ARCO Lisboa
Bruno Ceccobelli, "l’Opera, non altro", La Nuova Pesa, Roma

Bruno Ceccobelli. L’ORO e il BUIO

La galleria La Nuova Pesa ha aperto la sua nuova stagione espositiva con la personale “l’Opera, non altro” di Bruno Ceccobelli, tornato a Roma dopo nove anni dalla sua ultima mostra nella Capitale.

L’esposizione, conclusasi e curata da Matteo Di Stefano, ha lasciato sua testimonianza nel catalogo omonimo Bruno Ceccobelli. l’Opera, non altro, edito da Silvana Editoriale.

Così scrive il Maestro sulla mostra a La Nuova Pesa:

“Questa mia seconda esposizione, alla galleria romana La Nuova Pesa, prende spunto dall’incontro discorsivo con Arnaldo Colasanti, avvenuto a Todi nell’agosto del 2024 durante la mia antologica, a Palazzo delle Arti, detto del Vignola, dal titolo “Ceccobelli Anni ’80”.
Conversazione avvenuta di fronte ad un’opera dal titolo: “Uomo di Cosmo” del 1984; Arnaldo, impressionato dall’oscura prospettiva raffigurata in quest’opera ricordò la tenebra prospettica di quell’affresco quattrocentesco del Masaccio a Firenze in Santa Maria Novella, capolavoro del Rinascimento italiano.
Per dialogare con Arnaldo io, come al solito, legai (con voli pindarici) la problematica della nascita della prospettiva alla comprensione della Trinità cristiana propria dei cattolici e alla mia adesione invece alla “Teologia negativa” e alla “prospettiva inversa”, trovando poi raffronti diacronici tra le due raffigurazioni apparentemente incongrue.
A quel punto Arnaldo, appassionato, mi propose di leggere la sua interessante relazione sulla Trinità compresa nella “Teologia positiva”.
Simona Marchini, testimone di questi nostri interessi, presa la palla al balzo, sorridente rivolgendosi a me: «Da umbri a umbri, perché́ non facciamo ora una tua mostra da me… presentata da Arnaldo?» risposi sorridendo: «sai Simona sono quasi 10 anni che non faccio una mostra a Roma, sì mi farebbe veramente molto piacere»”.


DENTRO l’Opera, non altro

La regalità della vita si schiude nel sincero vociferare della pittura che vive la temporalità dell’immaginifico per muovere uno sguardo consapevole di un’alchemica compresenza androgina.
Nel silenzio immobile della prima sala, si rivela Faccia a Faccia.
L’abbandono del profitto capitalista richiama un veritiero dialogo con l’origine, nel senso più puro di Assoluto. Il colorismo della pittura evoca le quattro dimensioni in un moto centripeto che vede concorrere, nella forma compiuta del cerchio, sette coppie di volti che si uniscono platonicamente nell’immortale amore cosmogonico.
Altra significazione inderogabile è l’interrogazione dell’io nel suo richiamo verso la tensione all’ascesi, un faccia a faccia con l’intero non scisso, con l’essenza dell’unità e dell’origine. Ed ecco come il dado che figura al centro si svuota del sette, del doppio e del trino per riportare, su tutte e sei le facce, la somma delle parti opposte nell’intero angelico uno, l’essenza dell’esistenza, luce dell’infinito, l’Oro.
L’invito è quello di proseguire verso l’etereo suono che si ode, inevitabilmente, immergendosi in Tota pulcra.

Si può accostare il titolo dell’opera Tota pulcra all’antico inno mariano del IV secolo, e che concepisce la figura della beata Madre di Gesù come priva della macchia del peccato originale, rendendola figura della gloria di Gerusalemme e della Letizia di Israele.
Il suo ritratto è incastonato all’interno del simbolo di purezza, la “vesica piscis” o la “mandorla” di luce che, nel Giudizio Universale, avvolge Gesù e la Madre, ed è simbolo chiuso all’interno di una gemma dalla faccia pentagonale, in cui i cinque elementi sintetizzano il processo della rinascita, e il cui vertice superiore rappresenta l’Uno inconoscibile, dal quale nasce, per emanazione, tutta la Creazione.
Sembra che la forma del cristallo corrisponda a quella del berillo, la cui punta è rivolta verso il basso.
Nel corso dei millenni, le scuole iniziatiche, filosofiche e i movimenti religiosi, percependo questa particolare configurazione energetica, o frequenza vibratoria della figura stessa, le hanno attribuito particolari significati simbolici che, oggigiorno, costituiscono gli archetipi del nostro inconscio collettivo e sono chiavi di interpretazione della realtà fisica ma anche dei fenomeni non tangibili, tuttavia non meno “reali”, e che caratterizzano la nostra sfera emotiva, mentale e spirituale. 

Il pentagono, segnatamente, rappresenta l’armonia e la perfezione del creato del macrocosmo e, per principio di corrispondenza, altresì del microcosmo, dell’uomo che, per il principio di polarità, è identificato nei suoi due “stati opposti”, quello perfetto del Dio vero, e quello imperfetto, creato ad immagine e somiglianza del Padre. L’uomo che deve raggiungere la consapevolezza della propria divinità, attraverso un cammino di perfezionamento. Quell’uomo è Adamo che, con Eva, conclude l’opera, portando il pentagono a simbolo sia della “porta” (Gesù) da varcare al termine del processo di perfezionamento, sia la “via” che l’iniziato deve percorrere per perseguire la meta della perfezione, segnata dalla verità e dalla libertà.
Il perfezionamento giunge verso la più alta apologia del Cristianesimo, pervenuta dall’antichità cristiana, e – come afferma Alberto Jori, in De Civitate Dei, nel Dizionario delle opere filosofiche – il primo grande saggio di teologia della storia e uno dei testi più significativi della letteratura cristiana e universale.
È ora avvicinabile l’opera del Maestro Ceccobelli che non circoscrive, nel paesaggio, il semplice luogo del divino ma il suo senso di cittadinanza, come condizione spirituale tesa al destino di salvezza.

È nello spazio morale kantiano che si manifesta l’unica vita indipendente dall’animalità.
Nel mondo fisico, l’uomo è invece limitato, in quanto tenta l’attraversamento delle barriere della sfera noumenica, attraverso le idee della ragione, di anima, di mondo e di Dio ma perdendosi nel mondo fenomenico della Ragion Pura.
Solo nella parte conclusiva della Critica della ragion pratica si legge che “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza…”.

Da qui, potremo partire per immergerci nell’aura di Sopra il cielo stellato che, nelle scie siderali del blu, pone la bellezza del cielo aureo che tutto contiene e assorbe.  
Sulla via per giungere all’indefinito, si transita per la quadratura del cerchio, strada che porta al centro del non indagato per il raggiungimento del Lapis, già dal Medioevo.
Il simbolo dell’Opus alchymicum compare sul palmo della mano sospeso nell’empireo, e sintomatico del conseguimento della quintessenza, dell’Unità.
Quel raggiungimento si verifica, mirando a tutti quei “segni” contenuti – secondo le parole del Maestro – come un’intelligenza viva che sconvolge e porta oltre la soglia della superficie grezza dell’involucro.
Una porta che si varca per arrivare all’essenziale, al di là della Forma, come è descritto nell’Angelus, alla Madre delle Madri, alla Serva del Signore, Amen.

L’uomo ottiene l’oro solamente nella ricerca continuativa, silenziosa e ascetica delle Forme Eterne, con cui può riempire Il vaso prezioso della creazione, oltre la Porta verso l’infinito, opera che apre alla maestosa installazione pittorica dell’ultima sala, Inter Trinità, ove il processo si sublima nelle due figure d’ombra, dalle quali si origina la figura centrale colma di luce, per indicare l’impossibilità di cancellare il buio, la conciliazione degli opposti e il raggiungimento della luce, dell’Oro. 


BRUNO CECCOBELLI I L’OPERA, NON ALTRO
a cura di Matteo Di Stefano
dal 14 novembre 2024 al 31 gennaio 2025
Galleria La Nuova Pesa – Via del Corso, 530, 00186 Roma RM
Orari di apertura: dal lunedì al venerdì 10:00 – 13:30; 16:00 – 19:30
Tel. 063610892
Email: nuovapesa@farm.it

×