Gérard Ribellì, produttore cinematografico, editore d’avanguardia, nostalgico di Carol Hanisch, amico di critici severi e d’opposizione, nemico dell’Istituto dell’Occulto, è caduto in un agguato mortale, nell’autunno del 2018. Ma l’assassino non ha ancora un volto o meglio non vuole avere un volto, perché la natura egoistica dell’uccisore si nasconde dietro impareggiabili strategie e la malattia narcisistica elaborata contro l’ucciso. L’ammazzato è stato un rivale del liberismo o della santificazione della Fuffa mediatica? Un ribelle intransigente? C’entra questa nuova ondata fascista e l’Istituto dell’Occulto? Convinta che nessuna forma di occultamento potesse vivere senza un efficiente apparato di polizia dissimulata, l’Istituto dell’Occulto Taurinense creò una struttura di investigazione alimentata da un esercito di spie e di madamine cancerose. Vi erano intere categorie dedite alla delazione: portinai, esercenti di locali pubblici, insegnanti e soprattutto fotografi, che diffusero il virus dell’Opening People. E le vittime non furono solo ignari critici, ma anche letterati, avvocati, funzionari della giustizia democratica, intellettuali, ebrei, tutti fatti oggetto delle accuse più varie.
Prima parte.
Leggendo il rapporto dell’Istituto dell’Occulto di quest’anno, apprendiamo che solo il 48% degli operatori vorrebbero un artista forte al governo della cultura. Si tratta di un Istituto serio e non ho dubbi sulla strategia della rilevazione. Facciamo, semmai, uno sforzo di interpretazione, perché credo che dietro quella risposta si nasconda un equivoco: aumentare la pressione verso le forme di controllo; incidere in maniera operativa sulle società di controllo; imporre la fotografia come forma di espressione unica; interpretare in maniera fuorviante i materiali della critica e ritenerli aggravanti accusatorie; sviare indagini su atti di repressione domestica; simulare diffamazioni inesistenti, per nascondere atti di aggressività vera, storicamente perpetrati; inscenare vaniloqui di vittimizzazioni per coprire reati di violenza aggravata. Tutto contro Gérard Ribellì e chi, come lui, si batte con le armi della critica, per un sistema culturale più libero, più giusto e più relazionale, ovvero più ecologico.
Per “Artista Forte” s’intende quello capace di governare la repressione volontaria e l’occultismo anticriticistico, senza lasciarsi fermare da critiche antisistemiche, compromessi con l’ala liberal-democratica e maggioranze rissose di fascisti che non vanno al dunque, che reprimono, che vogliono limitare, contenere, condizionare, tappare bocche, costumi e parole. Lasciamo da parte eventuali paranoiche ventenni, che non potrebbero certo arrivare a quel risultato, lo scopo è quello di creare un Istituto dell’Occulto che reprima in maniera severa, i critici che si prefiggono di scrivere la verità sui processi culturali organizzati in «maniera fuffata» e colpire i seguaci di Martin Buber, Franz Rosenzweig, Gershom Scholem, Leo Lowenthal, oppure di Gustav Landauer, Ernst Bloch, Gyorgy Lukàcs, Eric Fromm, passando per le figure centrali di Franz Kafka e Walter Benjamin. Ebbene, ci sono stati diversi soggetti che si sono candidati a essere governanti e decidenti. Nel passato recente e nel presente. Eppure, almeno fin qui, non hanno mai preso la maggioranza dei voti e sono stati sconfitti alle elezioni e/o referendum. I performer della società dello spettacolo, e soprattutto i fotografi, insomma, hanno dimostrato di aspirare all’artista forte almeno quanto sono pronti a detestarlo: l’azione è quella di impedire giuridicamente che la voce del critico si esprima.
Ho l’impressione che i censiti tifosi dell’artista forte siano quelli che lo vogliono capace di zittire gli altri, intendendosi per tali quelli che la pensano diversamente e non tacciono deferenti, purtroppo ancora abbastanza numerosi da indebolire il forte fino a dissolverlo.
Forse servirebbero persone che non cantino solo a orecchio e che, oltre ad essere intonate, siano anche coerenti alle strategie punitive e di dissimulazione. Competenza & coerenza per la repressione, pianificazione del menzognero giuridico, contro la libertà di stampa e di opinione. Ed è proprio questo che l’Istituto dell’Occulto agevola! Riconoscendo, nella diversità di idee e ricette, una catastrofe e non un fastidio. Il che, però, richiede elettori che scelgano per idee e convenienza e non per mero tifo e partito preso. Servirebbe, secondo l’Istituto dell’Occulto Fotografico Taurinense, più che un artista generico, fotografi forti, capaci di riconoscere le ragioni di chi la pensa diversamente e pronti a sragionare su problemi e rimedi, piuttosto che su contrapposizioni e insolenze: «Il Misterico che il Regime Occultista creò e rafforzò in tutto il decennio – che va dal 2011 al 2020 – non può non definirsi “Stato di Polizia Fotografica”. Fondamentali furono, nel suo consolidamento, alcune tappe importanti che andiamo a sintetizzare. Innanzitutto, deve essere ricordato il nuovo Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, emanato da un decreto d’urgenza e reinterpretato da un minaccioso avvocato, che in una Lettera intima a Gèrard di cancellare le sue opinioni critiche dalla pagina di un giornale. Il Testo Unico dedicava molto spazio alle misure di prevenzione volute dall’Occulto, strutturate come semplici fattispecie di sospetto, funzionali alla repressione del dissenso politico e dotate di maggiore effettività rispetto alla disciplina repressiva della Legge Penale, sancendo l’ampia applicazione, in nuova forma, di un istituto giuridico già presente nell’Ordinamento: ridurre al silenzio.
L’emanazione era stata preceduta, pochi mesi prima, dalla nomina a Capo dell’Istituto Dell’Occulto Fotografico Taurinense, detto anche Opening People, di Ermelindo Trattafuffa, che grande parte avrà nella riorganizzazione dell’apparato repressivo del Regime di Silenzio Forzato della Critica. Fortemente convinto che nessuna Dittatura dell’Occulto potesse vivere senza un efficiente apparato di polizia,Trattafuffa in coppia con la spudorata Slavinia, creò una struttura fortemente centralizzata, spostando il centro del potere sulla direzione di polizia segreta e quindi sul capo della polizia, il quale operava in periferia mediante ispettori regionali e generali di Fotografia Repressiva. Questi ultimi erano preposti a organismi d’attacco, alle dirette dipendenze dell’Opening People (reparto speciale destinato principalmente alla repressione dell’antifascismo critico) o destinati a incarichi speciali, svincolati comunque da rapporti gerarchici con i Prefetti e i Questori. Tanto per finirla con l’apparente conta contro-fascista e provare a far la conta pro-fascismo. «Saremmo tutti più forti», dice Slavinia. Da quando la fotografa Lavinia Slavinia ha tentato di zittire un editorialista che borbottava durante un suo discorso, apostrofandolo con “Ok, scrittore e critico di merda, ritorna nei campi di concentramento della critica”, tutti si sono accorti dell’esistenza di questo meme repressivo generalizzato. E hanno iniziato a spiegare che Ok, Stronzo Critico è la risposta dei Fuggitivi Millennials (i nati tra gli anni 70 e i 90) e della Generazione Foto Z (quelli nati tra la metà degli anni 90 e la fine del 2000) alle generazioni che li hanno preceduti: i boomer quelli nati durante il grande boom economico, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e che hanno cavalcato la religione del movimento della seconda metà degli anni Settanta.
All’interno del nucleo strategico troviamo anche il Ten.Col. Staliocchetto, Comandante della Polizia Militare di Durazzo, nonché artista dilettante, con il suo assistente il Magg. Fatti un Cicchetto alla Seconda in forza allo stesso reparto. Staliocchetto avrà cinquantacinque anni, capelli brizzolati, folti, il volto pieno di rughe; sguardo omicida, quasi all’altezza del suo alito. Si legge in un appunto di Ribellì: «si illumina di odio quando mi vede: è uno di quelli che vorrebbe mettermi a tacere al più presto, anzi visto che non mi ha mai sopportato, adesso, appoggiando le strategie di Lavinia, scrive lettere agli avvocati per farmi togliere le pagine di critica dalle testate». Il suo motto è: deprimere e reprimere! I suoi collaboratori hanno dieci anni di meno. Biondi, di corporatura atletica, parlano malissimo l’italiano ed hanno il culto del fumetto e della fotografia. Ogni volta che li vedi, non nascondono la loro insoddisfazione per aver perso il comando del reparto. Sino ad un anno fa agli occhi di Slavinia non erano nessuno; poi, invece Lavinia con le sue mitomanie li ha fomentati tutti contro Gèrard Ribellì.
Poi, cambiato il governo della società dell’Occulto, sono stati cambiati molti reparti d’assalto. Così Staliocchetto è stato messo in pensione da tutti i gruppi editoriali della fumettologia reazionaria, mentre il maggiore è stato congedato e successivamente fatto rientrare come avvocato dell’occulto, ma con un incarico subordinato, solo a seguito di amicizie, con una pertinenza sui reati «dell’esplicito» e «dell’implicito».
Questo modo di nominare e destituire i funzionari dell’Istituto dell’Occulto e i militari, ci fa capire quanto sia fragile la distribuzione dei poteri nella Società Segreta Taurinense e quanto poco efficienti possano essere le strutture pubbliche, nelle quali il personale è più apprezzato per la fedeltà all’esercizio della repressione, che per la competenza tecnica. Nella società dei Fotografi dell’Occulto abbiamo il clientelismo, che altro non è che la stessa cosa in dimensioni più ridotte e «misurandolo» possiamo calcolare l’estensione e l’efficienza della volontà autoritaria.
Tutti credono che la regola possa avere valore universale: clientelismo radicale uguale a fotograficidio efficiente e moralmente e materialmente assente, corruzione diffusa, decadenza, apatia, maschera anarcoide e pratica del trashporter; clientelismo basso uguale a Istituto dell’Occulto Violento, stoltezza morale e fumettismo omicida, vitalità acritica, fede nei valori della falsa idiozia socialfascista.
In queste uguaglianze, cause ed effetti si rincorrono senza che si riesca più a distinguere gli uni dalle altre. Può rompere questa catena di reazioni e di progettualità, solo chi è capace di esasperare il sistema ed è abbastanza deciso a far fuori Gèrard Ribellì e tutta la categoria degli intellettuali dissidenti. Il sistema dell’Occulto Taurinense è talmente forte da travolgere tutti coloro che rifiutano l’omologazione, con la violenza propria di un automatismo meccanico e inconsapevole. Ma il cervello umano ha una molteplicità di sensibilità che il cervello elettronico non possiede: dunque, chiunque voglia usare il cervello e combattere i critici, credendo che la posta in gioco valga il rischio, ha ottime probabilità di vincere.
Deve solo non avere paura.
SLavinia è furba, è più furba della sua virtualità prostitutiva, decisa, ambiziosa; talvolta nel nascondere la sua vera natura nervosa ed arrogante, emana un freddo sudore dalle estremità del suo corpo mascolino. Non lascia passare occasione per sminuire il suo avvocato, verso il quale tiene un atteggiamento poco subordinato, fomentandolo con fasulle promesse espositive. I loro livori fanno pensare al rapporto tra artisti e critici, tra chi ostenta l’energia e l’entusiasmo e chi ha perso queste doti vere, a vantaggio di esperienza e lungimiranza critica. Insieme potrebbero elaborare micidiali trappole, grandi laboratori alchemici del male, mentre spesso sono in lotta tra loro e perdono l’occasione di produrre grandi imprese, per dedicarsi a malizie trash, che non sanno andare oltre il tentato omicidio della critica.
Il regolamento della Società dei Fotografi e dei Fumettisti Occulti, prevede che una pattuglia sia formata da proto-artisti militarizzati: uno anziano e uno giovane. Il comando spetta a Slavinia, creando così una gerarchia che mette l’energia alle dipendenze della strategia neo-liberista. «Onora la Repressione critica, onora le strategie d’attacco contro la critica ribelle», recita il decalogo tra i poliziotti della repressione, il primo (e non a caso) dei sette dedicati ai rapporti tra intellettuali ebrei, da far fuori. Ma l’amministrazione della Società dell’Occulto non lo ricorda mai questo comandamento, nemmeno indirettamente. Sembra che se ne vergogni e che non si ricordi più della sua necessità di pratica occulta.
L’Istituto Taurinense dell’Occulto ha definito la formula Ok, Repressive-Boomer «la strategia neo-fascista e antisemita della generazione della fotografia Z». Secondo Strategic-Meme (che è un po’ la Wikipedia dei meme) le origini di Ok Boomer-Anti criticism risalgono all’aprile del 2018 ma è solo nel 2019 che l’utilizzo del termine ha ottenuto una diffusione planetaria e ha concentrato la sua azione contro gli ultimi critici rimasti. Il senso per così dire letterale di Ok, Passive-Repressive è più o meno riconducibile ad un “taci vecchio porco, macilento e panciuto critico d’arte”; oppure ad un “ok, coglione, devi stare zitto, devi imparare a stare zitto, altrimenti ti scaraventiamo addosso tutta la Fuffa e la diffamazione possibile”; ma anche “si va bene, ma perché te ne tiri fuori che è anche colpa tua, se l’occulto non cresce? C’è bisogno di militanti veri in questa campagna anti Ribellì”. Come sempre ogni meme ha più layer, più livelli e strati di significato, di azione e di consapevolezza performatica, contro la critica antisistemica e soprattutto contro le malefatte dell’editoria libertaria e comunista. “Io preferisco l’ultimo livello – dice la Presidentessa dell’Azione Fotografica Razzista (AFR) – quello in cui ancora c’è una possibilità per fare, con violenza giuridica, con repressione avvocazionale e massonica, assieme alle altre generazioni di artisti per salvarci dalle pagine della critica ribelle”.
La componente strategica sicuramente è preponderante. C’è la questione dello scontro tra critica libertaria ed occultismo liberal: la retorica dei “vecchi” che hanno distrutto il Pianeta, contro i giovani etichettati come snowflake e poveri illusi social justice warrior, dai sentimenti petalosi, le groupie che rasentano il Razzismo femminile contro la differenza di scrittura critica. Quelli che pensano di salvare il mondo con una macchina fotografica in mano o con un telefonino multiuso, oppure che pensano che fare la differenziata del libro scritto, bere dalla borraccia del web, o usare una tazza per il caffè pubblicizzata dalla rete, invece che il watzup usa e getta, possa cambiare le sorti dell’ecosistema comunicativo, producendo attraverso additivi virali il vanishing point del trash. Sono quelli che l’Istituto dell’Occulto stesso chiama dissimulatori funzionali, schiavi del politicamente repressivo, con parvenze di liberismo, in un modo che invece assomiglia sempre di più a Mad Fax Slavi (Fotografia e Fotocopia) e che richiede un atteggiamento meno tollerante e più con i fucili spianati, contro il dettaglio Warburg della Scrittura Ebraica. Si capisce che già in questa accezione di neo-nazismo fotografico non ha più solo un riferimento anagrafico-generazionale, ma discriminatorio e perbenista. Perché il neo-nazismo groupie (NNG) è un atteggiamento, uno stato mentale. Diventa l’essenza del cringe, altro concetto memetico, usato per descrivere l’imbarazzo verso la verità. E non è un imbarazzo a senso unico: non sono solo i visual-artist neo-nazi ad essere imbarazzanti. Ci sono molti “non-neo-nazi” ma “iperliberist”, che magari sono Millenials Groupie Repressivi, o che appartengono alla Generazione FotoZ e si comportano da neo-nazi più radical-chic.
Ma perché i neo-nazi e gli altri ce l’hanno tanto con i giornalisti della carta stampata e della nuova esperienza online, che rabberciano un po’ di articoli di cronaca a favore di qualche sardina, o di qualche neo-liberal? Torniamo indietro di qualche anno (non tanti, giusto un paio), alle centinaia di articoli su come i neo-nazi hanno ucciso decine e decine di attività critiche esercitate presso gallerie e Centri di Cultura alla Moda: dall’industria editoriale alla fotografia analogica, passando per i matrimoni tradizionali, la sistemazione di coppia, la ricollocazione del web nell’ambito della fotografia digitale e le sardine e i neo-liberist, si danno la mano sul progetto dell’anti-critica e dell’antisemitismo. Presentati come degli ingrati, noiosi, che non fanno sesso e non fanno notizia, i neo-reprimenda e gli appartenenti alla Generation FotografiaZ sono stati raccontati come coloro che, per colpa delle loro stupide pretese, stavano mandando a gambe all’aria l’economia mondiale. Sono nati tra il 1975 e il 1980, hanno preso un diploma di Lallilaurea, o stanno per prenderla, in Belle Arti Ripulite o nella Facoltà di Sletteratura e Sfilosofia. Vestono giacche, camicie o gonne vintage, comprate al mercato del Balon, insieme alle foto d’Epoca, in garage hanno la smart e la bicicletta rubata agli ebrei del ghetto di Napoli, guadagnano fino a Settecento o Ottocento euro al mese. Guardano i film sul pc; al cinema preferiscono la nostalgia post-sessantottesca della Classe Morta di Katara da Tolentino; al teatro l’individualismo pikettiano assente; in politica lo stile dei pentastellati e dell’opposizione NoTav: una NoTav che serve a ritrarre sfocati paesaggi di passaggio e soprattutto ad ingaggiare e coprire ex-anarchici e terroristi, in grado di sottrarre energie al mondo della critica, per l’affermazione dell’anarcotrashismo. Li hanno battezzati i trashgroupie della politicizzazione, o le sardine del radicalismo chic e idiota: Young Urban Photographer, cioè giovani professionisti dell’Opening People o, più malignamente, “Tardoni-boomers”, i nati durante la crisi petrolifera e l’austerity: con il loro frenetico appoggio al Lolitismo Permanente, la loro crociata per il populismo pubblicitario e comunicativo, il loro volontarismo antiresistenziale alla distribuzione del 5G, stanno cambiando il costume delle madamine, come fecero i fascisti-monarchici un po’ di tempo fa.
Dopo le delusioni della rivoluzione rosastra e dell’opportunismo neo-liberal, questa generazione arriva sulla scena della comunicazione senza miraggi, ma assetata di potere repressivo e di livore nei confronti di sociologi e di filosofi che praticano una ricchezza critica di scrittura e di sentimento politico democratico e libertario. Viviamo una fase storica particolare, secondo le Shooter Madam, spinte dalla voglia della reprimenda, in cui la stessa libertà deve generare costrizioni, repressioni, frustrazioni e insabbiamenti, soprattutto interramenti. La sbrindellata tribù di “fotografe suicide” è vastissima: le madamine con diritto di centuria, alle prossime elezioni sono più di mille unità, tutte provenienti dalla privatizzazione delle Belle Arti. “Se gli squadristi emulatori voteranno numerosi – dice l’esperto di sondaggi liberista Immanuel Plurifalle – saranno decisivi per l’artista di Ferro, e comunque saranno loro la forza cruciale nei prossimi anni nell’Italia sovranista e nuovamente fascista”. Intanto la fotografa, affetta da Sindrome da Lolitismo Babbiota, ha convinto tutti i fotografi di Taurenide e dintorni con il grido di guerra: “I vecchi filosofi e sociologi con la pancia, i poeti ribelli hanno avuto il loro turno, adesso tocca a noi: reprimere, reprimere, reprimere”.
Il curriculum politico e sociale di questa femminilità neo-liberista comincia proprio negli anni ’90, quando si sognava con la fotografia e con gli operatori cinematografici maschilisti e vetero-stalinisti. Da allora, per anni, pesanti sconfitte. Ma dalle frustrazioni le Madamine dalla Sindrome del Lolitismo si sono riprese meglio dei loro coetanei italiani e ne hanno distillato la loro regola di vita: realismo feroce, avversione per ogni mancata opportunità, antipatia per il grigio sistema dell’arte e per il burocratichese filo sindacalista dei finti democratici, antipatia per la critica contenutistica dei puristi, ermetica, estetica, storica, militante, stilistica. Insomma per la cultura critica! È vero, dice Pierre Bordieu: “Le tash-ine cercano il poeta da bersagliare, l’ebreo-comunista da reprimere, il libertario-messianico con la doppia identità da eliminare. Per voi europei deve essere difficile darci un’etichetta, perché siamo conservatori in economia e progressisti sul piano delle opportunità”. Per capire il paradosso politico delle Multi-Gender non c’è che da fare un salto al quartier generale dell’Opening People, nel letamaio della generazione delle netiquette. Moltissimi piccoli borghesi, di paludata famiglia mafiosa, sfidano neve e pioggia nelle loro giacche a vento brandate, per adoperare i costosissimi apparecchi digitali e gli opuscoli delle vernici galleristiche: in poche settimane hanno diffuso milioni di volantini, con su scritto Opening People, Opening Selfie, hanno scattato migliaia di fotografie delle popolazioni delle inaugurazioni e hanno propagato tanti slogan di consenso al 5G. La libera concorrenza dell’Opening, che si fonda sull’arbitrio del fotografare tutti per non fotografare nessuno, è soltanto l’equilibrio spumeggiante del Capitale con se stesso, in quanto altro capitale iconografico da vendere alle riviste online: il reale comportamento del capitale in quanto anarco capitalismo. Attraverso la libera concorrenza, il capitale riesce a riprodursi, rapportandosi a se stesso ed incitando l’ideologia della repressione e della pratica della censura. Grazie alla libertà della Sindrome da Lolitismo Macchinico, copula con l’altro se stesso autoritario e limitativo. Mentre i praticanti dell’Opening Fotografico concorrono competitivamente fra di loro, il capitale si moltiplica, così come si moltiplica il desiderio per la repressione dell’altro. Nel concorrenzialismo della Sindrome di Lolita, non sono gli individui ma il capitale che è posto in condizioni di libertà. La madamina è degradata a organo genitale del capitale. La libertà individuale presta al capitale una soggettività-automatica, che stimola il selfie attivo, la riproduzione della violenza. Così, il capitale procrea ininterrottamente Groupie su Groupie. Il liberismo della Sindrome-Lolita, che assume oggi una forma eccessiva, è infine nient’altro che l’eccesso, il parossismo del Capitale stesso. Anche l’uso della fotografia è evocato nel nome della libertà di disinformazione, ma una libertà che ha il potere di desiderare benessere egoistico e repressione congiunta. E Debra Giulianovic, proveniente da una esperienza, dei servizi segreti neo-nazi dice: “I filosofi ebrei ci prendono in giro, chiamandoci la generazione dell’Io-Madamina, accusandoci di Narcisismo. Ma che importa? L’Italia del potere repressivo, contro la libertà di stampa, è qui!”.
L’improntitudine delle NeoLolite, la loro forza di impatto sociale, il loro modo di parlare sempre per affermazioni violente, in molti casi il cinismo, ha spinto gli scienziati della politica a studiarle, ovvero a prendere atto delle pratiche anarcoliberiste. Secondo Marco Dudelli, studioso dell’Università delle Case per l’Affermazione del 5G, che sta lavorando al primo saggio sulle Madamine Aggressive e Fotografiche delle Officine Dogliani, la miscela esplosiva è nata dall’incontro del ribellismo neo-nazi di queste ragazze e ragazzi trans con gli spazi enormi aperti dalla rivoluzione della strategia poliziesca di controllo dei mass-media. Le neo-Lolite aspirano ad essere l’elite che controlla i servizi tecnologici, mentre declinano le burocrazie e la classe intellettuale; ceti da trattare alla stregua delle politiche impiantate da Bolsonaro. C’è in questi quarantacinquenni, spiega Mario Cullani, uno spiccato sentimento autoritario. Sono convinti che i padri gliene abbiano impartite di tutti i colori. Ma la loro attuale traduzione dell’utopia groupie è l’Italia post-industriale. Reclamano una società liberista e autoritaria, meno istituzionalizzata, più aperta al governo dell’immagine e della repressione delle forze critiche. Ed ecco, dunque, le bramose di autoritarismo poliziesco appoggiare ogni misura autoritaria, considerare i sindacati un rottame del passato e leggere le vaghe new-selfizzazioni di Ofelia Mortadella nel suo fotolibro New-Authoritarianism. Ma il vero albero genealogico della cultura neo-nazi bisogna ricostruirlo a partire dalla tesi di Paola Sbissi, sulla fine dell’ideologia di Carla Lonzi, dalla società a fascismo zero teorizzata da Cettina Lenzi e ovviamente, dal mito del Lolitismo sociale, descritto da un altro Fotografo dell’Opening People. “Innegabile, ammette Enrico Ranaldi, siamo un sacco trans-narcisisti. Ci piace la palestra, vestire vintage, giocare in società con la macchinetta fotografica digitale, e non ci curiamo dei lavoratori che sulle pagine dei giornali online scrivono per poche lire”. Sul fronte delle lacrime abbiamo già dato negli anni della nascita del Lolitismo. Questa filosofia così glaciale è però subito contraddetta, quando questi trattati scritti da Virginia La Tabaccara si affannano a irretire l’inquinamento maschile, si mobilitano in difesa della repressione sociale contro i free-media, contro il lavoratore della conoscenza, per i diritti sociali delle poliziotte e della società di controllo; e se c’è da votare un ex-editorialista di una rivista di sistema o anti-sistema lo fanno senza batter ciglio, a patto che sia efficiente.
Né a destra né a sinistra, spavaldi e arroganti, il luogo della società di controllo vorrebbero inventarselo tramite la fotografia. “Tra dieci anni – dichiara sorridendo Elio Ellintonio, ingegnere – saremo noi a comandare, finalmente e finemente una generazione di artisti forti, attenti alle soluzioni dei problemi e non alle polverose battaglie di reduci gramsciani o del sindacato dei nuovi IWW. Ma se l’Opening People fallisce l’obiettivo Comune o Regione, che ne sarà del lolitismo? Torneranno alle loro carriere, alle loro case con prato e alle partite da tennis nelle langhe? Macchè, politologi e statistiche concordano: il domani è loro, la loro strategia repressiva è sulla bocca di tutti. «Il lolitismo?», dice Erminia Mongolfiera «sono troppo incazzate per rifluire». La rivoluzione post-industriale ci nutre e ci finanzia: «alle prossime elezioni i lavoratori della conoscenza saranno spariti, grazie alla nostra strategia repressiva, e noi saremo più numerose e più potenti».