AI: La tua opera non si allinea al gioco dell’immagine/effetto/informazione e in questo flusso diventa eccezione. Puoi spiegare meglio questa tua scelta artistica?
MOOR: La mia opera non si allinea al desiderio ossessivo di colmare il vuoto e di rinnegare la morte. Questa ricerca spinge, nella sua fruizione, al rapporto erotico con la percezione. L’atto sta nell’incontrarsi e nell’incontrare l’altro con lo sguardo inconsapevole. Per questo parlo di comprensione del valore della morte come principio fondamentale della nostra vita. A supporto della visione tranchant di Byung Chul Han, che peraltro condivido pienamente, vengono i progressi della ricerca neuro-estetica e quantistica. Ognuno di noi, con il proprio sguardo, moltiplica la realtà e ancor più l’opera d’arte. Attraverso attrazione e repulsione, ognuno può creare un rapporto erotico (indagine di senso e sensi) e di morte (ricerca/paura della trasformazione) con l’arte.
AI: Come vedi la possibilità di una speranza futura in un’epoca di egoismo e narcisismo senza precedenti?
MOOR: È nell’annullamento del punto di vista del soggetto e del narcisismo che ritroviamo una direzione e forse una speranza come futura società. Probabilmente, la via di fuga evolutiva risiede nella ricerca delle emozioni, che nascono dalle relazioni, di cui i sistemi informativi e i rapporti narcisistici sono privi. L’errore comune sta nel confondere e a volte sovrapporre l’informazione con l’emozione. L’informazione è colma, espone, mette a nudo, definisce e rinchiude la verità e l’Altro in una dimensione rigida e autistica, fino a negarne la diversità.
AI: Qual è il rischio dell’arte digitale se utilizzata come sistema informativo e divulgativo?
MOOR: L’arte digitale, se utilizzata come sistema informativo e divulgativo, corre seriamente il rischio di sparire. Se tutto resta un gioco, non cala nella realtà, diventa un’esperienza interattiva ludica, l’arte finisce per replicare il paradigma solipsistico e narcisista dell’infosfera. Ho sempre creduto che non bisogna negare lo strumento, bensì educare la mano o il cervello che lo utilizza. Il problema non sta nel digitale o nella AI, ma nella sua dimensione di infosfera.
AI: Come possiamo accettare la diversità e abbandonare le nostre certezze?
MOOR: Accettare la diversità presuppone rinunciare alle nostre idee, accogliere il pensiero critico e imboccare la strada complessa dell’erotismo e della sua indeterminazione attrattiva, che si basa sulla biodiversità. Viviamo le relazioni intersoggettive tra iperinformazione e pornografia perché in fondo siamo degli inguaribili narcisisti, al limite dell’autismo, che guardando gli altri non fanno che ri-vedere se stessi. Se non ci assomiglia si diventa “hate and haters”. Anche l’odio è una posizione narcisistica e chiusa, un’affermazione di omologazione e di falsa certezza.
AI: Come descriveresti l’Altro secondo il pensiero Zen?
MOOR: L’Altro, come dice il pensiero Zen, è vuoto e indeterminato. Questo alimenta la curiosità e il desiderio di abbandonarci ai sensi e alle emozioni attrattive. La vita è dare senso e sensi. È nel vuoto delle possibilità che ritroviamo quella sospensione delle certezze, base del mistero dell’esistenza. In questa dimensione, si percepisce come l’Eros non sia contrapposizione di Thanatos. L’Eros è Thanatos nella sua trasformazione rigenerativa.
AI: Cosa hai scoperto abbandonando la materia?
MOOR: Non è stata una rinuncia abbandonare anni fa la materia (tela, colore, materia nel mio esordio creativo), perché questo vuoto mi ha fatto scoprire un eros inatteso. Un eros che nasce dall’indeterminazione, dalla possibilità/impossibilità, dal desiderio di conoscere e di colmare il vuoto potenziale di ciò che è diverso o riconosciuto come “Altro”. L’imponderabilità dell’Altro rende possibile la relazione attraverso l’indeterminazione delle immagini. Ho sentito il bisogno di un’opera che dialogasse con la mente come la pittura, ma che potesse connettersi agli altri e al loro sguardo inconsapevole, connettere l’altro con l’altro e l’altro con me stesso attraverso la diversità e il vuoto potenziale di una creazione sistemica che non è un oggetto materiale, ma un sistema complesso che lo rappresenta. La mia missione di artista è creare e costruire attraverso il “vuoto”. Perché è il vuoto, con la sua infinita potenzialità, che ci connette e genera stupore ed emozione.
AI: Perché dici che comunichiamo in maniera ossessiva oggi?
MOOR: Oggi comunichiamo sempre più in maniera ossessiva perché siamo sostanzialmente soli e avvertiamo un altro tipo di vuoto, quello “negativo”. Il nostro vuoto quotidiano non può essere colmato dalle infinite informazioni che l’iper-comunicazione ci eroga ogni istante. Byung Chul Han ci ricorda che “a partire dal suo livello più profondo, il pensiero è un processo decisamente analogico. Prima che esso colga il mondo, è il mondo a toccarlo, a commuoverlo”. La neuro-estetica descrive il cervello come organo di senso. La nostra mente incontra il reale per darne un senso in ogni istante. È in questo istante che nascono il presente, lo stupore, le emozioni e la nostra dimensione umana. Sottolineo però la parola “senso”, che è ben diversa da “informazione”.
(segue)