Gabriele Perretta, Murales Spontaneo,cprint, Bologna 2018

24.10.2010/23:45. (Frammento dalla Trilogia del Grigio) [terza parte]

Una nota: Il parossismo della pandemia è ovunque. In ogni dove esistono oggetti ai quali attribuiamo qualità che essi non potrebbero possedere e che perciò, in virtù di un sovrainvestimento, ci appaiono diversi da quelli che sono. Scopo di questo racconto in tre parti è quello di esplorarne la genealogia e le successive mediamorfosi delle varie figure del parossismo critico, con particolare attenzione a quella liberale, economica e mediatica. Punto di partenza del racconto sono i testi (due delle tre sezioni, risalenti al primo decennio del 2000) che Perretta dedicò al parossismo, riprendendo e rielaborando un concetto originariamente coniato in ambito medialistico e già fatto proprio, com’è noto, dalla critica dell’economia politica mediale, prima ancora che venissero fuori film e sceneggiature che accompagnassero le immagini de La Grande Bellezza (di Paolo Sorrentino del 2013) e prima, addirittura, di Gomorra (Matteo Garrone, 2008). I diversi contributi, le cosiddette tre parti della narrazione o narratologia, si propongono di discutere un fenomeno che, per la sua straordinaria irruzione e parossica diffusione nei vari campi della nuova antropologia tecnologica, dell’arte, della filosofia sociale e fenomenologica, oltre che della psicoanalisi diffusa, va considerato un significativo crocevia nell’esplorazione dell’identità contraddittoria di una Capitale (o meglio un Capitale religioso e finanziario) in epoca contemporanea. Il parossismo non ha univoco potere esplicativo: in questo aggiornamento non sono state imbrogliate le carte. Si sono mantenute le classiche espressioni del parossismo nello spazio antropologico finale, nella guerra antropologica di quest’ultimo stadio, in quello economico-sociale e in quello post-biopolitico, in quello in cui neanche le categorie dell’imperialismo, del sovranismo, del neo e del post-moderno si riconoscono più: un oltre sempre oltre, governato da nuove guerre batteriologiche e di sottomissione, al di là dello stato di eccezione, in guerra con se stesso e col suo credo nazista e fisicalista. 
Enrico Maria Sestante

“La sanità del corpo è riputata universalmente come ultimo dei beni, e pochi sono nella vita gli atti e le faccende importanti, dove la considerazione della sanità, se vi ha luogo, non sia proposta a qualunque altra.[…] Per recare un esempio fra mille, diversissime cause fanno e che un luogo è scelto a fondarvi una città, e che una città cresce di abitatori; ma tra queste cause non si troverà mai la salubrità del sito”
Giacomo Leopardi, Pensieri, LXXVII

“Ciborio pratico della felicità/Tutto questo ti porge la città”
Gian Pietro Lucini, 

La canzone del giovane  signore, da Revolverate … 
La città sembrava consolata da questo Planning, l’unico edificio che resistette all’urto delle ruspe fu l’“Unité d’Habitation”: già in perfetto stile Universal, cubico, enorme, caratterizzato da due sculture minimal di un artista di successo, di un gruppo della neo-avanguardia romana, che risaliva a Forma 1. Del resto la vecchia storia della neo-avanguardia non poteva che essere destinata ad un albergo per ospitare i fanatici del turismo commerciale. Presto i romani tentarono di ricominciare a occupare il loro territorio. Come formiche si insediarono nei loculi del residence, riempirono gli armadi di vestiti e le dispense di provviste come se niente fosse, come se nulla si modificasse, pronti il mattino seguente a prendere servizio nei vari negozi della nuova città-mercato.

Nel riassetto organizzativo della città, furono previsti premi per i più meritevoli e Jerry, grazie alle sue doti imprenditoriali, fu promosso Marketing Manager. Propose di disseminare un po’ ovunque giovani donne poco vestite, per rallegrare il paesaggio. Con il budget che gli aveva fornito Mister K., poteva finalmente permettersi delle intrattenitrici migliori delle vecchie dipendenti del KGM. A tutti quelli che pensano che PaNorama Republic sia una leggenda, dico invece che è esistita, ma non è stata sommersa dalle acque, bensì demolita dalle ruspe. In fondo anche il disco di Checco De Gregorio Banana Republic, che aveva fatto da colonna sonora, così come Adriano Ceccano faceva da soundtrack per i magazzini Mas, era considerato ormai déjà vu. Al loro posto ed al posto di quella grande spianata territoriale è nata una città incredibile, accompagnata da compilation MultiCleaner, con ottimi programmi individualizzati, disponibili in Cydia Store, grazie ai quali gli utenti possono migliorare la gestione delle informazioni in Background su iOS 4, usufruendo di tantissime funzionalità esclusive, tra cui la possibilità (molto utile) di chiudere tutte le applicazioni in background tramite alcune gesture che il consumatore può selezionare in base alle proprie esigenze. Questo software è stato da poco aggiornato e, tra le varie novità, risulta ora perfettamente tradotto in lingua italiana, una rarità come la stessa lingua degli italiani (a 150 anni dall’unità) che ormai compare d’eccezione nel global network of language. Infatti, tale notizia spunta come un’illusione, spesso fa capolino nei nostri sogni angosciosi, prendendo corpo e apparendo di volta in volta più concreta. Non è sempre facile definire il malessere che a volte ci pervade, quando non abbiamo il supporto di queste garanzie e sicurezze. Paura? Ansia? Angoscia?… Spesso si tratta della stessa emozione, che però si presenta con diversi gradi d’intensità a seconda delle situazioni. Cerchiamo di allontanarla pensando al sistema KGM. La paura è un’emozione forte e intensa, che sentiamo in presenza di un pericolo più o meno immediato se non abbiamo lo spot amico che ci sostanzia. Se il pericolo è reale, la paura invece è soggettiva e personale, poiché l’immaginazione gioca un ruolo importante nella percezione di quel pericolo, e allora diciamo pure che diviene indispensabile recarsi almeno una volta al giorno al Parco Giochi del KGM. L’angoscia e l’ansia, invece, senza le ragazze o i ragazzi immagine del KGM, sono sentimenti più astratti. L’ansia è una vaga sensazione di malessere, che si traduce in uno stato d’apprensione, di sconforto più o meno intenso, di nervosismo: un nodo alla gola o allo stomaco, difficoltà a respirare, palpitazioni, sudorazione eccessiva… L’angoscia è un’emozione precisa e sopraggiunge sotto forma di crisi, mentre l’ansia è di natura più cronica. Nella città del KGM la paura è una valvola di sicurezza per sentirsi vivi. Può essere più o meno paralizzante, ma la paura è sempre preziosa perché mette in moto dei meccanismi di difesa in caso di pericolo, ovvero abbassamento delle prestazioni del prosumer. È indispensabile per la nostra sopravvivenza. La paura è spesso accompagnata da reazioni fisiche: per esempio, la produzione improvvisa e abbondante di adrenalina, che permette di spendere qualcosa di soldi in più nei Grand Magasin KGM, o di difendersi efficacemente. In altre situazioni, invece, la paura può anche causare una paralisi totale, che impedirà qualsiasi tipo d’azione che potrebbe peggiorare la situazione. Ma solo quando il pericolo scompare, ci si rende conto del sentimento di cura che ci fornisce l’omeopatia KGM: calata la tensione, a volte si comincia a tremare, a sudare freddo e ci si sente storditi. Quando l’ansia diventa una malattia, allora c’è il Medical Center KGM. Lì dentro anche l’ansia è una percezione normale, presente in tutti gli esseri umani, o basta dire romani. Ma può succedere che si manifesti in modo incontrollato o eccessivo: può sopraggiungere senza motivo apparente o suscitare una risposta sproporzionata se comparata all’evento scatenante. Si tratta allora di una vera patologia, le cui cause sono spesso difficili da identificare. Evidentemente, se ciò realmente accade, vuol dire che non si è fatto un buon uso di apparecchi fotografici che rasserenano! Acquistabili solo nei Magazine KGM!

Gabriele Perretta, reportage graffitico, cprint, 2011

Sto pensando di tornare a casa, – dice Jerry che aveva studiato al Centro Sperimentale di Cinematografia – tornare a Roma per realizzare un lavoro che renda dignità ad una città offesa dalla Storia; e il suo occhio di vetro cinereo cattura immagini di vita e di morte e attraversa con studiata lentezza le ferite ancora aperte di Mamma Roma. Starsene in un bagno caldo, fumando la pipa. Lo stesso Antonin Artaud, dopo aver guidato i suoi bianchi cavalli attraverso le strade polverose di Roma, non conobbe mai nulla di meglio; né di altrettanto bello, poiché non aveva né parola, né libro di filosofia. La gente mi dice “Quanto lavori” e schernendomi con un sorrisetto alla romana, me la rido tra me e me, sapendo di essere uno dei poeti falliti più pigri e più indulgenti con sé. L’uomo d’affari ha già preso da molto tempo il treno delle 8.20, ha già aperto la posta del mattino, ha già telefonato al direttore della scuola, e io sono ancora nel mio bagno caldo a leggere l’ultimo poeta rimasto a Roma. Non sto a insaponarmi, e a stropicciarmi, ma tranquillamente sdraiato, leggendo come un ottimistico marsuino. In una stanza vicina, sparsi sul pavimento, stanno i fogli del mattino che chiedono a gran voce di esser pubblicati. Ed io sono là, avviluppato nel vapore, tra gli affluenti del Tevere e perduto tra i più vaghi sogni. Oltre la porta, dove la temperatura scende quasi a zero, vi sono dei deboli appunti che già mi invitano, da qualche ora, a scrivere quest’ultima lettera. E me ne preoccupo io, di entrare nel mio stadio timico definitivo? Neanche per sogno! Talvolta, solo per provare la credulità delle mie frasi, delle mie parole, ho bisogno di trovare l’estraniazione. Spesso decido di non scriverle affatto queste ultime parole; ed anche quando so di avere qualcosa da dire, non potrei riempiere assolutamente quelle ultime pagine, né mentre sono nel bagno, né altrove. No, me ne sto tranquillamente steso, pigro e ben nutrito, con i miei occhietti semichiusi, annullando quest’era glaciale che sta per arrivare dentro di me, cullandomi ancora in quel caldo mattino del mondo, denso di esalazioni, chiedendomi vagamente cosa stia accadendo a l’altro da me. 

“ … C’è un cattivo poeta. È disteso dentro ad una vasca confortevole, avvolto in un bagno di schiuma color gazzosa. Ha il volto segnato dalle parole della poesia o da quelle della sofferenza, i capelli argentei raccolti elegantemente. I suoi occhi che racchiudono le onte di una vita, sorridono per non piangere e piangono per non sorridere … guardano attorno la luce diffusa … un respiro profondo e poi si chiudono … per sempre. Rimane una lacrima appena accennata, e un sorriso appena teso, un’espressione tirata e ambigua quanto la sua voglia di scrittura beata che, d’ora in poi, non l’abbandonerà mai più. La mia mente incontra quell’altro da me fin da quando ero, mi appare sempre allo stesso modo, così nobile per essere e così meschino per non essere, elegante poeta, avvolto in un profondo mistero. Vi sono poeti che – si direbbe – nascono con il destino già segnato, in bene o in male, all’insegna della fortuna o della sfortuna più tremenda. Io penso che ciascuno abbia assegnata una certa dose di difficoltà ed una certa dose di eventi più facili, tutto stabilito in potenza: ma talvolta il verificarsi anzitempo di un evento sfavorevole può pregiudicare addirittura il poeta cui, sopravvivendo, sarebbero andati in dote prosperi eventi. Insomma, può capitare come in una corsa ciclistica, dove l’ergersi poco dopo la partenza di un’impennata stradale verso altezze montane vale a stroncare le gambe a più di un corridore, così come a più di un poeta, tagliato subito fuori dalla lotta per il primato, mentre la medesima salita e il medesimo quaderno di scritture, posti invece a fine gara, quando le gambe e le braccia sono rodate, può riuscire meno difficile per chiunque. Tutto nel sogno è indeterminato, solo una cosa, una sensazione o, meglio, un’intuizione emerge chiaramente e vale a dire che questo mistero, di cui io percepisco la vertigine dell’infinita grandezza, non fa paura. Questo breve preambolo a me stesso, serve per stabilire che il povero Altro da me, da poeta, si trovò appunto – nascendo – nelle condizioni del ciclista non tanto forte in salita, che deve affrontare subito, appena partito in gara, un’erta di notevole pendenza e lunghezza. Il povero poeta, che forse – nascendo in altro ambiente – sarebbe vissuto fino a raggiungere magari la gloria o la fama, invece … In questo modo, attraverso la materializzazione dell’immagine, di questa immagine, la mia mente già vive dentro di me, l’esperienza della Pandemia; in un certo senso, attraverso questo pre-incontro ovvio mi preparo ad affrontarla. Non penso quasi mai a questo “nostro” appuntamento, però so che è dentro di me e che mi accompagna inconsciamente con la sua sottile e impercettibile presenza, solo a tratti riemergente, magari svegliata da eventi, da parole, situazioni, esclamazioni, esperienze esterne che mi hanno colpito personalmente, che personalmente hanno colpito il poeta … come se, fin dalla nascita, la  Pandemia convivesse, sotto forma di pensiero, dentro di me, dentro quelle macchine fotografiche che avevo condotto in giro, per la città di Roma. Ma allora Il Pandemico o il Pathossemico, fin da quando sono, è in me, fa parte di me, costituisce la mia condizione di esistere, le mie parole, le mie frasi, i miei aggettivi e le mie proposizioni. È paradossale la nostra situazione, infatti, ogni giorno viviamo e contemporaneamente moriamo un po’ … è come se la morte ci dimensionasse. Il poeta e la morte, è sempre stato così, un forzato confronto, al quale nessuno può scappare. Ma questo confronto è non solo inevitabile, ma essenziale per la nostra esistenza: nella  Pandemia(come del resto nella nascita, due situazioni paradossalmente così vicine al vissuto metropolitano), nel suo mistero forse è racchiuso il senso della nostra stessa esistenza poetica. Il poeta nacque di padre ignoto (tanto per completare il fardello della sfortuna iniziale) mentre la madre morì dandolo alla luce. Data la tristezza del caso, più che con ditirambi o parole d’una tragicità omerica, val meglio esporre il fatto crudemente, senza fronzoli retorici e letterari. Il poeta – trafitto dalla polmonite – vide la luce un attimo dopo che il corpo, attaccato dai suoi genitori e parenti e compagni di tribù, aveva cessato di vivere come unità pensante ed agente. Questo confronto si è sempre espresso nel poeta come culto della morte; pensiamo alle civiltà antiche, che facevano della morte il valore fondante dell’intera società. La morte così si arricchiva di quell’aura di profonda sacralità. E il poeta fu solo. Incapace ancora di muoversi da quella vasca, celermente o con parsimonia, e privo di raziocinio e di esperienza, data la tenera scrittura a cui aspirava. In principio se l’era cavata, cercando di evitare i gruppi cittadini di poeti, e trovando di che nutrirsi per strada, benché non in modo soddisfacente. Infatti la regione dove si trovava non era più illuminata dal sole, i fiumi s’erano seccati, il terreno si screpolava, diventava sempre più inabitabile. Quella città, quella capitale era sempre più deserta. 

Venuto al mondo della parola da poco, forse il Poeta ebbe la fortuna di non avere rimpianti, per il breve tempo della sua esistenza e di quel suo soggiorno in quel bagno, in quella Roma pronta alla catastrofe virale e ambientale. Perché non aveva conosciuto la vita in comune, l’ebbrezza della lotta che, pur nel pericolo, dà un sapore alla vita. Ma, vivendo in un reale crepuscolo, nell’alba senza sole dei suoi giorni squallidi, delle sue visioni rabberciate, delle sue parole stentate, dei suoi ermetismi manieristici, nell’alba senza sole dei suoi giorni spogli, cercò di durare in vita, senza problemi psicologici e certamente almeno – buon per lui – non soffrì spiritualmente. Soltanto, credendo che il suo mondo si compendiasse in lui, ed ignorando l’epoca aurea conosciuta dai suoi, cercò di resistere come unico di una specie inimmaginata, che aveva goduto altre ebbrezze ed altre soddisfazioni. E così, senza retorica, senza sapere di comportarsi da eroe, ma con una semplicità da animo grande, da fotografo e da paroliere di una lunga storia di calligrammi, nell’ultimo giorno immaturo della sua breve vita, attese a piè fermo l’assalto di un verme d’avanguardia, contro il quale crollò perché doveva soccombere: per motivi tecnici – direi – e quantitativi, non per forza e nobiltà d’animo, virtù per le quali poteva stare alla pari almeno con tutti i vermi che nella terra germinano e si ingrassano in orge senza fine, continuamente alimentati dalla strana pietà dei poeti e di questa inutile parola per le spoglie inanimate dei loro simili ”!