visioni diacroniche

Ambiente e arte digitale, queste le “visioni diacroniche” di Volvo Cars a Milano

“Visioni diacroniche” è il nuovo e suggestivo progetto di arte contemporanea digitale firmato Volvo Cars Italia e curato da Francesca Colombo, direttore generale culturale di Bam (Biblioteca degli Alberi Milano), insieme con Ilaria Bonacossa, direttrice del Museo Nazionale d’Arte Digitale.

L’idea nasce dal nuovo concept dell’azienda Volvo, inaugurato a Milano nel 2017 e concepito come un raffinato ambiente tipicamente scandinavo, nel quale si sviluppano proposte di contenuto elevato che coinvolgono ambiti diversi. Gli incontri sono caratterizzati dalla reale condivisione di valori che riguardano la sostenibilità, la sicurezza dell’ambiente in cui viviamo, l’attenzione alla persona e ai suoi desideri. Attraverso Visioni diacroniche Volvo Studio si propone di diventare un punto di riferimento della vita culturale cittadina. Un habitat di nuovo tipo, dove il visitatore può entrare a contatto con personaggi di primo piano della scena artistica e culturale mondiale. Il progetto consiste in un ciclo di quattro appuntamenti aperti al pubblico nella sede di Milano in via Melchiorre Gioia. Altrettanti artisti internazionali, protagonisti dell’arte digitale, hanno presentato ciascuno una propria opera che rimanda alla trasformazione dell’ambiente e alla sua percezione.

I primi due incontri si sono tenuti nella scorsa primavera. Nel primo appuntamento Ayman Zedani ha presentato l’opera To the ancestors, human and non-human. L’artista arabo si concentrava su altre forme di vita per indagare come la concezione antropocentrica si possa mettere in discussione per aprire la strada a nuove forme di intersoggettività. Il secondo appuntamento ha visto Natália Trejbalová presentare le sue opere più recenti About Mirages and Stolen Stones, Isle of the Altered Sun e Under the Never Ground. L’artista slovacca indagava, attraverso le possibilità della fantascienza e della creazione dei mondi speculativi, la nostra percezione della Terra come corpo celeste e fisico. La sua pratica artistica è focalizzata sul moving image e si intreccia con la pratica scultorea nello sviluppo dei set e degli ambienti dei video.

Trevor Paglen, BLOOM, 2021
courtesy pace gallery and Claudia Altman Siegle

Ma l’esposizione più recente è stata quello del 27 settembre che ha visto protagonista Trevor Paglen con l’opera Bloom. Un’immagine in grado di mostrare come la tecnologia, e in particolare l’AI, non sia mai neutrale nella sua rappresentazione del mondo. Per l’occasione l’artista americano ha dialogato con il pubblico e risposto ad alcune domande della stampa.

Il suo lavoro è una vera e propria indagine sulla incapacità delle macchine di raccontare la natura e di come ci sia qualcosa di perturbante in questa contaminazione. Il suo interesse verso i media digitali deriva dalla necessità di comunicare in un mondo immerso nel digitale. La ricerca di Paglen, però, va oltre il semplice utilizzo degli strumenti contemporanei. Separandoli in maniera anatomica, studia come funzionino e in che modo tentino di modellare il mondo. Pertanto, cerca sempre di modificare la tecnologia e costruirne delle versioni personali per arrivare al risultato verso cui aspira, ovvero vedere il mondo attraverso gli occhi umani e della macchina allo stesso tempo. Bloom è un esempio del processo messo in atto per capire gli algoritmi visivi del computer cosa possano generare a livelli più bassi di quelli utilizzati solitamente. 

Paglen ha precedente lavorato anche con gli NFT a un progetto con Artblocks. La sua idea era quella di creare oggetti digitali strutturati come un puzzle, in cui i token devono essere decifrati e utilizzati in altre parti della sua vasta collezione. Era una scelta volta a rafforzare la comunità blockchain, incoraggiando le persone a collaborare per risolvere i puzzle e vincere una stampa dell’artista. Il progetto blockchain era chiamato Preludes.

L’ultimo appuntamento di Visioni diacroniche al Volvo Studio si terrà il 22 novembre con Nazgol Ansarinia che racconterà come l’architettura delle città, nello specifico di Tehran, e le sue continue distruzioni e ricostruzioni siano metafora dei cambiamenti della società e delle sue resistenze a questo processo.

Tutte le opere dell’evento al Volvo Studio nascono dalla necessità di interrogarsi sulle urgenze dell’universo contemporaneo, mettendo in dialogo la trasformazione digitale con tematiche legate all’ambiente e alla sostenibilità. Natura, architettura e spazi metafisici si uniscono in un viaggio artistico tra habitat reali e astratti raccontati con il linguaggio dell’arte digitale.

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