nostro confidente? Oggigiorno cos’è cambiato nel valore che diamo al sentimento amoroso e amicale? Ci devono essere necessariamente giudici a interferire su un sentimento profondo e nelle sue evoluzioni in altre possibili forme? Quanto i cambiamenti sociali hanno rotto quella chiusura a chiave delle porte delle nostre case, rendendola soltanto una convenzione?

Un’ultima novella che merita di essere ricordata, all’interno della narrazione di una delle opere più importanti della letteratura del Trecento europeo, è la Nona novella (Emilia). Salomone è noto per risolvere i problemi delle persone. Melisso gli chiede consiglio su come cercare il proprio amore. Salomone gli svela che il segreto, per farsi amare, è proprio quello di amare. Ciò porta alla comprensione di come sia fondamentale scavare in sé e analizzare quel serbatoio emotivo-emozionale, al fine di essere completi, amarsi e provare ad amare, prima ancora di affacciarsi al mondo. Un racconto questo ragguardevole per gli ultimi accadimenti sociali.

La scelta del riferimento a un componimento letterario che genera infinitesimali quesiti di grande importanza mette in rilievo la portata del lavoro dietro le quinte che gli artisti maturano durante la residenza. Ragionare sul ciclo di produzione contemporanea, sul suo essere continuativo e scevro di pause rivolge l’attenzione su fattori di natura socioeconomica legati ai nostri giorni, tanto che il tempo trascorso a Casa Francesconi non implica volontariamente la produzione di un’opera come risultanza estetica dell’esperienza vissuta.

La continua tensione tra ciò che si mostra e ciò che si cela, nel rapporto tra poesia e linguaggio dell’opera di Diego Miguel Mirabella, l’indagine dello spazio tramite l’interazione dell’opera e dell’individuo che la visita e la registrazione dei dati di tale scenario, attraverso la tecnologia di Alice Paltrinieri, la ricerca del banale, attraverso l’osservazione degli usi, costumi, abitudini dei luoghi comuni della nostra contemporaneità, con l’approccio ironico, cinico e ingenuo di Daniele Sciacca, l’essenzialità del ductus della pennellata che annulla le coordinate spaziali e temporali di riferimento, sino a giungere a un’oggettività che nella sua verità determina la bellezza di Luca Grimaldi, l’incrocio tra l’ecologia e il desiderio tramite gli aspetti primitivi, esoterici e precari di aree ripensate per l’incontro tra uomini e le relazioni utopiche tra corpi e vegetazione in un’interrogazione dell’alterità di Gabriele Longega, il valore dell’inutilità come concetto statico di un mondo apparentemente perfetto ma privo di scopo, tramite opere “non-ready-made” di Marco De Rosa, l’analisi del rapporto dell’individuo con la realtà e dell’esperienza delle cose, sulle quali rimangono ancorate le nostre storie e sensazioni in una molteplicità di significati condivisi, e l’errore di percezione indotto per instillare un sentimento perturbante di Fabio Giorgi Alberti, il medium della pittura come esplorazione e racconto delle pratiche del relativismo culturale, attraverso le attitudini del corpo e verso immaginari poliedrici e mai assoluti di Adelisa Selimbasic, il diritto a raccontare sentimenti tra paure e incertezze del nostro quotidiano, con opere che si pongono come sculture minime, in attesa dell’imprevedibile, e come risultato sintomatico della mancanza di prospettive e della distruzione del presente di Davide Sgambaro si confrontano con il lavoro curatoriale di Giulia Gaibisso. Il racconto di quanto praticato, nel periodo circoscritto, verrà esplicitato durante l’apertura della residenza al pubblico.

D3CAM3RON3
a cura di Francesca Cornacchini
dall’1 all’11 ottobre 2023
Residenza aperta ai visitatori mercoledì 11 ottobre, dalle ore 16:30
Casa Francesconi – Via Casco Dell’Acqua, 28 – Casco Dell’Acqua – Trevi (PG)
Tel.: +39 3204338542
E-mail: info@casafrancesconi.it