Ai Weiwei
l'artista cinese Ai Weiwei durante l'allestimento della sua mostra personale "Who Am I?" a Palazzo Fava sede delle esposizioneìi di Genus Bononiae (Roberto Serra / Opera Laboratori Fiorentini)

Ai Weiwei, Who Am I?

La prima mostra personale a Bologna, a Palazzo Fava, dell’artista dissidente Ai Weiwei è stata macchiata da un atto criminale, ma ha comunque lasciato il segno attraverso la sua esplorazione di alcuni temi fondamentali che influenzano la società contemporanea.

La mostra è iniziata in modo esplosivo quando un provocatore cinquantasettenne, autodefinitosi artista, ha spinto a terra l’opera Porcelain Cube (2009) durante la prima ora dell’inaugurazione. Onde di shock e paura hanno attraversato la folla di visitatori, ulteriormente galvanizzata dalla presenza dell’artista in quel preciso momento. Il criminale è stato immobilizzato fino all’arrivo della polizia che lo ha portato via.

La rottura di un’opera preziosa che ha richiesto oltre un anno per essere realizzata è stato un inizio amaro alla mostra. Creata nello stile qinghua (blu e bianco), integra la tradizione artigianale delle dinastie Yuan e Ming con influenze minimaliste occidentali. La fragilità della ceramica richiama l’urna della dinastia Han, rotta dallo stesso Ai Weiwei, come si vede nel trittico fotografico sul piano nobile di Palazzo Fava. Porcelain Cube sarà sostituito da una stampa a grandezza naturale dell’opera.

In tutta la mostra, le opere uniscono Oriente e Occidente, rafforzate dalla loro collocazione a Palazzo Fava, un edificio storico risalente al Medioevo. Le scene mitologiche greche e romane nel celebre ciclo di affreschi dei Carracci del palazzo interagiscono con le favole e le leggende della cultura cinese. Sotto le storie di Giasone e Medea o nelle avventure di Enea, incontriamo le sculture di aquiloni dell’artista, realizzate in bambù, carta di riso e seta, che raffigurano bestie fantastiche da un bestiario noto come il Classico delle Montagne e dei Mari, il più antico testo mitologico e geografico cinese, risalente al III secolo a.C.

Questa fusione tra antico e contemporaneo e tra Oriente e Occidente è riconfermata in tutta la mostra dalle opere realizzate con mattoncini LEGO® che riproducono classici della storia dell’arte: l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci (chiesa di Santa Maria delle Grazie, Milano) dove la figura di Giuda è lo stesso Ai Weiwei, e la Venere dormiente di Giorgione (Gemäldegalerie Alte Meister, Dresda) a cui Ai aggiunge una gruccia alludendo agli aborti auto-indotti praticati prima della legalizzazione. L’artista ha iniziato a lavorare con i LEGO® nel 2014 e il curatore Arturo Galansino attribuisce questo alla somiglianza del medium con “pixel, digitalizzazione, segmentazione, frammentazione e disconnessione”, affermando che il materiale ci permette di collegare il nostro passato alle nostre aspettative moderne.

L’artista rende un tenero omaggio a Bologna attraverso altre interpretazioni ironiche in LEGO®, create appositamente per questa occasione, di opere famose legate alla città: Atalanta e Ippomene di Guido Reni (Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli), una natura morta di Giorgio Morandi (Pinacoteca di Faenza) e l’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello (Pinacoteca Nazionale di Bologna). In quest’ultima interpretazione, Santa Cecilia è raffigurata con dei cocomeri ai suoi piedi. L’artista rivela che durante il suo periodo come rifugiato in un campo nel deserto, i cocomeri erano una parte fondamentale della dieta della sua famiglia a causa della loro disponibilità. Considerati i recenti commenti e il legame dell’artista con i popoli oppressi, non si può trascurare il collegamento del cocomero con la questione palestinese. Quest’opera, probabilmente la prima che si incontra nel percorso espositivo, fa una potente dichiarazione.

Momenti autobiografici sono sparsi in tutta la mostra e non sono mai troppo lontani dal politico. Left Right Studio Material è una rappresentazione toccante del peggior incubo di un artista. Composta da frammenti di porcellana provenienti dalla demolizione dello studio dell’artista a Pechino nel 2018 da parte dello stato cinese: Ai non ha voluto pulire la polvere dai frammenti della demolizione, un duro promemoria del controllo statale e del potere bruto.

Resti antichi compongono l’opera White Stones, costituita da asce neolitiche che l’artista ha raccolto nel mercato dell’antiquariato in Cina quando era appena tornato dal suo periodo a New York da giovane artista. Stimola i visitatori a riflettere sul cambiamento sociale, ma è anche un ricordo del passaggio o ritorno dell’artista dall’apice dell’Occidente alla Cina. Il progresso della Cina negli ultimi decenni è rappresentato dall’installazione Forever Bicycles, composta da biciclette assemblate in strutture complesse. Realizzate nello studio di Ai a Berlino, evocano il delicato tessuto sociale e urbano della Cina.

All’ultimo piano della mostra, la carta da parati Odissey adorna le pareti. Disposta in fregi che ricordano quelli di un vaso attico, la carta da parati evoca le esperienze traumatiche dei migranti attraverso immagini comuni del discorso visivo contemporaneo. Qui troviamo anche stampe a pigmenti della serie Study of Perspective. Dal 1995, Ai Weiwei ha alzato il dito medio ai bastioni del potere, iniziando dalla piazza Tiananmen di Pechino e successivamente viaggiando in tutto il mondo, facendo il gesto a immagini, monumenti e rappresentazioni del potere.

Nella stanza successiva, il film Ai vs AI consiste nell’artista che pone 81 domande all’intelligenza artificiale, la prima volta che ha usato l’intelligenza artificiale per la sua arte. Il progetto è durato 81 giorni, rispecchiando la durata della reclusione di Ai Weiwei nella prigione cinese nel 2011. Il progetto trae ispirazione da Tiānwèn (tradotto come ‘Le Domande Celesti’ o ‘Domande al Cielo’), 172 quesiti agli iscritti sulle pareti di un tempio 2300 anni fa dal leggendario poeta Qu Yuan.

Nell’ambiente adiacente, una serie di fotografie personali dell’artista è esposta su schermi. Tutte queste foto sono state scattate con l’iPhone o la fotocamera personale dell’artista, collegando la sua vita personale al suo lavoro, dal 2003 al 2011. Chiunque segua Ai Weiwei sui social media sa che è un documentarista della sua vita, spesso condividendo selfie e fotografie della sua famiglia, del suo lavoro e del suo studio. La stanza è affettuosamente arredata con sgabelli cinesi originali, simili a quelli usati nell’opera dell’artista Bang (2013) presentata alla Biennale di Venezia nello stesso anno.

La mostra si conclude con il documentario Ai Weiwei: Never Sorry (2012) diretto dalla regista canadese Alyson Klayman. Questo lungometraggio presenta il processo dell’artista mentre si prepara per una mostra museale, le sue relazioni e i membri della famiglia, così come i suoi scontri con il governo. Il piano superiore è un’immersione profonda nel mondo di Ai e meriterebbe una visita a sé stante solo per consumare pienamente tutti i minuti di documentazione video e fotografica della sua vita.

Who Am I? offre un viaggio immersivo attraverso la vita, l’arte, il lavoro e le preoccupazioni di Ai Weiwei – che, per estensione, sono preoccupazioni che tutti condividiamo. Indipendentemente dall’opinione che si ha sull’artista controverso, questa mostra fornisce ampio materiale per riflessioni e discussioni. La rilevanza del lavoro di Ai, unita alla sua abile capacità di attirare l’attenzione su questioni in modo sottile ma incisivo – riuscendo in qualche modo a raggiungere un pubblico fin troppo abituato a un diluvio travolgente di brutte notizie sulle piattaforme social – è particolarmente degna di nota. Il titolo della mostra deriva da una delle 81 domande poste all’artista dall’IA, a cui ha risposto: “Non è chi sono io, ma chi sono io in relazione al mondo”. In questo caso, non si può fare a meno di pensare che potrebbe avere ragione.

×