Re-Echo Mark Francis, veduta della mostra, Palazzo Collicola, Spoleto. Ph Vincenzo Alessandria

Re-echo. Il rumore di fondo di Mark Francis “tra il gigantesco e il minimissimo”

La Galleria d’Arte Moderna “Giovanni Carandente” di Palazzo Collicola a Spoleto ospita la personale dell’artista irlandese Mark Francis, la prima in uno spazio pubblico italiano.

“Un imperatore cinese domandò un giorno al primo pittore della sua corte di cancellare la cascata che questi aveva dipinto a fresco sul muro del palazzo, perché il rumore dell’acqua gli impediva di dormire”. 

Régis Debray, Vita e morte dell’immagine, 1999

L’aneddoto riportato apre Vita e morte dell’immagine (1999), ambizioso saggio di fine millennio del francese Régis Debray: un esempio di suono visualizzato che, nonostante nelle intenzioni originarie dell’autore fosse servito come espediente narrativo funzionale a un discorso più ampio e relativo all’evoluzione dello statuto dell’immagine nella civiltà occidentale, risulta estremamente utile a introdurre Re-echo, personale dell’artista nordirlandese Mark Francis (n.1962) alla Galleria d’Arte Moderna “Giovanni Carandente” di Palazzo Collicola a Spoleto. Concepita in sinergia con una seconda personale, Costellazione privata del romano Matteo Montani, la mostra – che segna l’esordio di Francis in uno spazio pubblico italiano –  è curata dal direttore artistico del palazzo, Marco Tonelli.  Inaugurata lo scorso 26 marzo ed aperta fino al prossimo 19 maggio, Re-echo raccoglie, al secondo piano dell’edificio, una serie di quindici tra i più recenti lavori del pittore. Originario di Newtownards, e formatosi, tra il 1981 e il 1986, prima presso il St. Martin’s college of Art e poi presso la Chelsea School of Art, Francis prese parte, un decennio più tardi, a Sensation, celeberrima rassegna allestita negli spazi della Royal Academy di Londra e punto d’avvio della folgorante vicenda degli Young British Artists. Il legame con gli YBA, tuttavia, non venne confermato dalla mancata presenza di Francis a Freeze, altra mostra capitale per i recenti sviluppi dell’arte internazionale. 

Estranea a dinamiche di gruppo, la traiettoria artistica individuale di Francis è, in quella che può essere letta come una prima analogia con il percorso di Montani, caratterizzata, nei primi anni, dalla presenza del paesaggio. Un paesaggio inevitabilmente biografico, fatto della terra e dell’erba delle campagne irlandesi portate, comunque, ad un elevato grado di astrazione. In un’intervista rilasciata nel 2000 a Catherine Wood (Reflecting on his work: the artist Mark Francis), l’artista ricorda, di quei primi lavori, “la semplicità della linea e del primo piano”. 

Come Montani – che in Costellazione privata sceglie di ritagliare piccole porzioni di tela portando alla luce tutto il potenziale astrattivo del fenomeno naturale – anche Francis decide, da un certo momento della sua carriera in poi, di avvicinare l’occhio al microscopio e di condurre il proprio sguardo nelle profondità del dominio della microbiologia. A differenza del pittore romano, tuttavia, Francis non rivolge la sua attenzione alle strutture cristalline dei minerali, scegliendo invece di nascondere lo sguardo tra funghi o altri piccolissimi microrganismi. Sempre a Catherine Wood l’artista ha specificato come il suo interesse per la biologia, nato dai “disegni schematici di sezioni di piante” ingrandite al microscopio elettronico, sia andato rafforzandosi a partire dall’osservazione della sua collezione di stampe vittoriane, raccolte a partire dai primissimi anni Novanta. “Nessuno sembrava volere immagini mediche di malattie o di anatomia”, ha confessato Francis, “così ho preso queste stampe relativamente a buon mercato”. Le proposte formali offerte dal microscopio al pittore – che nel 2000, in occasione di una mostra a Milton Keynes, ha addirittura realizzato un’installazione con questi materiali – un ricettario di piccole sfere e grovigli di linee, se in una prima fase della carriera di Francis hanno dato vita a immagini relativamente “statiche”, o quantomeno nitide, in un momento più avanzato sono andate a perdere la loro precisione ottica per posizionarsi all’interno di griglie estremamente libere, colte come ricettacoli di forme in divenire, che solo un “tempo di scatto” più lento è in grado di rendere nella loro piena opacità. Barry Phipps (Conversations Across Art and Mathematics), ha voluto ricondurre i paesaggi microscopici di Francis al caos controllato di Internet e alla sua “geografia fatta di reti e nodi che processano i flussi di informazione”. Un’analogia puntuale, visto e considerato il profondo interesse di Francis per le mappe e per la riduzione quintessenziale degli elementi del territorio sulla superficie della carta. Quei nodi, quei gangli vitali che abitano le tele di Francis, poi, altro non sono che veri e propri centri di raccolta di informazioni nei quali queste ultime, da un certo momento in poi, completato il loro percorso lungo binari non più sfilacciati e rotte non più confuse, proprio in essi sono andate a depositarsi. Ed ecco che i cumuli di linee, i grovigli imprevedibili dei primi Duemila lasciano spazio a reticoli di linee stirate, tese a formare dei quadranti più precisi. Ancora nel testo in catalogo, però, Tonelli ribadisce come, anche in un momento più avanzato della sua carriera Francis, rispetto alla dichiarata “ostilità contro la narrazione” (Krauss) della griglia nel programma avanguardistico, consideri le sue strutture come delle casse di risonanza per un discorso, anche se appena sussurrato, di “vibrazioni che fanno quasi respirare la superficie pittorica”. Queste vibrazioni, rese possibili anche grazie alla tecnica “wet-on-wet” – già sperimentata da Gerhard Richter – accennano a un suono “inventato”, come lo stesso Francis ha tenuto a puntualizzare: un suono “pittorico”, ha confessato in un’intervista al critico inglese Robert Brown, un suono che cola (Debray) e che riecheggia sulla superficie del quadro.  A ben guardare, tuttavia, spiega ancora il curatore, questo suono – in opere come Audio Dub, Super Dub, Equilibrium o ancora Imbalance – assume la conformazione grafica delle “radiazioni cosmiche di fondo”, del “suono originario del Big Bang”. Ancora nell’intervista a Brown l’artista ha infatti affermato di aver visionato, durante un soggiorno di studio presso un istituto inglese di ricerca a Cambridge, alcune immagini registrate da grandi telescopi radio.

Tra il microscopio e il telescopio, però, non sembra esserci alcuno strappo: il canto antico che promana dalle superfici pittoriche di Francis, se è vero che il più delle volte rimane impercettibile – certamente non fu la radiazione di fondo a rovinare il sonno all’imperatore cinese – e che viene esplicitato dal pittore solo nelle sue ultime prove, è tuttavia una presenza costante nella storia. Un’energia, quella del cosmo, che Tonelli definisce oscura, e cristallizzata in un piano bidimensionale che, accogliendola, concretizza nella sua “riflettente durezza quel collasso di forze, o, prendendo in prestito le parole che Emilio Villa, sulla rivista “Arti Visive” (1953) rintracciava nei lavori di Alberto Burri, quell’“ideale di fulminei universi tra il gigantesco e il minimissimo”. 

Re-Echo Mark Francis, veduta della mostra, Palazzo Collicola, Spoleto. Ph Vincenzo Alessandria

Mark Francis Re-echo
A cura di Marco Tonelli
Palazzo Collicola
Piazza Collicola 1, 06049 Spoleto (PG)
Dal 26 marzo al 29 maggio 2022 
Info: https://www.palazzocollicola.it/scheda_mostra_francis.html