Con una selezione imponente e profondamente eterogenea di oltre 60 opere, questa edizione di Unlimited invita lo spettatore in un’esperienza sensoriale, politica e poetica.
Ad accogliere i visitatori, come un manifesto visivo e ideale della mostra, è I contain multitudes – We rise by lifting others di Marinella Senatore: un’installazione luminosa e testuale che celebra il potere della collettività, del femminismo e dell’empowerment sociale. L’opera, con il suo linguaggio accessibile e la sua imponenza scenografica, trasforma l’ingresso in un invito partecipativo e trasformativo. È un’opera-faro, che illumina e orienta il percorso che segue.

Tra le opere che colpiscono per intensità concettuale c’è Everyday Life di Arcangelo Sassolino: vetro, granito e acciaio diventano metafore del peso esistenziale, una tensione silenziosa tra resistenza e vulnerabilità che si impone con forza fisica e simbolica.

A livello politico e spirituale, Jaume Plensa propone Forgotten Dreams, una cattedrale laica di 21 porte incise con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, trasformando un documento storico in percorso esperienziale. L’assenza del corpo diventa qui presenza collettiva.

Michelangelo Pistoletto esplora il linguaggio della rottura e della riconciliazione con Rispetto, dove specchi infranti svelano messaggi multilingue: una riflessione sull’interculturalità urgente, resa ancora più potente dalla tavola-mediterraneo che richiama Love Difference.

Visionaria e caotica, The Voyage – A March to Utopia di Atelier Van Lieshout si snoda come una processione post-industriale che celebra (e critica) il mito del progresso. È un viaggio delirante verso un’utopia indefinita, dove ogni oggetto è insieme scoria e speranza.

Tra le installazioni ambientali, spicca Coup de vent di Daniel Buren, che riattualizza il suo linguaggio segnico con tessuti mossi da un vento artificiale: opera tra l’architettura e la coreografia invisibile dell’aria. Roméo Mivekannin decostruisce l’architettura coloniale in Atlas, riducendo edifici iconici a scheletri in acciaio. Le strutture, simili a gabbie per uccelli, trasformano simboli di potere in fragili reliquie. Raffinata e stratificata è anche Beroana di Taloi Havini, che unisce artigianato, memoria indigena e critica postcoloniale. Le sue “monete” di conchiglia e porcellana sospese celebrano un sapere ancestrale in dialogo con materiali globali.



In una sala vertiginosa, Nicola Turner installa Danse Macabre, una cascata organica di crini e lana: una danza della morte contemporanea che evoca fragilità e bellezza. Mimmo Paladino, con i suoi Testimoni, erige una silenziosa assemblea di figure arcaiche: scolpiti nel tufo, appaiono come reliquie eterne, muti custodi della memoria collettiva. La componente performativa è affidata, tra gli altri, a nasa4nasa, collettivo egiziano che reinterpreta la danza del candelabro con Sham3dan, una potente coreografia rituale che fonde fatica, grazia e identità.



Non mancano le incursioni nell’onirico: Yayoi Kusama trascina in un mondo pop psichedelico con Let’s Go to a Paradise of Glorious Tulips, mentre Piero Golia crea un universo percettivo chiuso in sé con Still Life (Rotating device), una stanza-gioco senza via d’uscita. Chiude idealmente il percorso We Are The Monsters di Robert Longo, bombardamento visivo che riflette sul nostro consumo spasmodico di immagini e notizie. Tra disegni, filmati e installazioni, l’artista cattura l’inquietudine del presente.



Unlimited 2025 è un mosaico di tensioni: sociali, formali, spirituali. Non offre una visione univoca ma un campo di forze – fragili, dense, commoventi – dove ogni opera è un mondo da abitare, anche solo per qualche minuto. Una mostra che, come suggerisce il titolo, non vuole finire. E forse non può.