Gallleriapiù, Matteo Cremonesi, installation view, Arte Fiera 2020, Ph. Stefano Maniero, Courtesy the artist & the gallery

Artefiera 2020, fotografia e immagini in movimento

Non vi è dubbio che la crescente e ormai consolidata pratica fotografica si sia imposta, specie negli ultimi quaranta-cinquant’anni, come linguaggio artistico con la sua specifica identità riuscendo a essere al contempo strumento di ricostruzione simbolica e forma di presentazione diretta del reale, dimostrandosi congeniale al simultaneo sviluppo tanto del tema della “grande astrazione” quanto di quello del “grande realismo” che ha caratterizzato la poetica novecentesca. 

La ricchezza delle ricerche di cui la fotografia si compone, la sua ingerenza nel nostro quotidiano, il ruolo cruciale che essa svolge nelle nostre vite, e l’inevitabile fascinazione che ne deriva, ha trovato in questa edizione 2020 di Arte Fiera – la seconda diretta da Simone Menegoi e Gloria Bartoli in qualità di vicedirettrice – nella sezione Fotografia e immagini in movimento, a cura del collettivo Fantom (rappresentato da Selva Barni, Ilaria Speri, Massimo Torrigiani, Francesco Zanot), un luogo di osservazione privilegiato capace di restituire un’ampia panoramica su questa stagione contemporanea in cui il linguaggio fotografico incide in modo esplicito nelle vicende complessive dell’arte. 

Il racconto sul mondo nasce dai luoghi e dal rapporto che continuamente si instaura tra uomo e ambiente nella proposta della galleria milanese Podbielski Contemporary che ha istituito un dialogo simpatetico tra gli artisti Massimiliano Gatti, Giulio di Sturcoe Yuval Yairi. Un’operazione di stampo narrativo, di ricognizione ambientale ed emozionale, che corre lungo la direttrice dei siti archeologici dell’antica città irachena di Ninive, dei paesaggi sconfinati e desertici in Israele e approda infine in India, lungo le sponde del fiume Gange. Soprattutto quello di Yairi è un lavoro che risulta sostenuto da un solido impianto concettuale: adottando la figura del topografo come alter-ego, come compagno che lo guida nello studio e nell’osservazione della morfologia del territorio in cui vive, al fine di tracciarne una mappatura interiore, e assemblando elementi diversi, l’artista riesce a dare vita a una fotografia che vive in un tempo e in uno spazio metafisici funzionali a un’indagine sulle questioni di identità e moralità. 

Seppure colta da altra angolazione, la materia del paesaggio è stata al centro anche del progetto espositivo della galleria di Napoli Umberto Di Marino che ha presentato i lavori di Francesco Jodice, Pedro Neves Marques e Sergio Vega. In particolare Jodice si focalizza sui fenomeni di antropologia urbana e sulla produzione di nuovi processi di partecipazione con progetti che mirano alla costruzione di un terreno comune tra arte e geopolitica. Attraverso la disanima delle vicissitudini e dei postulati della storia americana, dalla corsa all’oro fino alle recenti catastrofi finanziarie, la serie “West” ambisce a essere una piattaforma di osservazione dell’ultimo grande impero occidentale. Protagonisti sono un infinità di personaggi – cowboy e indiani, rock stars e attori, gangsters, bodybuilders, intellettuali e artisti – che ne raccontano lo splendore e l’aberrazione insieme. 

Il territorio assumeva invece le sembianze di un paese sommerso nel racconto per immagini di Silvia Camporesi esposto nell’ambito del progetto curatoriale della romana z2o Sara Zanin Gallery insieme alle artiste Mariella Bettineschi, il cui lavoromette in primo piano la smaterializzazione prodotta dalla luce e Ekaterina Panikanova presentecon il video Floating (2019). Basandosi sulle immagini dell’ultimo svuotamento realizzato nel 1994, Camporesi ha ricostruito il paese di Fabbriche di Careggine, nel comune di Vagli Sotto in provincia di Lucca, abbandonato nel 1947 e sommerso dalle acque del lago artificiale di Vagli formatosi a seguito della costruzione di una diga idroelettrica. Le fotografie si muovono come dentro uno stato di dissolvenza, sospese e indefinite, tratteggiate appena dalle luci che filtrano attraverso le finestre e i ruderi, restituendo una visione frammentata e immaginifica del luogo. 

Spostando l’obiettivo meccanico dalla fatiscenza dei luoghi alla primarietà fisica dei corpi, la fotografia ci ricorda che, come ogni atto linguistico, per quanto astratto, essa mantiene sempre una qualche forma di ancoramento al reale.

Collocato su di un piedistallo fuori dal tempo il nudo di Paul Kooiker (Untitled, 2019), artista olandese al quale la galleria milanese Otto Zoo ha dedicato l’intero stand. L’opera, una stampa di grande formato parte di una nuova serie che il fotografo sta realizzando sul tema del nudo e della posa, cristallizza una modella dalle forme lussureggianti sdraiata su di un tavolo in posizione del tutto inusuale. Un erotismo non esplicito che sconfina, per quella dicotomica alternanza di bianco e di nero, in certe suggestioni cromatiche evocative del cinema noir e insiste sui concetti di soggettività e oggettività, bellezza e bruttezza, seduzione e shock, la relazione tra artista e modella, tra chi osserva e chi è osservato. 

Il corpo, il rapporto con esso, le relazioni interpersonali e quelle intrapersonali con le rispettive culture d’origine, ecco il trait d’union delle opere presentate in fiera dalla Galleria Marcolini di Forlì che vi ha partecipato con due autori: Christian Thompson, artista australiano la cuipratica miltidisciplinare esplora i temi di identità, sessualità, genere, razza e memoria e l’americana-polacca Aneta Bartos. Ascrivibile alla necessità di ripensare i rapporti con la corporeità, propria e altrui,l’indagine di quest’ultima muove dal nudo femminile e vira poi l’interesse, nel 2013 quando ritorna in Polonia su richiesta del padre settantenne che vuole essere ritratto prima del suo decadimento fisico, sul corpo di lui e sulla relazione tra le loro due fisicità.

La fotografia diventa strumento di osservazione fenomenologica di persone ed eventi nei lavori di Mattia Zoppellaro, dal titolo Straight Outta Pikine e CCCP, presentati dalla galleria di Bergamo Traffic Gallery. Due progetti agli antipodi sia per collocazione geografica che per estrazione culturale – la scena hip hop della città di Dakar e quella neo punk russa – che trovano nella ricerca di questo autore, da sempre interessato alle culture musicali giovanili, la loro ragion d’essere. 

E si svela, ancora diversa, nell’incrocio di segni di pittura e moda della fotografa e art director di Amsterdam Justine Tjallinks esposto dalla MC2 Gallery Contemporary Art di Milano. Ritratti che irrompono sulla scena in una poetica mescolanza di luce, quella dei maestri pittori dell’età dell’oro olandese, e di bello, quello che alimenta i sogni e i desideri del vestire. Un universo dove la fisionomia umana non è sempre perfetta eppure, come pietrificata a colori sulla superficie fotografica, diventa immagine raffinata che vive su preziosi estetismi. 

Le variegate aree di ricerca si sovrappongono e si sorpassano e si interrogano, infine, sull’impiego del mezzo ingaggiando una tensione creativa che sposta l’asse verso approcci di tipo analitico in cui l’esercizio della visione entra in relazione con il dispositivo tecnico. 

Un’indagine sui limiti del medium fotografico è quella che ha proposto la galleria milanese Viasaterna con il solo show di Alessandro Calabrese. Indagando i temi del colore, della forma, la trasparenza e l’inconsistenza, ed esaltando la fotografia come arte meccanica in grado di esautorare l’autore in quanto soggetto psicologico, la sua sperimentazione affida gli esiti a software randomici e scanner in nome di un’estetica tecnologica. 

Fedele al suo concetto di “estetica con conseguenza”, ossia all’individuazione di pratiche artistiche che abbiano una forte ricaduta su tematiche strettamente legate all’attualità – a volte disturbanti, a volte perturbanti, sicuramente sempre provocatrici di un pensiero – la bolognese Gallleriapiù ha dedicato questa edizione di Arte Fiera a Matteo Cremonesi. L’artista, da sempre attento ai nuovi media, si concentra in particolar modo sulle influenze estetiche, sociali e politiche che le nuove tecnologie esercitano sulla ricerca artistica e sulla cultura contemporanea in genere.

A chiudere questa carrellata, la galleria di Trieste MLZ Art Dep che ha proposto tra le altre l’opera vincitrice del premio A Collection 2020 dal titolo Time travel stuff (The Worm), 2018 del duo artistico The Cool Couple. Mossi dalla volontà di riflettere sui processi di produzione, distribuzione e consunzione delle rappresentazioni collettive, Niccolò Benetton e Simone Santilli hanno modificato digitalmente il modello di un wormhole (ponte di Einstein-Rosen) – un cunicolo che permetterebbe di viaggiare da un punto dell’universo a un altro più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la distanza attraverso lo spazio normale – rappresentandone una sezione e rielaborando i colori così da ricordare la optical art.

In definitiva, la sezione ha condensato efficacemente letture diverse di quel vasto sistema che è la fotografia, ribadendo l’immediatezza e la forza comunicativa delle immagini in movimento ed evidenziando la loro capacità di imprimere ritmi e sintassi nuovi all’articolazione del visivo.