Nicole Colombo

Nicole Colombo intervistata da Lorenzo Kamerlengo per The Hermit Purple, Luoghi remoti e arte contemporanea su Segnonline.

Parlami di un tuo maestro, o di una persona che è stata importante per la tua crescita.

Ogni volta che mi viene posta questa domanda mi devo sempre soffermare un attimo a riflettere; d’istinto mi vengono in mente almeno un paio di persone: chi è stato fondamentale in Accademia, come Laura Cherubini ad esempio, o artisti senza i quali non sarei potuta crescere, come Mike Kelley. Ma riflettendoci meglio la risposta più veritiera è mio nonno. è stato il mio vero maestro, colui che mi ha insegnato in mille modi differenti ad affrontare la vita, a sostenere le sfide, a relazionarmi con i materiali e i vari attrezzi; che mi ha insegnato i valori che ancora oggi sono le fondamenta su cui baso il mio lavoro. Gli oggetti non si buttano ma si riparano, l’importanza del lavoro manuale e dell’artigianato, il sapersela cavare
nonostante tutto.

Quali sono secondo te il tuo lavoro/mostra migliore ed il tuo lavoro/mostra peggiore? E perché?

La mostra migliore è sicuramente SAM, la mia ultima mostra. È stata per me un punto di arrivo e sarà un punto di partenza fondamentale; il mio lavoro si è evoluto, si è presentato onesto, nudo e mi ha dato la possibilità di indagare molti aspetti, sia dal punto di vista dei medium utilizzati che della metodologia che ho intenzione di sviluppare in futuro. Il lavoro peggiore temo sia stata un’opera dal titolo nr°7122015, realizzata durante Academy Awards, era un periodo di grande confusione e per me quell’opera è l’emblema dell’opera confusa e sovraccarica. Aveva la pretesa di dire tutto ma in maniera estremamente superficiale. Probabilmente sezionandola e lavorando sulle singole parti qualcosa si potrebbe anche salvare, ma il rapporto che ho con lei è il peggiore che abbia mai avuto con una mia produzione.

Se ti ritrovassi su un’isola deserta, proseguiresti la tua ricerca artistica? Se sì, in che modo?

Partendo dal presupposto che fare arte (nel bene e nel male) per me è una necessità, direi che si, proseguirei la mia ricerca anche su un’isola deserta. Le modalità sono difficili da immaginare, dalla comodità casalinga dalla quale sto rispondendo a queste domande, ma probabilmente costruirei attrezzi vari con i quali iniziare a relazionarmi per capire meglio qual è il limite di quella mia nuova condizione.

In che modo sta influendo l’isolamento di questo periodo su di te?

Credo che in parte abbia amplificato le mie paranoie, ma credo anche che mi stia dando la possibilità di rallentare quei ritmi frenetici ai quali ormai mi ero abituata e che avevo completamente assimilato e reso parte di me. Dedicare il giusto tempo alle cose è un privilegio o almeno è così che sto cercando di vederla. Detto ciò non credo che questa sia una condizione che potrà essere perpetrata; mi sto sforzando di vederne i lati positivi altrimenti non avrei la forza di produrre o riflettere su alcunché, ma la sensazione di oppressione e limitazione accompagnano comunque le mie giornate.