Elena Mazzi, The upcoming Polar Silk Road, 2021 (video still)

Tomorrows – A Land of Water: quando l’arte diventa un grido d’allarme globale

Fino a domenica 10 novembre sarà possibile visitare la mostra Tomorrows – A Land of Water allestita presso il Castel San Pietro di Verona a cura di Jessica Bianchera e Marta Ferretti.

L’arte contemporanea, con la sua capacità di interrogare la realtà e di stimolare riflessioni profonde, si rivela uno strumento importante per indagare il nostro complesso rapporto con la Terra. Attraverso una moltitudine di linguaggi e tecniche, gli artisti contemporanei ci invitano a confrontarci con le sfide ambientali del nostro tempo, sottolineando l’urgente necessità di adottare pratiche più sostenibili. Dalle installazioni che utilizzano materiali destinati allo scarto alle opere che esplorano la metamorfosi dei paesaggi, l’arte diventa un potente catalizzatore di dibattiti, sensibilizzando l’opinione pubblica su temi cruciali per il futuro del nostro pianeta.
Tomorrows – A Land of Water è un esempio emblematico di come l’arte possa diventare un veicolo per affrontare le grandi questioni del nostro tempo. Allestita all’interno della suggestiva cornice di Castel San Pietro a Verona, la mostra, a cura di Jessica Bianchera e Marta Ferretti e composta tutta da donne, invita le artiste a riflettere sull’emergenza idrica, un tema di scottante attualità che incide profondamente sulla vita di miliardi di persone. Elena Mazzi, Alberta Whittle, Lina Dib e il collettivo DAVRA research collective, composto da  Saodat Ismailova, Madina Joldybek e Zumrad Mirzalieva, con le loro opere video e installazioni, ci conducono in un viaggio visivo e concettuale attraverso le conseguenze sociali e geopolitiche della crisi idrica. Le loro opere non si limitano a denunciare un problema, ma ci invitano a riflettere sulle nostre responsabilità e a immaginare possibili soluzioni per un futuro più sostenibile.

La prima opera che cattura lo sguardo del visitatore è THRESHOLD di Lina Dib, un’installazione interattiva che invita lo spettatore a diventare parte integrante dell’opera d’arte. L’audiovisivo ci trasporta in un momento liminale, quello del tramonto sulla costa texana: sfumature pastello del cielo si fondono con l’orizzonte marino, creando un’atmosfera di quiete e contemplazione. Man mano che ci si avvicina all’opera, due sensori attivano un’esperienza sensoriale unica: il video rallenta, l’audio si intensifica e l’immagine vira al bianco e nero. Questo brusco cambiamento cromatico e temporale simboleggia l’impatto devastante che l’uomo ha avuto su questa costa. La bellezza incontaminata del tramonto viene offuscata da un passato segnato da disastri ecologici: la fuoriuscita di petrolio della BP nel 2010 e, successivamente, le tossine riversate dall’uragano Harvey hanno lasciato profonde ferite su questo ecosistema. THRESHOLD è un invito a riflettere sul nostro rapporto con la natura, sulle conseguenze delle nostre azioni e a impegnarci per un futuro più sostenibile.
Con la sua opera del 2019, between a whisper and a cry, Alberta Whittle ci immerge nel cuore delle Antille, un arcipelago segnato da una storia tormentata e da un presente precario. Attraverso un collage di video e filmati, l’artista ci invita in un viaggio tra la furia della stagione distruttiva degli uragani, in un continuo alternarsi di luce e ombra, di speranza e disperazione. L’opera è un lamento collettivo che rievoca le ferite del passato: il colonialismo, la tratta degli schiavi, le disuguaglianze sociali. Ma è anche un grido d’allarme rivolto al presente, dove la crisi climatica inasprisce le fragilità di un territorio già provato. Whittle utilizza l’arte come strumento di liberazione e di riparazione. Il suo lavoro non si limita a documentare la sofferenza, ma cerca di attivare un processo di guarigione collettiva.
Il progetto Taming Women and Waters in Soviet Central Asia del DAVRA research collective ci conduce in un viaggio profondo attraverso la storia dell’Asia Centrale, svelando le cicatrici lasciate da un’epoca di profonde trasformazioni e ingiustizie. L’opera si focalizza sullo sfruttamento del lavoro femminile e sull’uso intensivo delle risorse idriche per la monocoltura del cotone; il collettivo ci invita a riflettere sulle conseguenze devastanti di un modello di sviluppo imposto dall’alto. In particolare, l’Uzbekistan, con il suo immenso bacino del Grande Canale di Fergana, ha subito un impatto drammatico a livello sociale, ambientale e paesaggistico. L’installazione, concepita per la Biennale di Praga, è un’esperienza immersiva che cattura l’essenza di questa tragica storia. Una grande tenda azzurra, che rievoca l’elemento vitale dell’acqua, si sviluppa in una struttura curva, simboleggiando il sinuoso percorso del Grande Canale di Fergana. Essa stessa contiene un affascinante contrasto visivo e concettuale: da un lato troviamo delle tele ricamate da Ruxsora Karimova e grandi fotografie, che ci presentano un’immagine toccante sul paesaggio trasformato. I ricami, con i loro motivi tradizionali, dialogano con le immagini fotografiche, testimoni silenziosi di un passato segnato da sofferenza e resistenza. L’altro lato, un ampio tessuto bianco e nero ci proietta in un universo documentaristico, dove immagini e testi ci raccontano l’impatto devastante della modernizzazione forzata sulla regione. La monocoltura del cotone, presentata come un simbolo di progresso, ha in realtà prosciugato le risorse idriche, degradato i terreni, impoverito le comunità locali e sfruttato la donna.

All’interno di questo percorso espositivo, Elena Mazzi ci conduce in un’avventura visiva e concettuale ai confini del mondo, con la sua opera The upcoming Polar Silk Road. Questo docu-film ci immerge nell’intricato intreccio tra geopolitica, ecologia ed economia che caratterizza la nuova Via della Seta Polare, una rotta marittima che collegherà l’Europa, la Russia e la Cina attraverso l’Artico. Attraverso immagini evocative, brevi interviste a politici, pescatori e ricercatori, e riprese dei luoghi coinvolti, Mazzi ci svela le implicazioni di questa ambiziosa infrastruttura. L’Islanda, in particolare, emerge come uno dei principali protagonisti di questa trasformazione, destinata a subire un profondo impatto ambientale e sociale a causa della costruzione di nuovi porti, come quello di Finnafjörður, e di infrastrutture per la ricerca scientifica. Il sottosuolo artico, con le sue immense risorse naturali, rappresenta un tesoro ambito da molte nazioni. Tuttavia, lo sfruttamento intensivo di queste risorse rischia di compromettere l’equilibrio di un ecosistema fragile e unico al mondo. Mazzi, attraverso un sapiente montaggio e l’utilizzo di un linguaggio visivo potente, ci invita a riflettere sulle conseguenze a lungo termine di queste scelte. Il film è accompagnato da un testo che rielabora le testimonianze raccolte, offrendo al pubblico una chiave di lettura che oscilla tra realtà e finzione. Frasi d’impatto come “The biggest problem of humanity is humanity” o “Iceland is a textbook” fungono da potenti catalizzatori di riflessione, invitandoci a considerare l’Islanda come un microcosmo che riflette le sfide globali del nostro tempo. Completa l’installazione l’opera Polar Silk Road (Map 1), un arazzo che rappresenta una mappa dell’Artico.

La mostra, prosecuzione del progetto Tomorrows, promosso dalla Fondazione Cariverona, ci invita a riflettere sulle sfide poste dalla crisi idrica. Questa esposizione non è solo un’esposizione di opere d’arte, ma un vero e proprio manifesto che ci chiama all’azione. Le artiste, con le loro opere, ci mostrano l’urgenza di trovare soluzioni condivise per affrontare questa emergenza globale. L’acqua, elemento unificante, ci ricorda che siamo tutti interconnessi e che il destino del nostro pianeta dipende dalle scelte che facciamo oggi.

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