Silvia Negrini propone una pittura che si colloca in un territorio di confine, dove il linguaggio figurativo si riduce all’essenziale, sfiorando la dimensione dell’astrazione senza mai abbandonarla del tutto. Le quattordici opere presentate mostrano ambienti geometricamente costruiti, paesaggi ordinati, interni essenziali e strutture architettoniche rigorose, nei quali la presenza umana è completamente assente. Eppure non si tratta di luoghi anonimi o alienanti, bensì di spazi densi di significato, sospesi in un silenzio carico di tensione e possibilità. L’elemento che colpisce nel suo linguaggio espressivo è la straordinaria sintesi formale. Le superfici lisce e uniformi, trattate con smalti e colori piatti, annullano ogni traccia di gestualità, restituendo un’immagine depurata, dove ogni linea e ogni rapporto spaziale rispondono a una logica precisa. Negrini costruisce la pittura come un sistema di relazioni interne, in cui le forme emergono attraverso schematizzazioni geometriche che evocano una realtà decantata, ridotta alla sua essenza. Nonostante questa apparente freddezza esecutiva, le composizioni non risultano sterili o distaccate. Al contrario, la loro meticolosa costruzione genera un’inaspettata carica evocativa, stimolando nello spettatore una percezione attiva dello spazio. Le architetture dipinte – stanze vuote, piscine immobili, campi da gioco abbandonati, colline prive di vegetazione, isole – sembrano presentire un evento, un accadimento che non si manifesta mai. Questo senso di attesa, unito alla pulizia della rappresentazione, richiama l’atmosfera sospesa della pittura metafisica, pur senza condividerne la dimensione simbolica o narrativa. La ricerca di Negrini si inserisce nel solco della pittura analitica, intesa come indagine sulle strutture linguistiche della rappresentazione. Il suo lavoro non cerca di restituire una realtà oggettiva, ma piuttosto di esplorare il modo in cui lo spazio e le forme vengono percepite e organizzate sulla superficie pittorica.


