Lo spazio, vera e propria wunderkammer pop, ospita circa 50 opere: acrilici su tela, lightbox, neon, sculture e installazioni video. L’esposizione mette in scena le migliori mirabilia della modernità, i suoi colori sgargianti e le sue luci accecanti. Una modernità contemporanea che si alterna a rivisitazioni sarcastiche tanto di marchi italiani, ormai storici, quanto di pezzi dell’antichità classica. In tal senso, iconica e ironica, si presenta la Venere di Milo (Ti prenderei per le palle, ma come vedi non riesco) riproposta in plastica, dissacrata e sanzionata dalle firme che potranno aggiungere di volta in volta tutte le donne che attraversano la mostra.
Ciò che infatti spicca nel clima generale innescato dalle social pop mirabilia è questo senso di familiarità con le opere, come se fossero prolungamenti della nostra quotidianità. Ci si sente a casa, al bar e al cinema di sempre; eppure, qualcosa spezza la consuetudine. La tranquillità lascia subito spazio all’ironia, sottile, provocatoria e inquisitoria. C’è qualcosa che non va in questa modernità. Dalla clama piatta del pantone, emergono sfumature sottili del politico.
Attraverso un immaginario colorato e giocoso, l’artista ci spinge a confrontarci con tematiche di forte attualità quali le identità e i ruoli di genere, il femminismo, le costrizioni sociali, la solitudine, il bisogno d’amore, l’alienazione consumista, le migrazioni, aiutandoci a decostruire i nostri schemi fissi. T’aggia scassà ’o sanghe, mediante lo sguardo provocatorio dell’artista in abiti maschili e in posa fiera, diviene monito per lo spettatore a cui si raccomanda di sentire visceralmente che la normalità è una contraddizione perenne. Ciò che ci è dato va affrontato di petto come ci indica la postura del personaggio dal doppio genere, e quindi senza genere, al centro della tela, ma va preso anche con umorismo, alla maniera del videoclip contenente una canzone, dallo stesso titolo, che si rapporta con l’opera pittorica.
Dall’intimità dello spazio domestico, assolutamente non scevro dalla società dei consumi fuori le mura di casa, si passa senza sosta alla modernità pop dei bar, dei club e delle pubblicità per strada. Dentro e fuori è la condizione della mostra inserita in uno spazio che architettonicamente si presta a questo sottile camouflage metropolitano.
Anomala, ma non estranea, in questo dialogo, è l’istallazione Maresistere, una cassettiera bianca contenente un monitor che trasmette in loop un video del mare. Alla plastica che costituisce le opere, il legno del mobile si relaziona in un rapporto ambiguo. Alla pluralità degli stimoli delle merci, si oppone la calma delle onde che si infrangono senza aggressività.
Cosa mai ci vorrà dire questa presenza e con essa l’artista?
Forse quello che ci racconta è una mancanza.
L’ ipertrofia dell’immagine pubblicitaria e l’anestetizzazione visiva dovuta al troppo, al pieno delle wunderkammer passate e contemporanee, escludono la capacità del singolo di meditare e ritagliarsi uno spazio tutto per sé. Compito del cinismo proposto dall’artista è quello di far saltare queste maschere sociali mascherando l’immagine.
L’obiettivo è la calma, è tornare a sentirsi come parte del tutto, della natura. L’obiettivo, forse, è tornare ad essere corrente tra le maree, quiete tra i flutti. Gestire i grandi scombussoli, con il l’andamento sereno e accogliente dell’onda che va e si ritira: stare al mondo con un atteggiamento di perfetto equilibrio tra il vigore del frangente e la pace degli abissi.