Nei tempi incerti che stiamo vivendo, in cui le parole sembrano rincorrere qualcosa che sfugge, siano le accelerazioni tecnologiche, le fratture geopolitiche o la crisi della convivenza globale, la cultura rischia di essere relegata ad un ruolo di puro ornamento o intrattenimento. Eppure, oggi più che mai, c’è bisogno che l’arte venga trattata come uno strumento capace di leggere il presente e soprattutto di generare prospettive future. Servono spazi dove la creatività e la politica possano dialogare senza schemi rigidi e dove l’immaginazione non sia un lusso, ma una necessità strutturale.
E, strano a dirsi, da ben otto anni uno di questi luoghi è Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, dove il dipartimento della cultura e del turismo ha ideato un appuntamento che si è ben presto imposto come un riferimento internazionale: il Culture Summit Abu Dhabi. Lanciato nel 2017 con l’ambizione di rendere gli EAU una location cruciale per la cultura contemporanea, il summit si svolge ogni anno all’interno di Manarat Al Saadiyat, nel cuore del distretto artistico. La tre giorni di panel è pensata come un ampio tavolo di confronto in cui innovatori, creativi, istituzioni, studiosi e leader di settore si scambiano opinioni sui temi più urgenti del nostro tempo riguardanti arte, tecnologia, geopolitica, diritto, ambiente e etica.
Di fatto il Culture Summit Abu Dhabi non é né un festival né un convegno, ma una piattaforma ibrida, mutevole e interdisciplinare capace di adattarsi a un mondo che richiede nuove narrazioni, mezzi e alleanze. Nel corso delle passate edizioni l’incontro ha affrontato argomenti complessi come la sostenibilità, il patrimonio nei contesti postbellici, l’innovazione digitale, la resilienza artistica e la coesistenza religiosa, costruendo una rete internazionale di contatti comprendente l’UNESCO, il Museo del Louvre, il MoMA, l’Harvard University, Google LLC, The Economist Group e molte altre realtà.




L’edizione 2025, tenutasi dal 27 al 29 Aprile, ha scelto come titolo un’affermazione che è anche una sfida: “Culture for Humanity and Beyond”, intendendo la cultura come una chiave di interpretazione per attraversare la complessità delle trasformazioni tecnologiche, ambientali e sociali in atto. Nella tre giorni di incontri é stato creato un percorso di riflessione, cristallizzato negli atti del convegno, che si è aperto con una disamina sul paesaggio culturale globale nell’era della digitalizzazione spinta. I professionisti che presiedevano i panel, tra cui Ernest Urtasun Domenech, ministro della cultura spagnolo, Glenn D. Lowry, direttore del MoMA di New York e Mami Kataoka direttrice del Mori Art Museum di Tokyo, si sono poi confrontati sui dilemmi etici derivanti dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale e della biotecnologia, concludendo il summit con un quesito rimasto aperto: come immaginare nuovi sistemi di significato in un tempo di polarizzazione e frammentazione. La convention è stata completata da numerosi meeting con artisti del calibro di Refik Anadol che hanno presentato installazioni e performance, oltre ad un fitto programma di workshop che hanno fatto del Culture Summit Abu Dhabi 2025 un vero e proprio laboratorio di immaginazione collettiva in cui gli Emirati Arabi Uniti hanno avuto un ruolo di primo piano.
Il Ministro della Cultura, Salem bin Khalid Al Qassimi, infatti, nel discorso programmatico inaugurale, ha ribadito come il Paese intenda rafforzare l’utilizzo dell’arte per il consolidamento del proprio soft power, generando un concreto impatto sui cittadini e non solo. A tal proposito si è rivelata estremamente significativa la citazione ad esempio del progetto di restauro di Mosul, storica città irachena devastata dal conflitto: un’operazione, patrocinata dall’UNESCO, che ha impegnato più nazioni e si è conclusa nel febbraio di quest’anno non limitandosi alla ricostruzione fisica dei monumenti, ma contribuendo al ripristino delle relazioni sociali e delle consapevolezze comunitarie.
I partecipanti internazionali al summit hanno inoltre sentenziato che la rivoluzione dell’intelligenza artificiale non può essere lasciata alle logiche del mercato: servono governance, strategie condivise e soprattutto valori. Le nuove tecnologie non devono sostituire l’immaginazione, ma estenderla. Tale ottimismo non ha però oscurato alcune criticità. È stata riconosciuta come urgente la tutela della proprietà intellettuale, in un ecosistema ancora opaco, per proteggere i diritti dei creativi e rafforzare le strutture normative a sostegno delle industrie culturali. Si è parlato, inoltre, della necessità di includere la cultura nei prossimi obiettivi di sviluppo sostenibile post-2030, superando l’assurda omissione dell’agenda precedente.
Per quanto riguarda i musei, tutti sono stati concordi nell’affermare che debbano essere considerati spazi educativi ed etici, non solo conservativi, trasformandosi in luoghi di riconciliazione e immaginazione sociale.
Comunque, nonostante i buoni propositi, un’assenza è risultata particolarmente evidente: tra i delegati ed operatori, provenienti da oltre 90 paesi, quelli italiani erano pochissimi. Insomma un’occasione mancata se si considera che il nostro Paese avrebbe potuto contribuire alla discussione grazie alla propria storia, patrimonio e attualità progettuale.
In conclusione il Culture Summit Abu Dhabi 2025 non ha fornito risposte definitive, ma ha posto le giuste domande: chi siamo in un mondo dove l’identità si negozia con le macchine? Come si progetta un sistema culturale che non sia solo reattivo, ma generativo? E infine: siamo capaci, come comunità globale, a riconoscere l’arte quale architettura profonda della nostra esistenza?
Strano a dirsi, ma in una quotidianità che brucia le complessità, Abu Dhabi si offre come uno dei luoghi in cui la creatività ha ancora il tempo di riflettere. E, soprattutto, di far riflettere.