Il destino oltre il mare

Bollettino di oggi: mare calmo. Chissà però che vento tira all’altra sponda del Mediterraneo, dove non passa giorno senza la notizia di qualche nave, ma sarebbe più giusto chiamarla zattera, dispersa o rivoltata, col suo carico di uomini in cerca di futuro. La meta, stavolta, è l’Europa. In passato era più spesso l’Africa. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento il Nord della terra dei leoni è stato infatti oggetto di una colonizzazione vera e propria. Gli Italiani andavano per lo più in Libia, i Francesi in Algeria, i Siciliani – accidenti, dimentico sempre che si tratta di Italiani – in Tunisia, dove coltivavano i campi e si davano all’industria. Con la decolonizzazione, le cose cambiarono piuttosto bruscamente. Milioni di coloni furono costretti a tornarsene in Europa, lasciando una terra che avevano amato e conosciuto come patria.

Che cosa è rimasto del loro passaggio tra Algeri, Cartagine e Bengasi? A questa domanda quanto mai attuale prova a dare una risposta Il destino oltre il mare (Caffèorchidea, 2023, euro 18.00), primo e al momento unico romanzo di Luigi Biondo, attuale direttore del Parco Archeologico di Segesta. Luigi, che nella sua lunga carriera ha guidato infiniti restauri, prende le mosse dal recupero della parete di una chiesa trapanese che, dietro una patina di intonaco, nascondeva un affresco con una pesca miracolosa. Non, per intenderci, quella operata da Gesù a vantaggio degli apostoli; la pesca in questione riguardava un gigantesco pezzo di corallo, che una nave di pescatori si apprestava a portare in Sicilia. Corallo tunisino: l’oro dei mari, gioia di vescovi e sovrani.

Questa reliquia, rossa come il sangue, da sempre immagine di vita in morte, di gloria e di resurrezione, è il tenue filo che attraversa il racconto. Per indagare i rapporti culturali ed economici alla base dell’affresco, Luigi, che è anche il protagonista della storia, raggiunge infatti Tunisi, dove, oltre a imbattersi in una quantità di usi e costumi che gli risultano singolarmente familiari, fa una scoperta esaltante: ritrova la tomba dei suoi cari e, con essa, la memoria del suo passato africano.

Ora, a parte la qualità del racconto, che per affabilità e sapienza narrativa tutto sembra fuorché un’opera d’esordio, l’ingrediente segreto con cui mi ha catturato è l’idea di fratellanza, di solidarietà che trasmette ad ogni passo. L’agnizione cimiteriale avviene infatti, per dirne una, grazie al supporto di conoscenti tunisini dell’autore che, senza alcun interesse privato, si mettono istantaneamente al suo servizio. Quando gli europei sono stati mandati via dal paradiso africano, chi li ha messi alla porta non era stato altrettanto garbato. Ma avevano forse chiesto il permesso di stabilirsi in Africa ai suoi legittimi abitanti? La storia, evidentemente, si ripete, con il suo strascico di odi e incomprensioni. E tuttavia, suggerisce il racconto, tali contrasti riguardano la collettività, non certo i singoli. Nel privato, in un gesto di amicizia o in un restauro, l’umanità rinasce. È questo, a pensarci bene, il senso vero dell’arte: una comunicazione senza fini che vadano al di là di ciò che si comunica. Lo aveva ben compreso il compianto Ludovico Corrao, il cui Museo delle Trame Mediterranee è una pietra miliare nella ricerca della pace. Che aspettiamo a riaprire, specie in questo momento di gravi tensioni, la sua sede tunisina?

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