Se queste mura potessero parlare, parlerebbero? Ce lo siamo chiesti con Iginio De Luca, in una mail di un caldissimo pomeriggio di poche settimane fa, quando il suo ultimo progetto nato in seno all’Apulia Land Art 2021 ed ospitato dalla Casa Rossa di Alberobello stava prendendo vita. ‘Parlare’ e ‘Prendere vita’ sono parole e concetti che ben si legano al progetto dell’artista e curato da Giuseppe Capparelli, formalizzato attraverso una residenza di Iginio De Luca in Puglia e legato a decine di storie umane che si sono susseguite in quell’edificio, storie che hanno trovato silente voce attraverso la luce, il codice morse, in una sorta di · · · — — — · · · SOS dei nostri tempi, di soccorso richiesto all’Arte e reso visibile, laddove la cecità della società non osa guardare.
Apulia Land Art 2021 è la residenza artistica di cui sei stato protagonista ad Alberobello, luogo emblematico della Puglia. La cosiddetta Casa Rossa è stato il luogo prescelto, simbolo di dimensione collettiva e memoria corale, di viscerale forza, in cui hai generato il progetto “Se queste mura potessero parlare”. Raccontaci la genesi di questo tuo lavoro.
A pensarci bene il lavoro nasce circa 45 anni fa, quando su un piccolo cartone telato ora scomparso, dipinsi a tempera una scena notturna in cui misteriose figure arroccate su montagne laziali comunicavano a distanza con delle lampade giganti. Un contesto magico e silenzioso chiedeva attenzione, una meditazione ingenua lanciava segnali in codice nell’incoscienza pittorica. Quando a maggio di quest’anno sono stato invitato dall’Apulia Land Art Festival a fare una residenza ad Alberobello, il luogo magnetico e stratificato della Casa Rossa ha contratto il mio tempo e lamemoria, catapultandomi di nuovo di fronte a quell’immagine incerta eppure così profetica. Coincidenze emblematiche della vita, meraviglie dell’arte.Un’occasione unica, un pretesto cruciale per connettere la mia dimensione soggettiva e infantile con quellacollettiva e simbolica della Casa Rossa, un contenitore passionalee storico di vite in bilico tra abbandono e prigionia, emarginazione, rifugio, sopravvivenza e rinascita in un cortocircuito incessante tra privato e pubblico, intimità e condivisione. L’idea è stata quella di donare voce e luce alla Casa, affidare a Lei, come soggetto pensante e sensibile, la possibilità di parlare e comunicare all’esterno, una regia espressiva visibile anche a distanza di chilometri nel cuore della notte pugliese. Il denominatore comune di questo lavoro è stato il potenziale immaginario e catartico del linguaggio morse, un input relazionale che, lanciato in aria come un ponte simbolico, azzera lontananze, scavalca limiti e confini in un legame universale tra la Casa,di nuovo viva e visibile, e le persone.
Hai conosciuto la storia della Casa Rossa, crogiuolo di un vissuto emozionale molteplice, in cui ogni dinamica esistenziale ha avuto propria sostanziazione. Cosa ti ha portato a scoprire questo luogo e quale è stato il primo input di azione?
Mi ha portato il silenzio, l’assenza dell’uomo nella sua dimensione sonora, una sottrazione acustica stratificata che diventa spazio, fattore tangibile che riempie ogni luogo, sale su per le stanze e i corridoi vuoti della Casa, sopra il tetto e nel cortile interno, lasciandolibero ascoltoal vento, agli uccelli e allo scuotersi degli alberi. Non ero mai stato ad Alberobello e alla Casa Rossa, ma il caso e il destino erano sulla via dell’incontro; già a distanza ne prefiguravo l’intensità e la presenza, confermata appena arrivato sul posto. La Casa appariva a sinistra della strada, si affacciava ieratica tra i cespugli, rossa e carismatica, vissuta e consunta. L’input categorico era rispettare questo silenzio che ha tanto da dire, non profanarne l’incanto con suoni estranei e invasivi, non intaccarne la sospensione metafisica nella sua immanente poesia; una dimensione emozionale da tutelare potenziandone gli aspetti visionari e ipnotici. La luce sarebbe stata la materia visiva con cui lavorare, l’intermittenza tecnologica che ingloba e riattiva nella sua totalità l’essenza fisica e concettuale della Casa. Il fattore umano e il dispositivo relazionale a esso correlato hanno poi filtrato ogni bagliore luminoso, mediatoogni pulsazione ritmica, una presenzacostante e sotterranea implicita ad ogni flash. Lettere e numeri tradotti in una punteggiatura muta, misteriosa e allusiva che implica uno sforzo da parte nostra, ascoltare la Casa, tradurne i suoi impulsi per quello che è ed è stata: un contenitore elastico ed eterogeneo a elevata intensità, un archivio ospital edi umanità ma anche uno spazio ostile che ha obbligato e precluso, un luogo vitale di urgenze, nella sua naturale predisposizione al soccorso e alla protezione.
Luci, immagini, parole, o meglio ‘frasi’. Alla Casa Rossa hai affidato parole che ti sono state affidate, a tua volta; come hanno costruito il proprio nuovo significato mutuato dalla tua interazione?
Ho avviato una vertigine di affidamenti chelasciano alla Casa la possibilità di mostrareil prodotto quasi involontario e alchemico di un processo dialettico tra la Lei e le persone,una contrattazione semantica filtrata da me e da una serie di dialoghi che ho avuto con gli abitanti di Alberobello che contemplasse la Casa stessa come soggettodel racconto: anziani, figure istituzionali, studenti, insegnanti, bambini, professionisti di tanti settori diversi, associazioni culturali. Da ogni persona ho preso una sola parola o una breve frase tra le tante, illuminante eispirata, assemblandole poi in un testo collettivo straniante, poetico e dadaista. La notte del 18 giugno la Casa ha cominciato a pulsare: accesa, spenta, accesa, accesa, spenta, spenta, accesa…. Le luci al led proiettate sulle quattro pareti esterne, hanno agito come segnalatori espressivi, spie vitali di un’attività finalmente soggettiva per questo luogo che per troppo tempo è rimasto in silenzio.Un lavoro solo apparentemente freddo e poco romantico, crudo e diretto, senza sfumature e mezzi toni (solo bianco/nero, acceso/spento), quasi in contrasto e, forse proprio per questo, complementare al contenuto altamente emozionale del posto. Predisporsi all’ascolto di un passato storico importante e stratificato per coniugare al presente, trasfigurandole, le testimonianze diventate parole: questala mia funzionenel lavoro in residenza; essere una spugna sensoriale, un mediatore discreto di memorie e istanze, tracciati del vissuto, raccontileggeri e sofferti, gioiosi, estemporanei, appassionati. Lanciare ogni volta la sfida per entrare in un’empatia umana veloce e azzardata, una dimensione confidenziale sempre rinnovata, rischiosa, potenzialmente fallimentare.
Nella costruzione puramente tecnologica di Se queste mura potessero parlare si innerva un seme filosofico che agisce nel racconto corale della comunità, di una memoria che si è costruita in maniera non più frammentata, grazie alla paziente edificazione dell’azione artistica. Cosa lasci di te ad Alberobello e cosa, questo progetto, lascia nel tuo vissuto, d’ora in avanti?
Spero di aver lasciato un’emozione silenziosa e penetrante, la stessa che è dentro di me dal momento in cui il primo flash ha illuminato la Casa. L’augurio è che il lavoro prodotto possa tradurre i punti di vista locali in un linguaggio universale, trasformando gli aspetti difficili e problematici di un luogo in una visione poetica sospesa. L’ultima parola è lasciata al silenzio pulsante delle immagini e all’attesa della rivelazione che sfugge al controllo e alla volontà dell’intenzione.
Ora sono a Roma e una grande lucciola brilla ancora dentro i miei occhi.
Di seguito, invece, ciò che De Luca ha riportato:
La Frase raccolta da Iginio De Luca e tradotta in codice morse
SPÜREN in tedesco vuol dire percepire, sentire con tutti i sensi, i colori, gli odori i suoni; è l’equivalente di feeling in inglese. Parola tratta dai diari di Hermann Hakel.
DER TRAUM in tedesco vuol dire il sogno. Parola tratta dai diari di Hermann Hakel.
AZZURRA è il nome della televisione che aveva la sede all’interno della Casa Rossa.
FELICITÀ è il titolo del Valzer rondò che scrisse Charles Abeles nel 1941 dedicato al suo padrino Francesco Nardone.
SETTANTA VOLTE SETTE PIÙ UNA è la frase che mi ha raccontato un ex educatore della Casa Rossa riguardo lo spirito cristiano del perdono da adottare anche con i ragazzi ospitati nella Casa. Il “più uno” lo incise un ragazzo su un banco volendo segnalare che anche lui doveva essere perdonato una volta in più, avendo avuto una mamma prostituta e un padre in galera.
CULLA ALLE ORTICHE frase detta da un alberobellese che da ragazzo andava nelle colonie estive, ospite della Casa Rossa. Per lui adesso la Casa è una culla buttata alle ortiche.
ALABASTRO vicino alla Casa ci sono cave di alabastro che servivano per realizzare oggetti e sculture sacre per il Vaticano.
CENTOCINQUANTA SIGNORINE erano tutte le donne ospitate nella Casa, prostitute, indossatrici, attrici, collaborazioniste.
UNA SOLA PORTA è l’architettura del trullo, un solo accesso dove si entra e si esce.DIVIDERE IL NULLA indica la metafora verbale per esprimere la massima povertà della gente di Alberobello nella storia, povertà che era anche all’interno della Casa Rossa.
Ciò che resta, oggi, è un suono nello sguardo, ovvero il paradosso del sapere.
IGINIO DE LUCA
Se queste mura potessero parlare
Apulia Land Art 2021
Casa Rossa, Alberobello (Ba)