Vincenzo Profeta
Vincenzo Profeta, dalla sua pagina Facebook

Raccontare in parabole: Vincenzo Profeta

Vincenzo Profeta, di Laboratorio Saccardi, ha scritto un libro, La Palermo Male che, sin dal titolo, ironizza sul bel mondo (quella che dovrebbe essere la Palermo Bene). Ne abbiamo parlato in una lunga intervista da cui emerge chiaramente come parlando di Sicilia l’autore parli invece “profeticamente” del sistema dell’arte contemporanea.

La Palermo Male è un libro blasfemo, impubblicabile, che travalica tutti i limiti del buon gusto e della decenza. Venti racconti dalla scrittura sincopata e schizofrenica si svolgono nei quartieri di una Palermo luciferina, psicopompa, infestata dalle angosce del protagonista e dalle paranoie che adombrano la nostra epoca. Questa inconsueta periferia dell’Occidente diventa un algoritmo dell’orrore, luogo prediletto da cui osservare l’incedere del male nel mondo e dove alieni, massoni, terrapiattisti e satanisti fanno da comparse. La coscienza del narratore sembra essere hackerata dalle idee più deliranti del nostro secolo, si abbandona senza più anticorpi nella spirale del complottismo, si inabissa in un trip intermittente di follia e di lucidità. Il libro stesso è posseduto da un software in perenne stato di errore, dove icone dei videogiochi anni ‘80, pop-up dei più recenti social network, difetti di codice e bug di passati sistemi operativi fanno irruzione. Un libro che contiene un virus, ideologico e ideografico, composto come un pezzo trap, a volte come un lungo post in rete, altre come il feedback a un prodotto acquistato online. Quello di Profeta – nomen omen – è un canto dall’era dell’Apocalisse digitale, l’opera di un Io indifeso, un horror caustico che si rivela, per un’assurda inversione di significato, una lode mistica a Dio”. Rare volte le quarte di copertina (dico così riferendomi al testo, perché la parte fisica del libro che lo accoglie – La Palermo male, Gog Edizioni, euro 16.00 – è in realtà la prima delle alette) sono scritte con tanta sintetica eleganza – retaggio della penna finissima di un Davide Brullo, o di qualche altro intellettuale dissidente – da risparmiare al recensore equilibrismi disumani. Forse è per questa ragione che, anziché commentare il libro, ho preferito abbeverarmi alla viva voce dell’autore, quel Vincenzo Profeta che, come è noto, è uno dei soci fondatori – attualmente i membri attivi sono solo lui e Barone – del collettivo Laboratorio Saccardi. Mi limito ad aggiungere che proclamare la verità facendo stramazzare (dalle risate, ma non solo) l’incolpevole lettore è uno dei punti di forza dell’arte rabbinica di raccontare in parabole di cui Profeta è, non a caso, uno degli ultimi cultori.

“La natura”, affermi, “è un sistema anti etico e malvagio”. E il sistema dell’arte? 

L’uomo si preoccupa della Natura e si occupa persino di fornirle un sistema, una classificazione, di stilarne e studiarne le leggi come fosse un manuale. Si stupisce di non ricevere le stesse premure. Ci rimane male tutte le volte come se non se lo aspettasse; stordito dallo stupore e dopato dalla presunzione vuole addirittura interferire con lei, adottando tentativi di salvezza e di ripristino a dir poco patetici. La Natura non può essere etica perché per sua fortuna non sa cosa sia la legge morale. Analogamente, l’arte non è rappresentata dal suo sistema, né se ne preoccupa. Non si preoccupa di nulla, neanche di esistere. L’arte sta accarezzando il gatto e guardando l’orizzonte oltre il suo sistema che invece muore soffocato da uno sbadiglio. La cosa più bella del sistema attuale dell’arte è che è fallito ma non interessa a nessuno, perché non contava niente. L’arte invece, come sempre, sopravvivrà ai nostri sistemucci putrefatti e fordisti di produzione visiva che lasceranno ai posteri se non la sentenza sicuramente lattine di Coca Cola ego-insostenibili che già rotolano nel deserto culturale della contemporaneità. 

Sei una multinazionale che sta ristrutturando, riconvertendo dal petrolio alle rinnovabili. Che fai? Ma è chiaro, ti inventi le tue “Grete”. Immagino che anche il sistema dell’arte abbia le sue. Ne conosci qualcuna? 

Il sistema dell’arte è tutto un brulicare di gretine che si muovono come tremolina veneziana e trattano l’arte come fosse un socio Lions o un Rotarino, come se fosse cioè un club con velleità filantropiche che si occupa di qualcosa o peggio di qualcuno. Abisso assoluto: “quest’anno l’arte ha aiutato 100000 persone, salvato dalla fame 8000, fornito medicinali all’intero continente africano”. In base ai temi sensibili, l’arte può diventare di volta in volta l’ennesimo portale di informazione. Infatti non è animata da artisti ma da una marea di cronisti che scrivono cronaca mediocre usando locuzioni visive. I cronisti ci sono sempre stati nell’arte, per carità. Ma erano considerati minori. Li trovi oggi alle Gallerie d’Italia in collezione permanente giusto perché devono svuotare un po’ i caveaux, ma non erano propriamente artisti. Attualmente invece rappresentano l’ordine costituito dell’arte. 

Da qualche parte scrivi di trattare il tuo libro come una “bad company”, in cui scaricare tutto il marcio. Definiresti l’arte la discarica del mondo, anzi la sua Bellolampo [collina nei pressi di Palermo in cui è allocata una grande discarica. Per lungo tempo, intorno al 2000, ospitò la scritta Hollywood di Cattelan, realizzata a caratteri cubitali, che sfruttava ironicamente le similitudini morfologiche tra il sito e il celebre quartiere di Los Angeles, N.d.R.]?

A parte che Bellolampo è senza dubbio esteticamente più interessante di una qualunque delle ultime manifestazioni d’arte contemporanea, non trovo che l’arte sia la discarica del mondo, ma attualmente si scosta poco dal produrre rifiuti. Ci può consolare il fatto che al contrario dei rifiuti di Bellolampo, quelli dell’arte sono compost biodegradabile presto utile alla Terra. Penso che grazie a Dio l’arte sia morta, viviamo uno dei periodi più bui della storia di questo Paese, dove l’arte è in profonda crisi identitaria. Bisogna rassegnarsi: ci sono dei periodi nella storia in cui l’arte sparisce, dai Musei alle piazze, e questo è uno di quelli. Consolatevi col fatto che l’Italia è campione d’Europa di calcio, di palla a volo, di pasticceria, di pizza al taglio, e ha vinto i cento metri alle Olimpiadi. 

D’accordo, l’arte è morta: tuttavia se, come da meccanismo ben oliato, il male si condensa in essa, la vita è salva. È un transfert molto gettonato tra psicopatici e/o artisti.

Non saprei dirti, cerco di evitare di frequentare entrambi le categorie, specie la seconda cui ti riferisci. L’arte non dovrebbe rappresentare qualcosa di diverso da se stessa, per cui mi sembra surrettizio cercare di analizzarne i moventi, spiegarne i meccanismi, costringerla in definizioni, farne l’analisi logica… Per fare un esempio del secolo scorso: se un ginecologo ama una donna, la ama benché ginecologo o perché ginecologo? Per quel che concerne il meccanismo, il male al contrario dell’olio ha una densità molto alta, non rimane in sospensione ma è emulsionabile, spesso sedimenta negli abissi, per riemergere sotto forma di atrocità, di spietatezza e orrore onnipervasivi. 

Lo sciamano – cioè l’artista – deve essere quantomeno uno sciancato: deve covare il male dentro per curare il male fuori. 

Forse quello che è vero, è che nella poiesi si può mettere in atto un istintivo processo di ricapitolazione, per usare un gergo sciamanico, quello cioè di riattraversare il male per recupere lo spirito che il male ci ha sottratto; la religione cristiana riprende sintetizza e semplifica questo processo mentre la psicanalisi lo rielabora e lo distorce. In questo senso è probabile averlo messo in atto, sì. 

Comunque sia, secondo la tua logica, non vi è altra strada che la morte. Hai per caso da indicarci qualche cura palliativa? 

La cura non palliativa ma definitiva è vedere l’apocalisse non in termini di proiezione futuribile, come nelle letterature secolarizzate ma come un tempo compiuto nell’istante presente, dispiegato, rivelato e spazializzato. La morte non è in questo senso una strada ma una mano sul capo. Una specie di Kippah ebraica, che incita a vivere escatologicamente. Una specie di taser elettrico che ridesta in ogni istante. 

Laboratorio Saccardi è attualmente un’idra con due teste. Andate sempre nella stessa direzione?

Sempre nella direzione sbagliata, non usiamo navigatori, sbagliamo strada, partiamo per le Indie e scopriamo le Americhe, allunghiamo un po’ ma alla fine arriviamo e ci sediamo dalla parte del giusto perché quella del torto è stata già occupata da tutti gli altri, i puntuali, che usano Google Maps e Garmin, che portano l’orologio a sinistra e cambiano pure l’ora due volte l’anno, e che come se non bastasse citano Brecht. 

La realtà, hai scritto, è il più grande falso storico. Che cosa pensi di un paese in cui l’artista scelto per la Biennale di Venezia è anche il curatore della principale “esposizione nazionale”, dedicata soprattutto ai giovani. Ti senti rappresentato? 

L’arte cosiddetta contemporanea in Italia e nel Mondo non poteva essere rappresentata meglio. Tosatti non può che rappresentare al meglio il panorama dell’arte, oggi. Ha anche la spunta blu su Ig che per un artista oggi è il massimo riconoscimento, un Leone d’oro alla carriera, insomma. Seguo Tosatti dagli inizi, indimenticabili telecronache le sue, e amo la sua come la chiamano, aspe’: ricerca. Adoro la sua cazzo di ricerca: #Top. Il doppio ruolo curatore e artista inoltre è un topos contemporaneo inesorabile, oltre a rappresentare la mia categoria protetta preferita. 

Riusciremo a farci una tisana (la birra non piace neanche a me) prima della fine, o è troppo tardi? 

Si certo, se vuoi la preparo io. Ogni 15 del mese preparo una tisana speciale con l’artemisia, che lì da voi nella provincia babba ve la sognate, forse vi fate ancora le tisane col cardamomo e il tarassaco [“babba”, in dialetto siciliano, “vuol dire bonaria, innocente” ma anche “mite, fino a sembrare stupida, cioè tonta, come per dileggio ci chiamano gli spavaldi e i facinorosi”; così Bufalino parlando di Ragusa, provincia sua e dell’intervistatore. “Curiosa contraddizione”, afferma invece Sciascia, con parole che potremmo garbatamente rivolgere all’intervistato, “di considerare stupida, e particolarmente stupida, questa parte della Sicilia di cui contemporaneamente si riconosce e si esalta la tranquillità del vivere, il benessere, l’eccellenza dei prodotti. Evidentemente una sorta di masochismo presiede a un così contraddittorio giudizio”, N.d.R.].

Vincenzo Profeta
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