Strings: luci e visioni alla White Noise Gallery

La luce in tutte le sue possibili varianti tecniche e percettive, incluse quelle recenti derivanti dall’apporto di nuove tecnologie, è al centro della collettiva Strings: light and vision, a cura di Maria Abramenko presso la White Noise Gallery di Roma e visibile fino allo scorso 26 ottobre. Attraverso il lavoro degli artisti Isabel Alonso Vega, DUSKMANN, Andrea Galvani, Sali Muller, Mareo Rodriguez e Alessandro Simonini, il dato luminoso, già oggetto – nel recente passato – di ricerche fondamentali per le sorti dell’arte contemporanea, si descrive in mostra svelando tutte le sue possibilità di relazione estetica generando suggestivi risultati. Difatti la luce, nel sue essere elemento effimero per eccellenza, si declina in mostra per mezzo di una pluralità di soluzioni espressive che spaziano dall’installazione alla scultura e depositarie, in tutti i casi, di un interessante indice di innovazione. Tutto ciò genera, seppur nel rispetto delle diversità di ciascun interprete, un’atmosfera visiva corale e coerente in grado di pervadere gli ambienti della galleria di un distintivo senso di enigmatica evanescenza.

Quest’ultimo aspetto è conseguenza del silenzioso propagarsi di effetti luminescenti differentemente ottenuti e giocati da ogni singola opera selezionata, da cui emerge una considerazione della luce sì rarefatta ma anche corpuscolare, proprio in linea con gli studi quantistici dei fisici Carlo Rovelli, Elden C. Whipple e Henry Stapp. Essa acquisisce, in tal modo, una corporeità  propria profilandosi, così come sottende l’esposizione, al pari di uno strumento linguistico autonomo. Ovviamente, un espediente narrativo tanto permeabile, oltre a garantire al dettato espositivo una convincente e logica eterogeneità, implica un necessario dialogo con lo spazio ospitante e con gli altri lavori presenti. Questi, alle volte, hanno in comune, costruttivamente, sintassi affini ma non pedissequamente sovrapponibili mentre, in altre, sì divergenti ma mai stridenti o contraddittorie, connotando l’intero percorso di visita di una sensibile euritmia.

Fra immaterialità e fisicità, la mostra, grazie a un allestimento ragionato e efficace nel qualificare ogni opera presente di una propria dimensione contemplativa, appare da subito coinvolgente e in grado di immergere il fruitore nel vivo degli spunti meditativi di cui le opere proposte e le conseguenti interazioni fra luce e ombra sono dispensatori. Il tutto, infine, si delinea nella complessità di una proposizione artistica organica dove la luce si configura, allo stesso tempo, come oggetto e mezzo di una ricerca espressiva di cui, nel suo essere indagatrice del reale e dispensatrice del visibile, riveste un ruolo di imprescindibile centralità nella corretta lettura di esiti dall’esecuzione eclettica e capaci di sollecitare sensazioni ataviche, tanto primigenie quanto la luce stessa che, come dimostra l’esposizione qui in via d’analisi, ancora in grado di influenzare le investigazioni del presente artistico.