L’artista, utilizzando materiale organico su tessuto sotterrato ed esumato dal terreno, dialoga con il tempo e la caducità, lasciando all’elemento naturale e al suo lento decadimento libertà d’azione icastica, tanto crudele quanto carezzevole.
Le fibre di tele-lenzuola si macerano nella terra, che le accoglie come grembo e tenebra in un abbraccio apparentemente immobile, mischiando perdita e memoria, logorando e dissolvendo un corpo tessile persistente nella sua essenzialità di involucro e nella sua verità di oggetto segnato dalla trama di una transizione vegetale.
La riassunzione temporale di una materialità che non nasce né muore a sé stessa, ma transita tra la coscienza e la dimenticanza, tra inizio e fine, fa riaffiorare il senso del distacco e la volontà di ricongiunzione con un primordio radicale, con il sedimento dell’esistenza, mentre il segno pittorico e verbale si in-storia in un oggetto quotidiano, le lenzuola, divenendo ferita che squarcia ricordi pre-temporali, territorio intimo in cui emergono luce e ombra.
Nell’abbandono e nella rinuncia all’illusione ci si apre alla fatalità del vuoto, all’esaurirsi di un prima in favore dell’odierno divenire, frastagliato, ripiegato e disteso come un drappeggio trasformato e trasportato dalla mobilità di corpi vegetali e di affezioni perse nel flusso dell’esistere.
Nella serie Per questo rivorrei il mio danno originario il desiderio di uno stadio primario in cui il decomporsi e il rifiorire, il tempo e l’essere coincidono, in cui tutto è nella sfera del possibile, ancora prima dell’attimo e dell’accadere, appartiene ormai a ieri, ad una soglia varcata all’interno del mondo sensibile dove pure l’essere resiste nella grazia di un germogliare.
Sedimentazioni e orme, chiarori e pieghe si delineano nella serie Questo me lo sono fatto da sola come fregi di un tempio antico, come atto volontario composto di ramificazioni vegetali che si profilano insieme a increspature vibrate in un soffio dal potere mnestico.
L’opera Mi dispiace che una parte di me se ne è andata, posta al centro delle due serie, lasciando in evidenza il segno autografo dichiarativo che chiarifica un principio di separazione e privazione, afferma l’identità transitoria, sempre avvolta dall’hic et nunc, di una coscienza sopravvivente.
Spiragli di candore accompagnano ed evidenziano un solco congiuntivo, un cordone radicale che unisce le verticalità opposte della tela. Ritornano alla mente le parole di Emil Michel Cioran ne L’inconveniente di essere nati: «Si guariscono solo coloro che appartengono alla terra, e vi hanno ancora radici, per quanto superficiali esse siano».
La mostra Nell’impalpabile abdico, vissuta nello spazio di una sera all’interno di un luogo inizialmente domestico e ora realtà espositiva del contemporaneo, ha introdotto all’apparire subitaneo e cadenzato di superfici respiranti, organicamente coinvolte in un movimento d’animo emersivo che le riporta dal fondo della soggiacenza orizzontale, propria del loro compiersi, alla pura verticalità del levarsi alla vista dell’osservatore.
Veronica Neri
Nell’impalpabile abdico
A cura di Laura Catini
Angolo Cottura
Un lavoro per una sera
giovedì 7 settembre 2023, ore 18.00