Riccardo Ajossa appartiene a quel pregevole novero di artisti che da sempre porta avanti con coerenza e pregnanza la propria ricerca. Classe 1974, vive e lavora a Roma dove collabora con l’Accademia di Belle Arti dando vita al primo laboratorio per la produzione della carta artigianale attraverso metodologie orientali e occidentali applicate all’arte contemporanea. Di recente Ajossa e le sue “Trame Lontane” sono state protagoniste presso gli ambienti della Galleria Spazio Nuovo di Roma. E proprio nella stessa settimana di apertura della sua personale, Ajossa ha catturato lo sguardo di un affascinato pubblico presso gli spazi del Macro dando vita ad una ppuntamento pieno di malìa e di bellezza. In occasione di questo suo momento denso di avvenimenti, lo abbiamo intervistato.
Serena Ribaudo: Riccardo Ajossa, come nasce il tuo interesse per la carta?
Riccardo Ajossa: Il primo approccio con la produzione della carta artigianale è avvenuto durante gli studi d’arte presso il College di Loughborugh di Arte e Design. Si trova nei pressi di Nottingham, in Inghilterra. Studiavo nel Dipartimento di Pittura e su invito della mia compagna di corso Federica Bagaglini presi parte a dei workshop specialistici dedicati agli studenti di pittura per imparare a fare carta da materiale riciclato all’interno di un piccolo laboratorio per la produzione della carta artigianale presente presso il Dipartimento di Grafica. La facolta’ era un capannone industriale in mezzo alle campagne delle Midlands. In quello specifico laboratorio l’attenzione era dedicata principalmente al riciclo della carta di scarto prodotta dal dipartimento stesso. Mi sembro’ una bellissima idea e l’abbracciai con grande entusiasmo. Dal gioco e dalla sperimentazione mi trovai immerso fino alle braccia nella polpa di carta riciclata. E da li, in realta’ non ho mai smesso. In maniera continuativa si e’ trasformata negli anni in una ricerca di vita che ha incentrato sulla produzione della carta artigianale quasi tutta la mia produzione d’arte degli ultimi vent’anni. Dalla sperimentazione e’ nato l’interesse per l’aspetto storico ed antropologico e di come questo incredibile prodotto abbia velocizzato la distribuzione della cultura nel mondo decidendo cosi’ di celebrarla attraverso evoluzioni creative piu’ o meno complesse, ma sempre coerenti alla sua vera natura.
Riccardo Ajossa, Esercizio di teoria del colore 1, 2017, carta hanji prodotta con metodoligia tradizionale coreana e pigmenti naturali, 60x90cm Riccardo Ajossa, Esercizio di teoria del colore 2, 2017, carta hanji prodotta con metodoligia tradizionale coreana e pigmenti naturali, 60x90cm Riccardo Ajossa, Esercizio di teoria del colore 3, 2017, carta hanji prodotta con metodoligia tradizionale coreana e pigmenti naturali, 60x90cm
Quanto il viaggio ed il confronto con culture altre nutrono la tua arte ed il tuo immaginario poetico?
Il viaggio nasce prima di tutto nella propria casa, nel proprio studio. Per un’artista l’indagine intima e creativa e’ rappresentata dal primo passo spinto sicuramente dalla curiosità dell’immaginare altri mondi. Visioni. Superare la soglia della propria abitazione e’ automatico e cominciare ad esplorare, non solo con la fantasia ma anche con tutti i sensi collegati al nostro corpo, la diretta conseguenza. Ho iniziato a viaggiare da giovanissimo motivato da un forte interesse per tutto cio’ che fosse differente da me ed ho rapidamente imparato che tutte le diversita’ che decidiamo di accogliere fanno crescere la nostra capacita’ di capire gli altri attraverso una nostra sensibilita’ inaspettata. La si puo’ coltivare e nulla è piu’ troppo distante. Quasi tutto diventa comprensibile nel momento in cui decidiamo di osservare senza giudicare. Conoscere le abitudini di persone in relazione ai luoghi che abitano, osservando silenziosamente e con rispetto è il modo per interiorizzare rapidamente il senso profondo della natura umana. Differenti latitudini, differenti soluzioni per lo stesso problema, o gioire per lo stesso successo. La nostra grammatica si espande e comprendiamo immediatamente che il compromesso e’ sempre dettato dalle condizioni che crediamo granitiche. Si sgretolano appena ci rendiamo conto che basta spostare prospettiva e la stessa condizione si trasforma rapidamente in una possibile opportunità. Ho viaggiato tanto per naturale curiosita’ e molto anche per la ricerca collegata all’aspetto antropologico del fare la carta. Le abitudini e il contesto nel quale sorgono le cartiere, quello che muovono socialmente intorno ai loro siti e’ la vera parte da approfondire a volte, piu’ che la manifattura in se. Luoghi industrializzati ed evoluti nell’occidente piu’ competitivo o villaggi rurali in paesi remoti dell’oriente hanno sempre un rapporto diretto con tutto quello che circonda il luogo prescelto. Le storie di chi ci lavora e la provenienza delle materie prime. Le vite di tutti quelli che vengono a contatto con la catena di produzione ed infine la connotazione del luogo. Quanto questa industria impatta cio’ che la circonda, in bene e in male.
Si é conclusa da poco la tua personale Trame Lontane presso la Galleria Spazio Nuovo di Roma. Possiamo considerarla una “istantanea” della tua ultima produzione?
Un punto di consolidamento direi. In questa mostra prodotta e creata in stretta collaborazione con Paulo Muniz e Guillerme Maitre e’ stato sicuramente messo il focus sul prodotto finito isolato dal suo contesto di provenienza. La particolarità di questa esposizione è rappresentata proprio dalla scelta di non raccontare il processo complesso per la produzione delle grandissime carte artigianali Hanji o della lenta estrazione e fermentazione dei colori estratti da elementi pazientemente raccolti in natura come fatto in precedenti mostre. Esiste l’opera finita, autosufficiente e consolidata ferma a raccontare di se stessa. Il pubblico e gli studiosi del settore cartaceo amano conoscere il back stage, cosi’ come il visitatore non consapevole sgrana gli occhi quando dopo incontrata l’opera viene a conoscenza della lunghissima manifattura per giungere al prodotto finito cosi’ come la osserva in galleria. La carta prodotta a mano, il colore estratto da elementi naturali, la manifattura orientale tradizionale. Abbiamo quindi deciso di lasciare alla prima impressione tutta la responsabilità della fascinazione dell’opera, per poi raccontare a voce o attraverso un testo in una intima relazione tra il curatore e lo spettatore tutto il processo. Come una storia a tratti magica di alchimie tra cortecce e sali di rame.
Luoghi in natura dove le trasformazioni creative avvengono attraverso gesti arcaici e pazienti valutazioni tecniche. Viaggi lunghissimi e narrazioni di anziani maestri orientali in grado di lasciar andare parte del loro sapere per affidarlo ad artisti alieni con la promessa di farne buon uso. Ho riportato indietro con me dai villaggi della Corea del Sud e della Cina una grande consapevolezza legata alla capacita’ dell’uomo di saper produrre quello di cui ha bisogno nella misura utile perche’ la natura non ne subisca il torto. E’ un modo di stare al mondo e vivere il mondo con una grandiosa umiltà’. Tagliare il ramo giusto per ottenere dalla pianta la corteccia per farne carta facendo crescere l’albero ancora piu’ robusto. Sembra semplice. È il tutto. La mostra è questo, cambiare punto di vista, mettere al centro la misura giusta che spesso dimentichiamo perché non ascoltiamo chi ha impiegato la vita mettendo a punto la giusta relazione e fare di noi parte del sistema originale. Partecipare con gentilezza al fluire incessante delle cose senza interrompere ma essendone parte. Dunque, le opere sono grumi di natura e di esperienza. Raccontano di luoghi geografici dai quali ho spremuto il colore e diventano l’istantanea del luogo stesso ma raccontato attraverso altri occhi. La radiografia del contesto. Il viaggio per giungere fino a li e la memoria di tutto il percorso affrontato. I sapori dei cibi, le lingue parlate e la costante sensazione di misurarsi con emozioni lontanissime ma famigliari, vive in qualche esperienza precedente. Poi mi guardo indietro e quel luogo e’ già la memoria di se stesso. “Non abito piu’ li” come recita il titolo di una delle istallazioni, e lo ricordo anche attraverso tutto quello che trovo sotto forma di frammenti che rappresentano paesaggi simili. Prove di colore, angoli di dipinti ritrovati in piccoli mercati, foto d’epoca. Sono occidentale seppur affascinato dalle tecnologie orientali. Quindi per me la storia ha origine nella ricerca scientifica, e l’arte e’ una modalità’ per metterne in evidenza tutta la parte poetica e funzionale, ma con altri occhi, di chi interiorizza il gesto e la sua funzione evocandone tutta la sua equilibrata bellezza.
Contemporaneamente sei stato protagonista al Macro. Ci parleresti di quest’esperienza?
Operazione visionaria diretta da Giorgio de Finis. Contestato e amato direttore del Macro Asilo di Roma. Durante il suo incarico ha rimosso la collezione permanente dalle sale e ha piazzato grandi cubi di vetro pronti ad ospitare artisti vivi e vegeti operativi e produttivi. Siamo stati chiamati a realizzare un lavoro nel tempo definito dal contratto. L’accesso alla sala da parte del pubblico e’ libero. Artisti in action progress invece di opere finite. Ha vagamente ribaltato il punto di vista destabilizzando tutto il sistema. Per un po’. Io ho serenamente lavorato su carte che avevo precedentemente prodotto con la metodologia cinese tradizionale al rientro dal mio ultimo viaggio a Pechino. ll colore recentemente estratto dal Sambuco di fine estate ha completato l’opera. Raccolto lungo le scarpate della parte alta di Trevignano Romano, l’ ho fermentato e sviluppato con i sali di rame dandogli una connotazione blu brillante simile all’indaco orientale tradizionale. Sotto il sole e al caldo la raccolta diventa una esperienza intensa che riemerge quando l’opera si svela. Il colore e’ vibrante e pieno di variazioni dovute al pigmento. Impossibile ricrearlo con il colore sintetico. Ho immaginato nella box del museo il set per la produzione di una tintura giapponese Shibori che in oriente avviene in rifugi rurali in riva al fiume per facilitare il risciacquo delle stoffe attraverso l’acqua sacra di sorgente che pulisce e purifica. Il gesto e’ teatrale, il corpo dell’artista si tuffa nel colore, e poi in due operai lo fa risalire e sgocciolare indirizzandolo secondo la piega e l’intenzione che ne condiziona il movimento. Ne nascono segni simili a quelli che lascia il fiume lungo i sui argini o le tracce sulle pietre. Io e Massimo in un lavoro di coppia abbiamo ricreato i mulinelli e i bagliori della luce che riflette tra le increspature dell’acqua e come validi operai abbiamo arginato l’eccesso di liquido e prevenuto ogni rottura della carta. Richiede empatia e la capacita’ di capire bene il peso di ogni singolo spostamento e la relazione che si instaura tra i gesti. Si puo’ prevenire la rottura o la dispersione. Bisogna sentire sotto i polpastrelli la fibra della carta che cede e distendere il gesto in fase di resa e abbandono. L’istallazione finita e’ il fotogramma di un frammento di fiume che ribolle e corre all’impazzata a valle sporco di blu e di stoffe legate in testa e liberate a ridosso della corrente. Si agitano come salmoni a risalirlo e con il ritmo del ruscello che leviga le pietre, ridisegna il moto del fiume in quel preciso momento. Una storia breve ma efficace, perché avviene all’aperto, con i piedi in acqua e la testa al sole. Le mani a formare una catena che libera colori e tutto avviene senza troppa attenzione alla bellezza che incornicia il gesto. Con distratta attenzione
Riccardo Ajossa, Gradazioni di fine estate – 1 di 4, 2019, carta hanji prodotta con metodoligia tradizionale coreana e pigmenti naturali, 175x131cm Riccardo Ajossa, Gradazioni di fine estate – 2 di 4, 2019, carta hanji prodotta con metodoligia tradizionale coreana e pigmenti naturali, 175x131cm
Prossimi progetti?
Sicuramente tornare in oriente per approfondire gli studi. Fare ricerca sul campo e continuare ad ampliare la conoscenza specifica nel settore della produzione cartacea e del colore naturale. Sono molto emozionato per una nuova relazione internazionale che si sta concretizzando e che riguarda un approfondimento specifico per la tecnologia cinese in definite aree del paese. Quindi il viaggio corredato di documentazioni e sicuramente valutazioni da riproporre ai miei studenti che partecipano al mio corso di Tecnologie della carta presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, da sempre partner e supporter di questo bellissimo approfondimento. Il corso si arricchisce sempre di nuovi aspetti legati al viaggio, alla messa in opera e alle personali considerazioni che faccio al rientro. Gli studenti hanno come in nessun altro istituto italiano saputo integrare la produzione della carta da fibre vegetali nella loro diretta creazione di opere a tema esponendosi al favore della critica internazionale. Sicuramente tutto questo porterà’ altre collaborazioni e mostre sia mie personali che in cooperazione con studenti ed istituti. Sto traducendo tutto questo anche in opere che viaggeranno verso l’oriente per essere esposte in luoghi adibiti, ma sicuramente quello che piu’ mi preme e’ continuare a sperimentare per trovare un giusto punto d’equilibrio tra le tecnologie orientali e la creatività’ occidentale. Un dialogo vivo e vibrante che apre scorci su dimensioni parallele di interpretazione grafica e creativa. Questo attraverso lo studio e la conoscenza piu’ che approfondita delle modalità’ tradizionali e la loro potenziale applicazione nell’arte contemporanea che a mio parere ha sempre piu’ bisogno di un filo che la riconduca alla radice della motivazione profonda per la quale l’uomo ha da sempre l’urgenza di esprimersi visivamente. Grande e vera manifestazione di unita’ del genere umano, senza distinzione di paesi di provenienza o genere.