Tiziana Cera Rosco, Studio, part., Residenza d'artista all'Orto Botanico di Palermo, a cura di Cristina Costanzo,-Ph. Iole Carollo

Visioni oblique: Cristina Costanzo

Presso il Museo delle Trame Mediterranee – Fondazione Orestiadi di Gibellina si inaugura sabato 21 maggio alle 18.00 Visioni Oblique. Libri d’artista, libri oggetto, fototesti per il Belice, a cura di Cristina Costanzo. La mostra, visitabile sino al 20 giugno 2022, accoglie le letture di un gruppo di ventitré artisti (Paolo Assenza, Giuliana Barbano, Davide Bramante, Giovanna Brogna/Sonnino, Laura Cantale e Giuseppe Mendolia Calella, Anna Capolupo, Iole Carollo, Tiziana Cera Rosco, Mimmo Di Cesare, Maurizio Galimberti, Simone Geraci, Alberto Gianfreda, Paolo Grassino, Giuseppe Iannello, Ellie Ivanova, Francesco Lauretta, Filippo La Vaccara, Danilo Maniscalco, Marilina Marchica, Noemi Mirata, Marco Pace, Rossana Rizza, Massimo Siragusa, Carla Sutera Sardo, Samantha Torrisi), provenienti da discipline differenti, invitati a confrontarsi con la Valle del Belice attraverso la “forma-libro”. Ne è scaturito un progetto sospeso tra natura e memoria, dal terremoto alla ricostruzione, di cui ho discusso con la curatrice, cui si deve tra l’altro un volume, appena uscito per Marsilio, sul “percorso d’arte ambientale” della città di Gibellina.

ph Simona Scaduto

Visioni oblique: da cosa nasce questo titolo, cos’hanno di obliquo gli sguardi degli artisti?

Per questa mostra che mi sta particolarmente a cuore penso in termini di trasversalità rispetto alla molteplicità di visioni che il progetto ha raccolto grazie al contributo di diversi artisti invitati a confrontarsi con la Valle del Belice ma anche in riferimento al linguaggio del libro d’artista che è per sua stessa natura orientato a un affascinante ibridismo. Utile in tal senso citare il lavoro di Carla Sutera Sardo, dedicato ai centri urbani ricostruiti e significativamente intitolato S/Paesaggi, un gioco di parole che da un lato palesa il ruolo del paesaggio e dall’altro evoca il disagio connesso alla sensazione di spaesamento che spesso si avverte in questi luoghi.

Che differenze d’approccio hai notato tra pittori, scultori e fotografi?

Il linguaggio predominante che caratterizza le singole ricerche di ciascuno artista si riverbera per ovvi motivi anche sull’intero progetto. Nonostante questo, credo sia comunque più interessante leggere i lavori che compongono questo insieme composito ma coerente di opere nella prospettiva di alcune tematiche che si reiterano – come quelle della natura, della memoria, del dialogo fra antico e contemporaneo, del terremoto e della ricostruzione, della ferita e della rinascita – piuttosto che alla luce delle tecniche impiegate. È stato ed è estremamente importante come studiosa osservare il modo in cui gli artisti si sono confrontati con opere di straordinario interesse come quelle di Alberto Burri, Pietro Consagra, Giuseppe Uncini e Nanda Vigo. 

Un altro discrimine interessante è quello tra autori siciliani e “del continente”: di solito i vicini mettono in risalto aspetti che i lontani non notano, e viceversa. Confermi o smentisci?

La scelta degli artisti non è stata dettata da una prossimità di tipo territoriale al Belice ma dalla sensibilità delle loro ricerche che per ragioni differenti sfioravano più o meno consapevolmente questa realtà complessa e fortemente suggestiva. Visioni oblique deve molto allo sguardo caleidoscopico di Maurizio Galimberti, con cui lavoro dal 2020, attivo tra Gibellina nuova e i ruderi del terremoto. L’obiettivo del progetto era inoltre quello di far dialogare artisti che avevano già lavorato su quei luoghi, come Samantha Torrisi e Paolo Assenza, con autori come Ellie Ivanova, Noemi Mirata o Giorgio Distefano che non avevano ancora avuto la possibilità di farlo. Le letture di questo spazio tanto fisico quanto mentale sono molteplici e abbracciano memoria personale e collettiva ponendo sullo stesso orizzonte luoghi ed eventi anche lontani nel tempo e nello spazio come nel caso di Offerings per Gibellina di Giovanna Brogna/Sonnino e Archeologia del Futuro di Iole Carollo. 

L’indagine della mostra si concentra sui libri di carta e non, ad esempio, sui testi digitali. Semplicemente una scelta di campo o una decisione motivata da una peculiarità del testo scritto?

Non è stata fatta una scelta a priori in tal senso, si tratta di opere che scaturiscono da ricerche approfondite che gli artisti hanno svolto autonomamente, in sintonia con me oppure in accordo tra loro a partire da fonti d’archivio di vario tipo o memorie familiari, anche avviando vere e proprie residenze, si pensi a Davide Bramante, Tiziana Cera Rosco, Marilina Marchica, Laura Cantale e Giuseppe Mendolia Calella. Il viaggio, la ricognizione e la mappatura di uno o più siti sono essenziali in questo progetto; si rivelano di fondamentale importanza anche le peculiarità tattili delle opere, che invitiamo a sfogliare, toccare e leggere, e la loro dimensione iconotestuale, cruciale per la fruizione, che vive del connubio tra parola e immagine. 

I confronti sono sempre produttivi. Come in ЯƎ, l’ultima mostra a Palazzo dei Normanni curata dalla Fondazione Federico II – c’è anche un tuo contributo – dove “nell’era del virtuale sedici artisti affrontano la ‘realtà reale’ per una rinascita collettiva”.

Si tratta di progetti differenti nelle premesse e negli esiti ma che si interrogano sul significato della rinascita, un tema urgente rispetto al quale è opportuno riflettere. ЯƎ ha accolto questa sfida e ha selezionato con esiti felicissimi un cospicuo numero di opere di alcuni dei principali autori del nostro tempo, da Michelangelo Pistoletto ad Ai WeiWei. Tra le opere in mostra a Palazzo Reale a Palermo ci limitiamo a citare Grande Bianco Cretto (1974) di Alberto Burri, una presenza che rimanda certamente a Gibellina e ai suoi ruderi. Nella sua dimensione progettuale Visioni oblique nasce durante il lockdown parallelamente agli studi che stavo dedicando al ruolo attivo degli artisti nella ricostruzione della città di Gibellina in seguito al terremoto della Valle del Belice del 1968. In queste vicende è centrale la figura di Ludovico Corrao che proprio attraverso le arti visive, la musica, il teatro e l’architettura è stato il promotore di un delicato processo di ricostruzione non privo di slanci utopistici. Insieme all’azione svolta da artisti come Pietro Consagra, Nanda Vigo, Carla Accardi, Alighiero Boetti e Mimmo Paladino, è di fondamentale importanza il Grande Cretto di Alberto Burri che Bruno Corà ha definito, insieme a Guernica di Picasso, “una delle opere di carattere storico-civile più significative del XX secolo”. 

Tornando ai libri, ne hai appena dedicato uno a Gibellina (Gibellina. Memoria e utopia. Un percorso d’arte ambientale, Marsilio, 2022, Euro 21), dove proponi una ricognizione esaustiva delle opere d’arte ambientale che la costellano; in che senso Gibellina è un “luogo metaforico della condizione esistenziale contemporanea”?

Gibellina. Memoria e utopia. Un percorso d’arte ambientale indaga il ruolo dell’arte contemporanea in un difficile processo di risemantizzazione delle ferite durante la ricostruzione post-sismica. A partire da uno studio sul Cretto comedispositivo capace di organizzare sguardi, spostamenti e discorsi si è rivelato necessario procedere alla ricognizione delle opere d’arte ambientale disseminate sul territorio e troppo spesso rimaste all’ombra dell’opera di Burri. Il saggio prende in esame la dialettica opera/ambiente e studia la relazione tra il centro e la periferia, la dislocazione forzata, lo slittamento visivo e la possibilità di recupero come alcune delle componenti che concorrono a rendere Gibellina un luogo metaforico della condizione esistenziale contemporanea e offre spunti di riflessione inediti su una realtà in cui macerie e arti visive si incontrano per dare vita a un’utopia ancora oggi attuale. Ritengo che l’idea di Gibellina si sia imposta nell’immaginario collettivo non solo come esperienza fallimentare ma anche come motore della ricostruzione attraverso l’arte. L’insieme utopico/distopico di questa realtà è tra i motivi del suo fascino controverso che non ha ancora cessato di stimolare ricerche e riflessioni sempre attuali. 

Altri progetti – autoriali, o di curatela – per il futuro?

Continuerò a studiare e scrivere intorno al rapporto tra monumentalità e sfera pubblica ragionando sui processi che portano alla realizzazione dell’opera e ad approfondire le ricerche di diversi artisti. Come curatrice sono felice di seguire Tiziana Cera Rosco, autrice di sensibilità rara che da qualche mese è una presenza emanativa all’Orto Botanico di Palermo, dove sta svolgendo una residenza d’artista i cui esiti stiamo mostrando a un pubblico particolarmente attento attraverso momenti di condivisione e ascolto.