Veduta esterna della sede di Galleria Continua Paris, 2021 Courtesy: GALLERIA CONTINUA Photo by: Lorenzo Fiaschi

Arte, mercato e pandemia: Mario Cristiani

In un momento storico che ha costretto tutti gli operatori dell’arte, chi più chi meno, a ripensare il proprio ruolo, la riapertura del mercato deve per forza partire dalla consapevolezza di non attraversare una semplice fase, ma un cambiamento radicale. Che non va sprecato. Dopo un primo colloquio con Massimo De Carlo, ne abbiamo discusso per la nuova rubrica Sistematica, su Segnonline, con Mario Cristiani di Galleria Continua.

A giudicare dal coraggio, davvero fuori dal comune, con cui Cristiani e i suoi soci hanno aperto a Parigi un nuovo spazio espositivo, c’è da credere che gli anticorpi autoprodotti dal sistema stiano cominciando a circolare.

Quale sarà, in questa “nuova normalità”, il ruolo della galleria intesa come spazio fisico accogliente e umano?

La storia che abbiamo inventato da San Gimignano ha sempre avuto il senso d’accoglienza e il rapporto umano come elementi di fondo. Già da quando nell’ottobre del 1990 aprimmo il primo piccolo spazio in Via della Rocca cercammo un modo di rendere l’incontro con l’artista un momento di conoscenza anche umana: il tavolone pieno di crostini che preparavamo noi stessi nel sottoscala del ristorante del babbo di Lorenzo e il vino che offrivamo e ci offrivamo per godere insieme dei lavori degli artisti; per continuare poi con le cene e le danze post opening quando abbiamo preso il cinema a San Gimignano. Questo tipo di situazione ha sempre fatto parte della nostra ricerca, insieme al bisogno che il tutto non fosse solo un lavoro. Lo stesso è stato con i progetti come “Arte all’Arte” fatti con l’associazione, che abbiamo fondato da subito con la galleria, un modo di ripensare il rapporto città/campagne, un modo di andare oltre l’aspetto coloniale del dominatore bianco che porta la “luce” agli altri popoli del mondo. 

Siamo sempre stati e saremo sempre empatici e sensibili al contesto. La nuova galleria che abbiamo aperto il 20 gennaio su Rue du Temple a Parigi punta – su idea di JR – ulteriormente in questa direzione, rafforzando la consapevolezza di ciò che avevamo dentro ma che non avevamo avuto mai modo di esprimere con questa gioiosità e vitalità; la cosa Giusta al momento Giusto, un seme di speranza e un messaggio in bottiglia agli altri amici galleristi e al mondo dell’arte. 

Arriveremo a riequilibrare un baricentro che, negli anni, si è spostato in direzione di Kermesse globali?

Il dialogo, il livello ed il confronto internazionale saranno sempre fondamentali, l’arte ha bisogno di non chiudersi. Le fiere e le mostre ci portavano a viaggiare senza sosta, da un aeroporto ad un centro fiere ma erano anche il contesto per costruire rapporti di amicizia personali e aperture mentali. Bisogna trovare il modo di farlo anche in questa situazione che è più lunga di quanto potessimo prevedere. Sicuramente produrrà qualche cambiamento strutturale, anche se ancora non se ne individuano bene i contorni. Il fatto di aver contato sempre e solo sulle nostre forze e di esserci radicati in relazioni personali – con gli artisti, i curatori ed i collezionisti e, fisicamente, con le nostre gallerie in diverse parti del mondo – ci ha dato già qualche indicazione. La grande energia che arriva dallo spazio di Rue du Temple credo sarà contagiosa, tanto per rimanere in tema virus ma in senso positivo. 

Quale impatto avrà il diffondersi sempre più invasivo di piattaforme telematiche sul rapporto, anche contrattuale, tra artisti e galleristi?

Questo non lo sappiamo, credo che quasi per contrappasso le relazioni personali saranno ancora più forti. Nell’ottica della qualità totale credo inoltre che sarà dirimente riuscire a tener vivo ogni tipo di canale per far capire la realtà di quello che proponiamo. Utilizzare quindi lo strumento telematico ma quando sarà possibile, con tempi e modi che saranno necessariamente diversi da quelli fino ad oggi conosciuti, spostarci anche fisicamente in un posto per viverlo. 

Sarà, ad esempio, ancora possibile garantire contratti di esclusiva, o saranno le case d’aste, già da tempo avvezze a dominare le autostrade del web, a monopolizzare il mercato?

Non so. Certo che la chiarezza del prezzo è un elemento che favorisce molto le case d’aste come la concezione dell’arte come investimento, anche economico, certificato. Nessuno vuole buttar via soldi e perdere valore in ciò che compra, però la realtà dell’impegno per l’arte, anche fuori dal circuito strettamente economico e finanziario, sarà un elemento sempre più importante per chi amerà e vorrà sostenere l’arte come parte fondante di un certo stile di vita. Tra questi due aspetti ci sarà sempre una relazione; noi, con la nostra modalità di lavoro nella galleria e nel mondo del no profit, siamo un indicatore che la cosa è possibile e che le due anime possono vivere e sostenere le azioni e le opere realizzate dagli artisti. 

Quale sostegno attendersi dal Pubblico nella tutela del settore?

Le nostre città fatte nel dopo guerra sembrano delle immense periferie da rigenerare attraverso la cultura e l’arte. Le politiche pubbliche devono essere tali da sostenere la presenza degli artisti della comunità internazionale dell’arte rendendo visibile il valore delle loro opere, per tutti i cittadini e le comunità. Per quanto riguarda la nostra attività privata, se già si potesse diminuire il peso dell’IVA sul valore delle opere portandola al 4% come accade per altri prodotti culturali fondamentali come i libri, già saremo felici. Sicuramente ci sarebbe bisogno anche di opere pubbliche di riqualificazione e incremento dei fondi per i musei pubblici, anche con politiche di defiscalizzazione per imprese e privati, un po’ su modello USA. Rinforzare la loro capacità di finanziarsi per realizzare progetti di artisti aumenterebbe la credibilità nei confronti del sistema internazionale. Sono forse dei sogni, ma già se si riuscisse ad infilare anche solo una di queste azioni tramutandola in legge, sarebbe una boccata d’ossigeno. O meglio, come recita il titolo della bellissima rassegna della Fondazione Elpis alla quale abbiamo collaborato “Una Boccata d’Arte”.