Non è facile per gli artisti misurarsi con uno spazio così caratterizzante, come quello progettato da Piero Portaluppi e diventato nel 2019 una delle sedi della galleria di De Carlo. Non si tratta infatti soltanto di dover accettare le potenti interferenze di un ambiente ben lontano dal concetto osannato del white cube, bensì anche di entrare in rapporto con una struttura cosìstrettamente legata alla ruggente Milano degli anni ’30, con i suoi bisogni, audacie e limiti. Eppure, scegliendo casa Corbellini-Wasserman, Massimo De Carlo ha voluto muoversi controcorrente, collegando i lacci di sistemi diversi per potenziare l’esperienza dello spettatore, accettando anche il rischio di azzardati confronti.
Con la mostra Lost Corner Lot Play, Aaron Garber-Maikovska si relaziona con il lavoro dell’architetto milanese, inserendosi bene nella sua preziosa essenzialità; una caratteristica propria anche dei suoi quadri, per i quali viene usato il termine “distillazione” ad indicare, appunto, l’intento dell’artista di sintetizzare l’esperienza fisica per restituirne l’essenza nella pratica pittorica.
Sono opere che parlano di percorsi, di viaggi al confine tra natura e costruzione umana, che trasmettono il bisogno di somatizzare lo spazio, di colonizzarlo con il nostro essere “umani”. Garber-Maikovska, però, procede anche oltre il semplice raccontare un’idea: ci riporta un’azione, compiuta nel tempo e in un luogoche non ci appartengono, ma che parla di un corpo reso arte.
Con le sue vere e proprie pratiche gestuali, infatti, l’artista affronta il quadro come esito di un percorso fisico e mentale complesso e articolato, restituendo quindi non tanto la propria personale percezione della realtà, bensì l’esteriorizzazione di una gestualità informata da ciò di cui ha avuto esperienza; il corpo diventa cosìnon soltanto veicolo di percezione e creazione, ma strumento stesso di conoscenza.
La fisicità delle opere di Aaron Garber-Maikovska è, poi,ulteriormente accentuata dalla tecnica pittorica scelta, che prevede l’utilizzo di oil-stick – colori a olio in barrette – spesso stesi su strati di propilene, piuttosto che su tele, a sfruttare la profondità materica della loro composizione. L’effetto è così quello di un segno che preserva la corporeità del gesto che lo ha creato, delineato su di uno sfondo che suggerisce la tridimensionalità dello spazio in cui l’artista si muove, ma che è già un luogo diverso: l’interspazio tra creazione e fruizione, tra artefice e spettatore, dove arte e architettura trovano una vera congiunzione.
Aaron Garber-Maikovska
Lost Corner Lot Play
Galleria Massimo De Carlo, Milano
5 settembre – 30 settembre 2023