Alice Falsaperla

Tutte le strade portano a Roma: Alice Falsaperla

Classe 1997, Alice Falsaperla è un astro nascente del panorama galleristico romano. Le abbiamo chiesto di parlarci della Città e del Mondo. Con un occhio di riguardo per lo spazio che conduce – la Galleria La Nuvola di Via Margutta, fondata dal padre Fabio Falsaperla – dove è cresciuta, se così si può dire, a pane e arte.

Nei suoi anni ruggenti La Nuvola è stata ben più di una Galleria: è stato un luogo di elaborazione culturale. Che cosa è oggi il tuo spazio nel cuore della Capitale?

Nel primo decennio degli anni Duemila e della Galleria si respirava un fervore particolare. Mi viene in mente una discussione di natura estetica cui assistetti tra il critico d’arte Maurizio Calvesi e Cesare Tacchi, in poco tempo tramutata in una curatela a quattro mani di quella che poi sarebbe stata l’omonima personale I guardiani della Primavera Pop(2007). Atmosfere simili si sono susseguite nel contesto della Galleria, come l’iconico cortile di Via Margutta, che ha ospitato interi movimenti pittorici e studi di artisti quali Giulio Severini, Giacomo Balla e Umberto Boccioni e, dalla fine degli anni Cinquanta, anche Renato Guttuso, Achille Perilli, Giulio Turcato, Mario Ceroli, Luigi Montanarini e Toti Scialoja. Sembrerebbe fare continuamente da scenografia a un film che documenta l’arte e Roma, come ha saputo catturare William Wyler con Vacanze Romane. Oltre che un luogo materiale, oggi lo definirei il ritaglio di una memoria che porta con sé la creatività di un secolo, di mescolanze, incontri, intuizioni e mostre, tra queste più di cinquanta da noi inaugurate. Un posto capace di portarti altrove, con i riflessi delle sue verticali vetrate, la spinta propulsiva di quegli anni e quel silenzio diffuso tipico di un locus amoenus, emblema della romanità. È questo il mio spazio nel cuore. 

In una Galleria sospesa tra passato e presente, fondamentale è il lavoro di cucitura. Come nell’ultima mostra di Uemon Ikeda.

La personale Racconti Paralleli, che ha abitato i nostri spazi in occasione della Giornata Mondiale del Contemporaneo, con la mia curatela e il Patrocinio della Fondazione Italia-Giappone, concesso dall’Ambasciatore Umberto Vattani, è stato proprio un modo per collegare la storicità di un artista internazionale quale Uemon Ikeda (Kōbe, 1952) con la sfera contemporanea. Questo è stato possibile tramite la realizzazione di un’installazione in sito, la prima a livello privato, con l’aiuto di alcuni studenti dell’Università La Sapienza di Roma. Un filo rosso misto di lana e seta che parla non solo di provenienza, ma di una comune appartenenza suggerita da intrecci aerei capaci di legare prospettive distanti. Un linguaggio che mostra quante più tipologie di opere e vedute intendiamo ospitare nella nostra Galleria, per una connessione sempre nuova tra gli artisti della Seconda Scuola Romana, del Gruppo Forma 1 fino ai più recenti. 

Un giudizio sulla Città Eterna: la grande bellezza è solo nei classici o noti un certo fermento anche in ambito contemporaneo? 

Roma è inafferrabile, sembrerebbe realizzata per i “giganti”, non sicuramente a misura d’uomo. L’arte contemporanea potrebbe essere un possibile tramite per avvicinarsi a quell’essenza di Roma dove gli strati della Storia dell’Arte si depositano uno sull’altro, dialogando simultaneamente tra loro. Penso che alcuni sentimenti e fermenti muovano da sempre l’uomo e l’arte, come la vitalità che ha rivoluzionato la Città tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta, ad esempio. Ora noto un simile respiro sia nei percorsi isolati sia nei nuovi gruppi giovanili che si confrontano, con il proprio stile e ideologia, nel nome della cultura e senza attendere. Via Margutta, che è la “Via dell’Arte” per eccellenza, è forse anche uno specchio di quanto accade in più larga scala, e che oggi sembra rinascere. Da sempre rimasta inalterata per la sua naturale posizione appartata, protetta dalle pendici del Pincio, aleggia su essa un “sogno al di sopra di ogni nazionalità”. Oltre agli studi di antiquariato e restauro, i corniciai e i marmorai, oggi si moltiplicano le aperture delle nuove gallerie, dall’alto design alla nostra nuova sede, che stiamo per inaugurare.

Quindi i nuovi artisti ci sono. Promuoverli è un lavoro solitario o trovi conforto nelle istituzioni, a cominciare dai musei?

Promuovere un artista è l’impegno di una galleria e rimane un influente fattore di crescita per il percorso di quest’ultimo. Prima di tutto è necessario credere in un artista, come mio padre Fabio Falsaperla ha fatto con la triade della Scuola di Piazza del Popolo, composta da Sergio Lombardo, Renato Mambor e Cesare Tacchi; poi fornire lui un sostegno che possa affondare le radici nella ricerca. Si tratta di un lavoro sia solitario sia collettivo e, spesso, uno consegue l’altro. 

La Banca d’Italia, per esempio, ha deciso di investire su uno degli artisti contemporanei che trattiamo, Alberto Parres (Tangeri, 1953), esponendo le sue opere nella sede centrale a Palazzo Koch. La nostra prima collaborazione con i musei è iniziata con il Complesso del Vittoriano, mentre ultimamente stiamo lavorando insieme alla FAO, col contributo di Giusy Emiliano, curatrice e collaboratrice stabile della sezione Land and Water. Il nostro obiettivo è trattare, attraverso l’espressione artistica, tematiche che siano attuali, giungendo anche alla sostenibilità e alla biodiversità.

Nel giardino della tua galleria sono passati i protagonisti di Vacanze Romane. Chi è oggi il vostro pubblico?

Un pubblico ampio che varia dai nostri collezionisti storici fino ai più giovani, provenienti da mondi più e meno inerenti, dagli esponenti cinematografici ai responsabili creativi dell’Alta Moda, con cui continue sono le possibili collaborazioni. 

Ho anche notato con molto piacere la partecipazione di numerosi artisti agli opening di altri autori nei nostri spazi; questo dimostra la sinergia che intendiamo mantenere all’interno del reticolo che traccia l’arte contemporanea.

Quale il tuo rapporto con la rete, e con le fiere?

La rete, ormai, non è più solo uno mezzo di comunicazione, è un mondo che abbiamo imparato a vivere. Al suo interno si veicolano ininterrottamente informazioni visive; sembra di essere in una continua pubblicità, ma è anche uno strumento potentissimo per i propri contenuti. Per questo è uno dei canali integranti della nostra attività e che intendo approfondire con il nuovo spazio, per una diffusione multilaterale e dimensionale. 

Riflettendo sulla rapidità, penso a quella di interscambio delle fiere, alle quali abbiamo partecipato. Penso possa essere interessante presentare in esse artisti ancora poco noti o valorizzati, anche se ora ci stiamo concentrando a livello privato.

In ambito artistico e critico-curatoriale – penso anche all’ultima biennale – sembra finalmente giunto il momento delle donne. Questo vale pure per le donne galleriste? 

Il momento delle donne c’è sempre stato, non c’è, a mio parere, un bisogno di evidenziarlo quanto di ricordarlo. Uno spunto interessante e inerente è presentato, appunto, dalla curatrice della 59° Esposizione Internazionale d’Arte Cecilia Alemani che, con Il Latte dei Sogni, accoglie qualsiasi forma di vita e di identità, nella direzione del nostro tempo.

Tutte le strade portano a Roma, ma il discorso vale pure in senso opposto: da Roma si va dappertutto. Imprese fuori porta?

Gli Emirati, per presentare una storicità; l’America per ampliare la ricerca; la Francia per nuove collaborazioni.

Progetti per il futuro?

Li vedrete!