A partire dalla scelta del titolo, l’esposizione in corso intende proseguire la riflessione sul laboratorio dell’artista avviata da Enrico Crispolti, curatore del Catalogo ragionato della scultura, nella rassegna organizzata a Como durante il decennale dalla scomparsa dell’artista. La sede ha in programma piccole mostre di approfondimento,legate alla documentazione di ambiti meno conosciuti del lavoro dello scultore.
Giulio Carlo Argan, sulla scultura di Francesco Somaini, scrisse: “non è un processo a posteriori, di stampo; è il processo stesso del costruirsi della materia perché è la realtà del mondo che, fondendo, si è ridotta a quel grumo impuro e fumante, come dopo un’esplosione atomica”.
Nei suoi lavori si percepisce l’insurrezione della materia che spinge per tornare alle sue stesse origini. Un corpo a corpo combattuto dall’artista per plasmare immagini che escono dall’ombra o entrano in essa. Sono forme che si muovono violente verso il cielo spiegando le loro indefinite ali, in simbiosi con il moto della Nike di Samotracia.
Francesco Somaini costruisce immagini che appartengono a un sogno violento, carnale e convulso. Esse scalpitano per crearsi e distruggersi allo stesso tempo, completando il loro ciclo vitale in una frazione di secondo. È l’artista che decide di immobilizzarle, a metà tra la vita e la morte, a metà tra l’essere e il non essere e tra la nascita e il decadimento. In una sorta di limbo dantesco, dove ogni forma è pregna di metafore e allusioni.
Sono opere pervase da un’energia vitale che le anima e le rende magnetiche nella loro fatalità. Infatti, l’artista correva molto spesso il rischio di inalare i vapori esiziali quando lavorava la materia, ma il corpo a corpo con essa era talmente intenso da portarlo alla soglia del dolore, alla necessità stessa di sanguinare nel senso concettuale del termine.
Lo spettatore può immergere lo sguardo nella purificazione profonda delle forme, dove in alcuni casi è il gesto violento e fugace ad averle formate, mentre in altri l’artista sembra averle accarezzate dolcemente per renderle più tondeggianti ed eteree.
Francesco Somaini era un grande sperimentatore che non amava particolarmente il bronzo. Lavorava materiali diversi, anche umili, come ferro, leghe, polvere, peltro e piombo, quest’ultimo anche a caldo. Oppure inventava materiali nuovi come quello brevettato nel 1955, unendo cemento bianco e limatura di ferro, come si può osservare presso la Fondazione a cui dà il nome. Anche se, tra le sue opere più famose ci sono le “Tracce” a partire dal 1975, lavorazioni su marmo attraverso un getto di sabbia ad aria compressa che diventano il suo linguaggio del tutto personale, da lui stesso definito “lo scalpello di Dio”. L’artista aveva portato avanti questo esperimento per dare maggiore vibrazione alle superfici e più tensione tra i pieni e i vuoti, una tecnica che costituirà la base di tutto il suo processo creativo per la modellazione delle sculture monumentali.
Esiste inoltre uno stretto rapporto tra pittura e scultura per Somaini. I suoi dipinti sono altrettanto materici, vibranti e violenti. La Fondazione ha infatti scelto di mettere a confronto dipinti realizzati con diverse tecniche e opere plastiche che sono la piena realizzazione tridimensionale di quelle forme.