L’esposizione compie, con un’annotazione ironica, una tripla decontestualizzazione: sullo spazio come luogo espositivo-domestico, sul valore culturale degli alimenti che tramutano in se-ducenti sculture e sul corpo che, scomponendosi nelle sue parti, si fa appetibile soggetto decorativo. La fascinazione queer invade la colorata giocosità con una spontaneità che pervade i nostri tempi, in cui il termine ombrello entra, con la voracità di tutto il suo sex appeal, in un appartamento borghese che riacquista i valori propri di casa, in cui i proprietari hanno imbastito il tavolo della sala da pranzo con ricche portate.
Lo spazio espositivo si ri-appropria della sua funzionalità primaria. Ed ecco l’ironia da subito evocata dall’artista che seduce, ossia incanala l’attenzione, in un ambiente borghese d’accezione, con l’incarnazione del corpo queer. Un’individualità che quindi da oggetto diventa soggetto di concreta affermazione nel presente. E a noi colpisce positivamente il dizionario visivo che sfrutta una buona lavorazione tecnica della ceramica in questo cannibalismo che si nutre di un’intelligenza liberatoria culturale. È nei due momenti del pranzo e della cena che, tradizionalmente, la famiglia borghese si riunisce, e ci sono state insegnate “le buone maniere” del bon ton. Si tende verso la riflessione del galateo che dalla tavola si sposta verso quell’apparato di credenze tradizionali nel giudicare cosa sia a noi conforme oggi o, più banalmente, se sia ancora appropriato parlare di conformità, falsificando tutte le sfaccettature di cui l’essere, in una naturale-biologica propensione, si caratterizza. Un’apertura molto forte quella di Casa Vuota che conferma la sua inclinazione – come riferiscono i suoi fondatori – ad essere stata “Costruita su misura con un approccio versatile e multilinguistico, utilizzando la struttura dell’ambiente domestico come traccia per ordinare uno spazio che rievoca i modi propri dell’abitare e le abitudini che si hanno al suo interno”.
Se il rispetto è alla base di un buon praticare, allora la “grande installazione che si disloca nei vari ambienti espositivi dell’appartamento e si compone di elementi scultorei in ceramica, di dipinti, di ricami e di un video che documenta una performance” è indice di un’irriverenza che vuole, paradossalmente, riportarci al buon convivere nella curiosità e bellezza del diverso savoir vivre anti-classificatorio. L’etimologia anglosassone “queer”, come “strano” e “bizzarro”, diventa arricchimento propositivo nell’operato di Alberto Maggini che si pone come giusto proseguo di quel filone iniziato dalla scrittrice e sociologa Teresa De Lauretis che, nel suo testo comprendente gli atti del convegno omonimo, tenutosi all’Università della California di Santa Cruz e pubblicato nella rivista Differences, (Queer theory. Gay and lesbian sexualities, 1991, p.3), afferma «rielaborare o reinventare i termini della nostra sessualità, di costruire un altro orizzonte discorsivo, un altro modo di pensare il sessuale». La teoria prende forma nel contesto nordamericano, tramite le provocazioni dell’organizzazione Queer Nation. Il superamento del binarismo degli orientamenti sessuali azzera quei concetti di femminile e maschile, limitanti nel loro riferimento alla sola naturalità, e di conseguenza la costruzione storica e sociale del genere. La filosofa post-strutturalista statunitense Judith Butler parla della sostituzione della concezione costruzionista delle norme sociali vigenti, tramite l’innatismo e la naturalità. L’identità di genere, dunque, non inizia né finisce con i costrutti biologici. Ne conseguono una provvisorietà delle identità e una mutabilità come topoi di esperienze politiche e culturali connesse e, durante le quali gli “atti corporei sovversivi” hanno svelato, come nel caso della pratica dell’artista, la natura inautentica del genere e quindi il suo carattere imitativo. Basterebbe, in un certo senso, tornare allo scritto Origine della disuguaglianza di Jean-Jacques Rosseau per accorgerci dell’arcaismo illogico di tante categorie che l’uomo si è auto-imposto per imprigionarsi in luoghi mentali difficili da valicare per ritornare a un modus cogitandi sullo stadio sessuale libero e liberato dai vincoli “culturali”. Spiega, infatti, come “la disuguaglianza…trae forza e incremento dallo sviluppo delle nostre facoltà e dai progressi dello spirito umano e diviene alla fine stabile e legittima…” .
Dunque, le ecologie queer, care ad Alberto Maggini, sono utili per apprendere come la natura possa gettare le basi per superare determinati pregiudizi, essendo un quadro teorico che tende alle preoccupazioni ambientali, ai costrutti ecologici e alle nostre relazioni con la natura. La materia è stata introdotta, per la prima volta, dalla professoressa di studi ambientali Cate Sandilands (1994), e utilizza la pratica “queering” per discutere sui presupposti alla base di concetti come “selvaggio” o “naturale”. Vengono rifiutate le idee di antropocentrismo umano. Così si sviluppa un’empatia interspecie che va di pari passo con la progressiva e costante distruzione che il nostro habitat esercita nei confronti degli habitat di altre specie, portando l’individuo a incidere sulla maggior parte degli ecosistemi. La queerness è un aspetto incredibilmente “naturale” nel comportamento animale: i biologi hanno documentato oltre 1.500 specie che mostrano identità e/o comportamenti queer. L’accademico Mel Y. Chen afferma che “una creatura senza genere rappresenta una minaccia per il buon funzionamento della società eteronormativa, che si basa appunto su un’organizzazione di genere consolidata” e José Esteban Muñoz che è stato docente e direttore del Dipartimento di Performance Studies alla New York University ha descritto la “creazione queer del mondo” come intrappolata negli abomini del sistema capitalistico e, al tempo stesso, come indicatrice di nuove modalità d’immaginazione, organizzazione e coesistenza.
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Non delude, in tal senso, il trittico di acquerelli su carta con cornici irregolari in resina epossidica multicolorata e solidificata in uno strato vetrifico lucido, in cui sporgono in rilievo conchiglie e parti del corpo come mani, orecchie e piedi che riceve e saluta il visitatore. Sono tre i fiori rappresentati. Il primo è l’Iris gracilis, associato alla Trinità, motivo per cui l’iconografia cristiana ha attribuito questo fiore come simbolo di fede, di coraggio e di saggezza. Il nome del genere deriva dalla parola greca ῏Ιρις. L’arcobaleno, nella mitologia greca, era il sentiero creato dalla messaggera Iris tra terra e Paradiso. Viene anche definito “farfalla porpora” dalla popolazione cinese per i petali leggeri e sgargianti che ricordano le sue ali. Infatti, il secondo fiore della Rosa chinensis è sovrastato da un robusto lepidottero umanizzato in un volto che getta la sua lunga spiritromba proboscidale fuxia e con paillettes. L’Apatura iris, o farfalla iride, appartiene alla famiglia dei Ninfalidi (Nymphalidae), e ha brillanti sfumature viola-porpora, dovute a fenomeni fisici di diffrazione della luce che le permettono di cambiare in base all’angolo di incidenza dei raggi luminosi, ponendo in essere il carattere di versatilità che contraddistingue il nostro essere mutanti. Tale caratteristica proviene dal nome del suo genere specifico che deriva dal greco “apatao”, ossia ingannare. Presenta una macchia a forma di occhio che ha probabilmente suggerito la soluzione immaginifica all’artista. L’iris adriatica è una specie vegetale perenne rizomatosa del sottogenere iris. È spuria ed endemica della regione mediterranea della Croazia. È stata inserita nel Red book croato per il suo essere in pericolo d’estinzione, a causa dell’accelerata urbanizzazione. La porpora è conosciuta, tradizionalmente, come sostanza colorante che deriva da un liquido secreto dalla ghiandola del mantello di alcuni molluschi gasteropodi marini, soprattutto del genere Murex e Purpura. Il porpora è stato anche, a lungo, il colore simbolo dell’ordine senatorio ed equestre presso gli antichi romani, della sovranità imperiale nell’impero bizantino, e tutt’oggi lo è per la dignità cardinalizia.
È curioso come tale carattere si svesta di un suo passatismo per riacquisire nuove proprietà funzionali al presente.
La mutabilità è soprattutto richiamata dalla Rosa chinensis, anche simbolo della passione tantoché le protuberanze della cornice non sono orecchie e piedi ma a essere aggettante è il segno benedicente delle mani. Come la prima specie, è considerata una pianta ornamentale e viene utilizzata per produrre la marmellata di rose. Originaria della Cina, è ibrido antichissimo e presente nelle corti italiane già dal Medioevo. È preziosa per la sua continua rifiorènza e ricchezza di colori mai vista. Quando i suoi fiori si dischiudono sono di colore arancione o giallo cuoio, successivamente diventano rosa, e infine cremisi pallido. La transitorietà del divenire della rosa è, tuttavia, altro punto di riflessione dell’intero percorso affrontato dal nostro. Chiude, in un’aura marina, il terzo fiore o Nerine humilis della sottofamiglia delle Amaryllidaceae. Ha ricevuto il Royal Horticultural Society’s Award of Garden Merit, configurandosi anch’essa come pianta ornamentale. I suoi petali riecheggiano il rinnovamento e il rilascio di vecchi modelli di pensiero e di comportamento, e promuovono la spinta al cambiamento. In letteratura è associato ad Afrodite, la dea dell’amore, ma anche a Hermes che impiegò il fiore per ingannare la ninfa Nerine, facendola innamorare di lui. Per la sua purezza, in astrologia, è legata al segno della Vergine. Ma chi è la Vergine?
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Dopo aver praticato il nostro battesimo con la spiritosa maschera di paillettes e a forma di pileo, montata tramite un supporto in metallo su un tessuto in cotone decorato con piccoli fiori che sprigionano un’energia primordiale variopinta, ci troviamo faccia a faccia con i Dioscuri in camera da letto (2023), protettori dei naviganti dalle tempeste marine. Sono due mascheroni che afferrano una conchiglia che sorregge una candela verdastra. Privi del cavallo e del copricapo conico, sostituito da un elmo spinoso rivestito di Bolinus brandaris, attuano un gesto di riferimento sacrale, al contempo ironico, verso la videoperformance (dur. 2’ 30’) che stanno osservando dinanzi a loro: Amalfitan Coast Lemon (2023).
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Dopo la recente campagna internazionale di promozione turistica del Ministero del Turismo ed Enit, realizzata con il contributo del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio, Alberto Maggini si sostituisce alla Venere, nella medesima rappresentazione di origine botticelliana, rispondendo al quesito sopracitato della Vergine. Lo sfondo è quello della costiera amalfitana, tra i principali produttori di limoni italiani, in cui lo “Sfusato amalfitano” fu scoperto dai navigatori dell’antica Repubblica di Amalfi.
Amalfi è anche il nome del vento freddo di tramontana derivante dall’antica Triventum. Simmetricamente, si dispongono dei rami di limoni sulla destra e sulla sinistra all’interno dello schermo, mentre un braccio entra a spremere lo Sfusato, come a condire la portata interna alla conchiglia, ovvero il corpo dell’artista stesso che si identifica con la Venere in vesti moderne, con posa sensuale, e poco dopo riprendente il gesto pudico tipico della raffigurazione rinascimentale. I rami del limone sono accompagnati in basso dal gemellato volto dell’artista che sostituisce, tramite il soffio con maschera felina, Zefiro. Il gatto è stato spesso affiancato, fin dall’antico paganesimo, a dee dell’amore e della fertilità, ricongiungendosi alla trama della celebre Nascita di Venere. L’agrume è coltivato in tutto il mondo, in innumerevoli varietà non classificabili, nell’interezza, dai botanici. Alle spalle dei Dioscuri e agli angoli della stanza sono disposte due conchiglie che, nelle loro fauci, presentano i calchi dei piedi dell’artista come piccole calzature con orecchie da coniglio, simbolo di fertilità in riti precristiani che celebrano il risveglio della natura, e animale associato a diverse incarnazioni culturali. È una creatura liminale simbolica del perpetuo cambiamento naturale della fertilità, di metafore di prudenza e di paura ma anche di stregoneria e di purezza insieme, come le Conigliette di Playboy.
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Il limone torna, questa volta con i suoi spicchi che contornano un Tacchino ripieno al forno (2023), impreziosito da un tanga e da polsini a volant verdi, squisita pietanza con il Cocktail di gamberi (2023), in cui è evidente la metamorfosi delle dita dell’artista che – congiuntamente alle opere a parete, colme di motivi floreali e vegetali, ma anche marini come l’ippocampo – alludono alla “Queer Nature”, teoria, come abbiamo specificato, osservante la natura, il sesso e la biologia, per opporsi alla visione eteronormata della natura, tentando di sovvertire i dogmi dettati dalle deduzioni, fortemente influenzate dalla cultura patriarcale e provando a contemplare una visione fluida e orizzontale che abbracci la natura nella sua totalità e nel suo divenire costante, senza barriere.
Queer Nature è il titolo di un saggio editoriale scritto da Caffyn Kelly, edito nel 1994, sulla rivista UnderCurrents: Journal of Critical Environmental Studies, in cui viene introdotto il concetto di “Queer Ecology”, nato dallo studio combinato fra la teoria queer e i movimenti eco-femministi degli anni ’70, tramite una rielaborazione di idee, applicate al mondo naturale e a tutte le sue componenti non-umane. Riformulando il concetto di natura, possiamo renderci conto di come le forme di oppressione siano interconnesse e la lotta per un rovesciamento del sistema patriarcale e capitalistico possa funzionare se uniti e consci delle altrui potenzialità. A tal proposito, il filosofo Marco Maurizi esplicita che “Solo se lo specismo è pensato come fenomeno storicamente e socialmente determinato la lotta contro di esso può assumere la forma di una progressiva opera di smantellamento di un ordine che eccede le volontà degli umani catturati, assieme agli animali, nel suo ingranaggio istituzionalizzato. Se si assume l’ottica dello specismo come pregiudizio morale, invece, l’unione tra interesse umano e interesse non umano verrà visto come un cedimento all’ideologia antropocentrica e specista; l’idea di un’azione collettiva e articolata composta di soggetti politici diversi e con un fine non immediato ma a lunga scadenza verrà giudicato immorale”.
Se bisogna pensare “per ecologie” – come sostiene Donna Haraway – si deve necessariamente fuoriuscire dalla concezione di eliocentrismo rispetto alle altre specie che abitano il nostro pianeta, abbandonando persino quella tripartizione fra viventi umani, altri dagli umani e le tecnologie, oggi estese – come scrive Federica Timeto nel testo dell’articolo Animali che significano: Note introduttive a un bestiario naturalculturale – alle n-connessioni tra molteplici componenti organiche e macchiniche dello Chthlucene. “L’idea che gli animali debbano essere rappresentati – spiega sempre la Timeto – non sapendo rappresentarsi da sé caratterizza un approccio all’ecologia orientalista e imperialista, alla base di discipline come la primatologia e la zoosemiotica e che oggi ritorna, per esempio, in certo conservazionismo come nell’animalismo dei diritti… Nei contesti narrativi, simbolici o allegorici dei bestiari, gli animali assumono più di un significato allo stesso tempo. Le pagine dei bestiari funzionano come uno dei tanti spazi di addomesticamento… . Nei bestiari medioevali, sono exempla per insegnamenti morali in apologhi edificanti e veicolano dogmi di difficile comprensione nelle predicazioni degli ordini mendicanti; ma in conseguenza di una più ampia diffusione dell’aristotelismo e dei compendi enciclopedici esemplificano anche questioni secolari che riguardano la cultura, l’economia, l’organizzazione della società, giungendo a toccare i suoi margini nella forma del mostruoso e del meraviglioso. Nel Medioevo, scrive Michel Pastoureau, i bestiari non appartengono al campo della storia naturale, ma a quello della storia culturale. Per il “serraglio di figurazioni” animali di Haraway, tuttavia, questa distinzione decade perché gli animali sono attori naturalculturali, agenti sociali a pieno titolo”.
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Alberto Maggini. Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota, ph. Eleonora Cerri Pecorella
Bestiario, tra i bestiari, è una Torta al cioccolato con glassa (2023) di tre piani, sul cui basamento tornano i calchi dei piedi dell’artista, in cui spiccano le sue labbra rosse come le ciliegie e lo smalto, e che chiude l’apparato cibario disposto su una tradizionale tovaglia merlettata all’uncinetto. Infine, la portata d’insalata aderisce al tema della cosmesi. Così l’apparente oggettualità negativa di un corpo si rompe, per mezzo della frammentazione di una maschera sociale, per ri-affermare la propria presenza nella quotidianità. La cosmesi fa il suo ingresso in tutta la sua potenza goffamente terrifica nel curare le membra maschili o femminili, e nel correggere quei difetti e imperfezioni che, contrariamente, l’artista vuole distruggere per esaltare la meraviglia dell’errore, vera dichiarazione della profondità dell’essere. In un secondo atto – che si configura anch’esso nel primo – il volto diviene quello dell’artista, annullando qualsiasi altra visione congetturata. In questa sala, numi tutelari sono Le Virtù: Vanità e Abbondanza (2023), entrambe sculture arcimboldiane, modellate con ampi seni, nasi e con corone vegetali. L’una ricoperta da un trionfo di fiocchi rosa, l’altra di frutta. C’è da chiedersi a che proposito siano state introdotte le due figure della Vanità e dell’Abbondanza come pilastri d’affaccio verso l’esterno. E allora possiamo frugare nella nostra immaginazione che tira fuori, da un repertorio culturale, il ricordo di La commedia della vanità di Elias Canetti, e che il regista Claudio Longhi rimetterà in scena più tardi. Si racconta di una comunità e di uno stato che decidono di proibire la vanità, punendola con la morte e con la distruzione degli strumenti con cui essa può esercitarsi, secondo un regime “totalitario” che procede per “iper-stimolazione diffusa” e teso a conferire alle masse uno stato di sovra-eccitamento delirante e continuo. D’altra parte, lo studioso Gian Piero Piretto dedica una descrizione al periodo staliniano, nel suo saggio Quando c’era l’Urss, in cui tra le categorie ricercate dal regime figurano la prosperità, l’abbondanza e la ricchezza, componenti che, per la loro natura “disneyana”, sono facile oggetto di investimento strategico che spinge la componente del terrore a tramutare in parentesi di gioia, assecondando quell’idealismo di dittatura e di totalitarismi che elimina il pensiero scomodo delle masse, rendendole rispondenti a un’idea di felicità assoluta e condivisa.
La mostra deriva il suo titolo dal volume L’Origine des manières de table (Le origini delle buone maniere a tavola), terzo delle Mythologiques, dopo Il crudo e il cotto del 1964, e Dal miele alle ceneri del 1967, di Claude Lévi-Strauss che sottolinea la diversità dei miti in relazione alla propria cultura di provenienza e pone la traduzione dei sistemi alimentari in costruzione mitica, affrontandone la densità antropologica che determina in ogni cultura l’ambito dell’alimentazione. E chiude con: «Si può così sperare di scoprire, per ogni caso particolare, come la cucina di una società costituisca un linguaggio nel quale questa società traduce inconsciamente la propria struttura o addirittura rivela, sempre senza saperlo, le proprie contraddizioni» (Lévi-Strauss, 445).
Di più: possiede un linguaggio che, oltre a prevedere piante e animali da conoscere, nominare, selezionare e classificare, come gli utensili e le tecniche, ha a fondamento la capacità di cogliere e sviluppare connessioni culturali. Dipoi, il capitolo intitolato La cucina del disgusto ha, al centro, le evitazioni, i digiuni e i tabù che, da alimentari, divengono culturali. Il docente ed etnologo Gian Paolo Gri, nel Il valore simbolico del cibo. Dalle etnoscienze all’antropologia delle migrazioni, riporta: “…Non si dà penetrazione dei sistemi simbolici del cibo se alla base non c’è un sistematico buon lavoro di ricerca sulle etnoscienze: sulle etnobotaniche, sulle etnozoologie, sulle etnomedicine…”.
Ma quando nascono le buone maniere? La pratica delle buone maniere a tavola ha origine negli ambienti cortigiani francesi, durante il Rinascimento. Guarda alle usanze cavalleresche e si distacca dal modus vivendi del Medioevo, percepito come epoca oscura. La cucina di una società costituisce un linguaggio nel quale la stessa traduce inconsciamente la propria struttura o addirittura rivela, sempre senza saperlo, le proprie contraddizioni. Nel libro di Levi-Strauss si analizza come numerose indicazioni sociali e culturali, derivate dai miti, si possano ricondurre a un nucleo esiguo di principi strutturali che riducono le distanze tra le società umane, evidenziandone le radici comuni: “… Si direbbe che, tra alcuni popoli che chiamiamo primitivi, il galateo della mensa (ha) formato una specie di codice libero di cui essi sapevano combinare i termini per trasmettere messaggi diversi. … Nella nostra società civile, i diversi modi di masticare non denotano più delle tradizioni nazionali o locali ma sono semplicemente buoni o cattivi. In altre parole, contrariamente a quello che abbiamo osservato in certe società esotiche, i vari comportamenti non costituiscono più per noi un “codice libero”: alcuni li accettiamo, altri li proscriviamo, e ci conformiamo ai primi per trasmettere un “messaggio obbligato”…”. (pp. 448-449).
Quando si riferiscono i modi di stare a tavola all’educazione delle ragazze o alla cottura dei cibi, i miti e le usanze dicono in realtà molto di più: per quanto appaiano casuali, sono il mezzo attraverso cui si esprimono le strutture mentali di un intero popolo.
ALBERTO MAGGINI | Le origini delle buone maniere a tavola
Casa Vuota
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